"A
me 'sto film me la fa passare, la voglia di far sesso", dice la
mia amica nel quarto d'ora accademico che il cinema ci concede tra
Nymphomaniac part. I e part. II. "Lars von Trier non ha mai fatto venire
voglia di far sesso a nessuno", le rispondo tracannando tutti i
pop corn che posso, perché altre due ore sono tante ... "Però
vedere far sesso in genere sì, fa tecnicamente venire voglia di fare
altrettanto - tranne in questo film".
E
difatti il tecnicismo è un punto di discussione. Il sesso è una di
quelle manifestazioni/necessità/piaceri umani di cui si parla peggio
e con maggior difficoltà. Tutto questo non c'entra ovviamente con il
moralismo : è proprio difficile parlare bene di sesso, raccontarlo
con la temperatura emotiva giusta.
È
un argomento, mettiamola così, scivoloso. Da qualunque parte lo si
prenda, si sbaglia, (ecco, solo ad aver fondato l'argomento, ora
qualunque frase, anche le ultime due prima di questa parentesi,
diventano ambigue ...). E la necessità di parlarne, universale ed
eterna, da Saffo a De Sade, alla vicina di casa con la sigaretta tra
le labbra, non si affina nel modo a mano a mano che si prosegue sulla
strada dell'emancipazione, anzi : diventa goffa.
Desacralizzato,
il sesso diventa piatto, Lars von Trier lo abbatte raccontandolo in
senso patologico, come quella carrellata di piselli multicolor che a
un certo punto scorrono sullo schermo. "Piselli", perché
c'è anche un lessico particolare nel parlare di sesso, che come
tutti i lessici da scegliere affinché la comunicazione funzioni,
deve tener conto della comprensione altrui.
Una
cosa è parlare di sesso con la donna/l'uomo con cui quel sesso si
fa, una cosa è parlare di sesso con la propria amica, con cui si
condivide un'immagine di sesso, e altro è parlarne con un genitore,
anche da adulti, anche quando quei genitori sono nonni e quindi danno
per certo che i propri figli sappiano cosa è il sesso, (una volta
Mario Martone mi disse che lo disturbava l'idea che suo padre vedesse
le scene di sesso nel suo film L'odore del sangue,
io ho sofferto a pensare mia madre, emancipatissima e femminista,
leggere delle prodezze sessuali di alcune mie eroine).
Quando
si dice che è difficile parlare di sesso ai bambini, la principale
difficoltà sta nel trovare le parole giuste. Se fosse facile tra
adulti parlare di sesso, parte delle resistenze a farlo con i bambini
cadrebbe. Non si sa spiegare solo ciò che non si conosce bene,
dicevo un mio professore al liceo. E il sesso è quanto di più
inconoscibile esista proprio in un'epoca che lo mostra senza pruderie
religiose o moraliste, lo manifesta, lo mostra, ma poi non ne
sappiamo parlare.
Siamo
sempre un passo avanti o uno indietro, non "raggiungiamo"
mai l'oggetto del discorso, è come un'oasi per il naufrago del
deserto, si sposta sempre : è uno dei miraggi all'orizzonte della
parola.
Mi
ricorda le descrizioni di certi vini : a grande equilibrio e armonia,
è elegante e delicato, senza per questo perdere il suo carattere
vivace. Ampio e persistente, offre una tavolozza molto ricca di
sfumature diverse in cui si individuano profumi di frutti rossi,
nocciola, spezie, tabacco.
Tutto
vero, dopo che l'hai assaggiato. E se chi ascolta deve andarsi a
cercare un'esperienza simile nel suo inventario di ricordi sessuali,
colui il quale invece parla, riesce davvero a parlarne senza temere
di sembrare ovvio, o freddo, o prudente ?
La
mia impressione è che non si riesca. "Quando scrivi di sesso,
prima masturbati" suggeriva Elsa Morante a Pier Giuseppe Murgia : un consiglio che dire pratico è dire poco. Lei voleva dire :
liberati di quella tensione che da solo l'argomento sviluppa e che
rovinerà qualunque discorso sensato. Più comunemente mi è successo
la settimana scorsa di parlare di pornografia con un amico, e di
aggiungere "Lo dico senza alcuna malizia, ah?". E lui,
serio e compunto, affrettarsi a ribattere "Ma è ovvio".
Ovvio un corno, se fosse stato ovvio nessuno avrebbe aggiunto nulla.
Potrebbe
essere, il sesso, un argomento che si autoesclude appena compare ? Un
tabù in questo senso, che scompare a nominarlo, lasciando al suo
posto, al posto della tensione, e della bellezza, solo gli strumenti
del mestiere, senza il manufatto compiuto (oops) ? Si dice a Napoli
zitt'a
chi sape o juoc,
stia zitto chi conosce il gioco.
Valeria
Parrella
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