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Il primo portale dedicato all'investitore italiano in Rep. Ceca e Slovacchia

mercoledì 26 giugno 2013

Buon compleanno Blog !


Bene. Un altro anno se n'è andato. E siamo qua a festeggiare il secondo compleanno del mio blog.
Due anni certamente simpatici, faticosi, ma non privi di emozionanti soddisfazioni. Mi colpisce il dato sui contatti, quasi 48.000 mentre sto scrivendo adesso, che se lo raffrontiamo con i 17.000 contatti dell'anno scorso fa un incremento di oltre 30.000 contatti in un solo anno. Un risultato senza dubbio importante.
In quest'anno ho scritto di tutto e di tutti, ho affrontato i più disparati argomenti, parlando di politica globale ma anche affrontando i pettegolezzi e il chiacchiericcio tipico del mio paese; ho parlato di disastri, spezzando quella famosa lancia a favore del comandante Schettino, ho parlato di schizofrenia istituzionale italiana ed europea, ho appoggiato iniziative che reputo sacrosante e assolutamente condivisibili nell'assoluto rispetto di quel valore inalienabile che è libertà dell'individuo.
Mi assumo ovviamente la più totale responsabilità di quello che scrivo, essendo in rete ormai da anni con nome e cognome.
Un'altra grande soddisfazione è stata la collaborazione con alcune testate online, che utilizzano i miei scritti per cercare di raccontare meglio le varie realtà estere dove opero ormai da anni; stiamo vivendo momenti tormentati dove tutto è in continua evoluzione, o involuzione a seconda dei punti di vista.
Ho, e abbiamo assistito, a un attacco volontario verso l'autonomia del Web, cosa che depreco muscolosamente. Certo, sono assolutamente consapevole che attualmente il Web sia una specie di Far West, dove intraprendere misure di autodifesa e controllo sia sempre più difficile è oneroso. Ero e sono attualmente contrario all'anonimato nel Web; chi mi segue sa che tempo fa avevo dedicato un post sull'argomento. Ecco, la mia posizione non è mutata, anzi continuo a pensare che l'esatta identificazione dei vari soggetti, possa tramutarsi in un arricchimento dell'intera rete.
Ma ora pensiamo ad arrivare al terzo compleanno, raddoppiando i contenuti e, speriamo, anche i contatti.
Grazie a tutti e………

Buon compleanno blog !

sabato 22 giugno 2013

I magistrati non pagano le contravvenzioni.

Ho letto con molto interesse, l'articolo pubblicato sul Gazzettino di Rovigo di giovedì 20 giugno 2013. Il titolo: "Multe irregolari, Canaro nei guai". In estrema sintesi, l'articolo racconta che il giudice di pace di Rovigo ha annullato tutti i verbali di contravvenzione rilevati dall'autovelox di Canaro, gestito dalla polizia locale di Polesella, poichè compilati in maniera non corretta. Uno nella fattispecie, quello elevato a Giampaolo Schiesaro, ex pretore, magistrato con un trascorso nella politica a sinistra e attualmente avvocato dello Stato, sarebbe proprio da buttare nel cestino se non in un altro luogo innominabile in questa sede.
Il dottor Schiesaro infatti, pizzicato mentre schiacciava un po' troppo il pedale dell'acceleratore, rileva una serie di vizi procedurali che vado ad elencarvi, e che vengono citati nell'articolo: il servizio di rilevamento con autovelox fisso viene svolto in forma associata, e tale modalità non viene indicata sul benedetto verbale; non viene altresì indicata la data di attivazione del velox e non è certificata la presenza di un pubblico ufficiale che si sia assunto questa incombenza; tutta l'attività di sviluppo delle foto e riversamento sui cd verrebbe svolta da un'azienda privata, sempre senza la presenza del pubblico ufficiale; infine, per un periodo, l'attività del velox si sarebbe svolta senza che il Comune avesse la disponibilità giuridica dell'apparato.
Ora, tutto questo bel enunciato, mi porta a fare due considerazioni: la prima è che occorre mettere fuorilegge almeno il 90% degli autovelox italiani, poiché sempre il 90% degli autovelox italiani, non ottempera a nessuna delle disposizioni sopra citate; quella che mi fa più sorridere è proprio l'attività di sviluppo delle foto e riversamento su cd.
La seconda considerazione che faccio è che il dottor Schiesaro, o meglio i magistrati italiani, non pagano le contravvenzioni.
Della serie: "non andare a rubare a ...!"

mercoledì 19 giugno 2013

Colloqui di lavoro : arriva la "stress interview".


Se lei fosse un oggetto, che cosa sarebbe ?”, o ancora “A che pensa quando fa la doccia ?” Se vi sentite rivolgere queste domande durante un colloquio di lavoro, probabilmente siete incappati nella temuta “stress interview”, tecnica di selezione in voga negli USA, in cui i candidati vengono sottoposti a domande bizzarre e spiazzanti per testarne la capacità di reazione, di fronte a una situazione di forte tensione.
Altri trabocchetti tipici sono mettere l'interlocutore a disagio, dimostrarsi disinteressati al suo discorso, fare lunghe pause o, al contrario, domande incalzanti per valutarne le reazioni. Ma come funziona in Italia ? Dobbiamo preoccuparci anche noi di stilare una lista dei pensieri sotto la doccia ? Quali sono le tecniche più usate dai responsabili alle risorse umane ? E, soprattutto, cosa bisogna fare per arrivare davvero preparati all'appuntamento che può cambiare il nostro futuro ?
Probabilmente ci sono anche da noi dei professionisti di Human Resources, che adottano la metodologia della stress interview”, spiega Stefano Giorgetti, ad di Kelly Services Italia, agenzia leader nella gestione delle risorse umane. “Ma in generale qui l'approccio è un po' più soft. Alla Kelly Services preferiamo il colloquio situazionale, chiamato anche behavioral interview. E' un approccio che si basa fondamentalmente su esempi concreti della vita professionale, e non, del candidato.
Si mira a ricavare informazioni reali sulle situazioni che si è trovato a gestire, sui compiti che è stato chiamato a svolgere e le azioni messe in atto per portarli a termine. Infine, pone l'accento sui risultati ottenuti. Difficilmente un candidato può improvvisare su questi temi, per cui questa tecnica ci consente di formulare una valutazione il più possibile oggettiva sul profilo dell'intervistato”.
Dello stesso parere anche Linda Langella e Maria Cristina Puglisi di Unilever, (multinazionale proprietaria di famosi marchi di alimenti, bevande, prodotti per l'igiene e per la casa), rispettivamente HR Talent Acquisition Italy and Greece e Leadership Development Manager Italy and Greece.
In Italia le stress interview sono poco utilizzate. Sono colloqui che vanno gestiti con molta cautela, perchè fanno leva su delicate dinamiche psicologiche. Riteniamo che sia più efficace mettere il candidato a proprio agio per far si che si apra e metta in luce il proprio talento”.
Pare quindi che in Italia si punti molto più sulla valorizzazione della persona tramite un colloquio dai toni rilassati. Ma siamo sicuri di non doverci aspettare insidie o tranelli che ci colgano impreparati ? E soprattutto, cosa non dobbiamo assolutamente fare se non vogliamo vedere sfumata la possibilità di essere presi ?
Non si tratta di veri e propri tranelli”, sottolineano le responsabili HR di Unilever, “il nostro scopo e di mettere i candidati a loro agio. Tuttavia, ad esempio, durante il primo contatto telefonico, poniamo sempre delle domande in inglese per sondarne la conoscenza. Ma non dovrebbero sorprendere, perchè chi vuole lavorare in una multinazionale come la nostra, sa che si tratta di un requisito necessario”.
Solo nei colloqui successivi vengono simulate delle prove, come un business case da risolvere, un esercizio di public speaking, test di gruppo o individuali”, aggiungono le responsabili di Unilever. “La conversazione in lingua a sorpresa è uno dei modi migliori per testarne l'effettiva padronanza”, conferma Stefano Giorgetti di Kelly Services. “Un altro step è quello di andare ad approfondire le incongruenze e le zone d'ombra che emergono dal curriculum”. Quindi, prima di presentarvi, rispolverate per bene il vostro inglese, (ormai per quasi tutte le posizioni ne è richiesta la conoscenza), e assicuratevi di saper spiegare con chiarezza, il percorso lavorativo che emerge dal vostro curriculum. Evitate invece di mentire. “Se il selezionatore se ne accorge”, prosegue Giorgetti, “il rapporto di fiducia cessa all'istante”.
Ricordatevi infine di essere curiosi e reattivi. “Mai restare in silenzio di fronte alla domanda : vorresti chiederci qualcosa ?”, spiegano ancora da Unilever. “Il candidato deve presentarsi con una buona conoscenza dell'azienda e dimostrare entusiasmo e voglia di entrare a far parte del nostro team”.

Per colpirli fai così.

Abbiamo visto cosa evitare per non rischiare l'insuccesso. Ma come affrontare un colloquio al meglio ? Ovviamente dipende dalla posizione che si va a ricoprire. Ma ci sono dei consigli sempre utili.
Siate voi stessi”, sottolineano le responsabili HR di Unilever, “perchè ci si accorge subito se state recitando una parte. Raccontateci anche i vostri fallimenti e come li avete superati. Fate trasparire i vostri punti di forza, ma non nascondete troppo le vostre debolezze, perchè la capacità di riconoscerle testimonia la volontà di crescere. Il colloquio è anche un momento di confronto con il mondo esterno, per capire come venite percepiti”. “Sul web ci sono molte dritte per prepararsi a un colloquio. Il mio semplice consiglio è quello di simularlo in anticipo davanti allo specchio, preparando esempi da poter raccontare, o testimonianze dei risultati ottenuti. In definitiva, preparatevi a vendere voi stessi, ma senza dimenticare di essere voi stessi”, conclude Giorgetti.

S.R.

mercoledì 12 giugno 2013

Modi di dire 16


Si dice . . . “ l'uovo di Colombo “

Dire che qualcosa è “l'uovo di Colombo” si riferisce all'aver dato a un problema una soluzione semplice ma geniale. Il modo di dire è ispirato a un aneddoto con Cristoforo Colombo protagonista. Il navigatore genovese, a pranzo con gentiluomini spagnoli, si sentì dire che la scoperta di nuove terre oltre l'Atlantico non era una grande impresa e che chiunque avrebbe potuto compierla. Colombo allora prese un uovo e invitò i commensali a farlo stare diritto. Nessuno ci riuscì e tutti dissero che era impossibile. Colombo schiacciò un po' il guscio e l'uovo stette in piedi. Quando gli dissero che così avrebbero potuto farlo anche loro, rispose : “La differenza è che io l'ho fatto”.

Si dice . . . “ fare tabula rasa “

L'espressione vuol dire eliminare, azzerare, spazzar via tutto ciò che era stato messo in campo per poi ricominciare da capo. La locuzione deriva da un'espressione latina in cui “tabula” si riferisce alla tavoletta cerata che era in uso nell'antica Roma per scrivere. Essa veniva infatti incisa con uno stilo, ossia un'asticella di osso o di metallo con una estremità aguzza. Lo stilo aveva l'altra estremità a forma di raschietto e con essa si ripassava la tavoletta per cancellare il testo, (la si rendeva rasa appunto), per potervi scrivere di nuovo.

Si dice . . . “ andare in vacca “

Può sembrare volgare, ma la locuzione “andare in vacca” o “mandare in vacca” qualcosa, (che ha come significato guastarsi, deteriorarsi, far fallire qualcosa), ha in realtà un'origine agricola, derivando dal gergo della bachicoltura. Un baco da seta viene infatti definito “vacca” quando si ammala di giallume, ossia si gonfia, diventa giallo e flaccido e non riesce più a tessere il prezioso bozzolo, divenendo dunque inutilizzabile per la produzione di seta per la quale è stato allevato.

Si dice . . . “ o la va o la spacca “

Questo diffuso modo di dire si riferisce al tentativo, determinato ma rischioso, di far andar bene qualcosa : o il tentativo va in porto oppure finisce tutto in malo modo. L'origine del detto è incerta. C'è chi lo fa risalire al gioco dei dadi già in voga presso gli antichi romani, in cui il rischio con un tiro sbagliato di perdere la posta in gioco era molto alto, (e dove “spaccare” sarebbe immagine figurata), chi alle gare di tiro cavalleresche. Ma un vecchio adagio marchigiano, “O bbocca lo chiodo o spacco la tavoletta”, (dove bbocca sta per entra), ci fornisce l'indizio che il motto venga dal gergo dei carpentieri.

Si dice . . . “ Conclave “

Il termine Conclave, (dal latino cum e clavis, luogo chiuso a chiave), si riferisce al luogo in cui i cardinali sono rinchiusi per eleggere il Papa, oggi la cappella Sistina. Il motivo di questo nome risale al 1268. Dopo la morte di Papa Clemente IV, la città di Viterbo fu sede dell'elezione papale. Dal momento che dopo 18 mesi i cardinali non riuscivano ad eleggere un Papa, la comunità viterbese inferocita rinchiuse i cardinali nel palazzo vescovile, li mise a pane ed acqua e scoperchiò il tetto. Nonostante queste costrizioni, poi ridotte, i porporati impiegarono ben 1006 giorni per eleggere Papa Gregorio X nel 1271. Quest'ultimo poi stabilì regole ferree per i cardinali elettori allo scopo di accelerare il più possibile le successive elezioni.

Si dice . . . “ lesinare qualcosa “

Vuol dire risparmiare, far mancare, essere parsimoniosi in merito a un intervento da mettere in atto. Alla base dell'espressione sta la lesina, che era un tipico strumento del calzolaio antico, costituito da una piccola asta di ferro appuntita atta a forare il cuoio e il pellame per farvi passare le cuciture. Da ciò prese spunto la “Compagnia della Lesina”, un'opera burlesca di gran successo scritta da Francesco Maria Vialardi nel 1589, in cui si descrivono personaggi tanto taccagni da comprarsi una lesina per confezionarsi e aggiustarsi le scarpe da soli.

Si dice . . . “ bruciare le tappe “

Vuol dire compiere un atto molto rapidamente, superare gli ostacoli e gli indugi raggiungendo l'obbiettivo prima del previsto. L'origine del detto va cercata al tempo delle diligenze, i carri trasporto merci, posta e passeggeri molto in uso prima dell'avvento della ferrovia. I postiglioni, ossia i conduttori delle diligenze, erano spesso costretti a recuperare i grossi ritardi accumulati durante il viaggio e, per velocizzare i tempi, saltavano le stazioni di posta per il cambio dei cavalli.

Si dice . . . “ fare la mosca cocchiera “

Vuol dire attribuirsi dei meriti che non si hanno o si hanno solo in minima parte. Il tutto deriva da una favola di Jean de La Fontaine, ripresa da Fedro, in cui una mosca giunge presso una carrozza dalla quale i passeggeri sono scesi e proseguono a piedi, per favorire i cavalli che percorrono una salita. La mosca sollecita e punge tutti i passeggeri, compreso il cocchiere e i cavalli, intimando loro di far presto. Infine, quando il cocchio si riavvia con i passeggeri a bordo, si prende il merito di aver trascinato lei tutti quanti in cima alla salita.

Si dice . . . “ essere in posizione di stallo “

L'espressione “essere in posizione di stallo”, (dal latino stallum, sosta), indica un conflitto, una vertenza o una trattativa che si trova in un momento in cui nessuna delle parti riesce a prevalere sull'altra, né si riesce a intravedere una via di sblocco della situazione. Si tratta di una trasposizione metaforica dello “stallo”, la situazione del gioco degli scacchi che si verifica quando il re, muovendo, finirebbe sotto scacco e tuttavia il giocatore non può muovere alcun altro pezzo, per cui la partita viene dichiarata patta, cioè in pareggio.


Si dice . . . “ camera ardente “

Viene definito “camera ardente” un locale pubblico o privato, appositamente addobbato, dove viene esposta la salma di un defunto per consentirne la visita prima della sua definitiva sepoltura. L'aggettivo “ardente” deriva da un'usanza molto antica : collocare fiaccole accese nel locale per consentirne la continua illuminazione. Una curiosità : camera ardente fu chiamato anche uno speciale tribunale francese investito di poteri straordinari per giudicare reati eccezionali, come accadde nel 1535 con gli eretici ugonotti. Ciò perchè anche l'aula di quel tribunale era illuminata con fiaccole giorno e notte.

Si dice . . . “ avere la bellezza dell'asino “

Definisce in modo scherzoso un giovane di aspetto fresco e attraente, dovuto con evidenza, però, alla giovane età e destinato quindi a svanire in pochi anni. Questa curiosa definizione ha origine da una frase in lingua francese, “la beautè de l'age”, che vuol dire più propriamente “la bellezza dell'età”. Ma il termine age, età, è stato storpiato nella traduzione passando probabilmente attraverso il piemontese “aso”, (il Piemonte è stato per secoli legato culturalmente alla Francia), ossia “asino”, ed è stato italianizzato alla lettera.

Si dice . . . “ parlare a vanvera “

Vuol dire esprimersi a casaccio, senza senso, in modo disinformato e incauto. Troviamo questa locuzione scritta per la prima volta in un testo del 1565 dello storico e umanista fiorentino Benedetto Varchi. Ma l'espressione, (che in certe zone della Toscana diventa “parlare a bambera”), è da ricercare nel lessico popolare regionale, probabilmente dall'antico fanfera, voce espressiva che vuol dire “cosa da nulla, sciocchezza”, vedi anche fanfalucca, richiamando il suono fan-fan di chi parla farfugliando in modo incomprensibile.

Si dice . . . “ tenere sulla corda “

Vuol dire lasciare senza certezze, in ansia, in tensione. La frase ha origine negli antichi processi, quando per estorcere una confessione si ricorreva a sistemi di tortura crudeli e violenti, tra cui quello detto della corda. All'imputato si legavano i polsi dietro la schiena con una fune, poi lo si collocava in alto con una carrucola, in posizione estremamente dolorosa, fino a quando il malcapitato non ammetteva il reato del quale lo si imputava. E il dolore era tanto atroce, che spesso l'imputato dichiarava reati mai effettivamente compiuti.

Si dice . . . “ restare di sasso “

L'espressione restare di sasso, (o di pietra o di stucco), vuol dire rimanere stupefatti, colpiti, incapaci di reagire ad accadimenti sconvolgenti. L'immagine è chiara : rimanere immobile come una statua. C'è un antico mito greco, quello di Medusa, alla base di questa raffigurazione. Medusa era una delle 3 sorelle Gorgoni, custodi degli Inferi. Punita da Zeus per le sue vanterie, Medusa ebbe serpi velenose al posto dei capelli e uno sguardo capace di pietrificare chiunque lo affrontasse. L'eroe Perseo, incaricato dal suo re di portargli la testa della Gorgone, riuscì a decapitarla utilizzando uno specchio per non guardarla direttamente in viso.

Si dice . . . “ non essere uno stinco di santo “

Indica una persona non propriamente raccomandabile né irreprensibile e, comunque, con evidenti pecche nel proprio comportamento. Questo modo di dire trae origine dal lessico delle devozioni : la tibia, popolarmente detta stinco, è infatti una delle parti ossee più comunemente presenti, (per la maggior propensione di queste ossa a conservarsi), nei reliquiari contenenti i resti dei santi, oggetto di pellegrinaggi e culto da parte dei fedeli.

venerdì 7 giugno 2013

Un disperato appello di una mamma: «toglietemi la cittadinanza Italiana»


Pubblichiamo la lettera di una mamma disperata residente in Trentino, che la stessa ha inviato al Presidente della Repubblica Napolitano e al Presidente del Consiglio Letta. Questa lettera, riportata integralmente è stata pubblicata su quotidiani anche nazionali, suscitando apprensione e in alcuni casi amarezza.

Egregio Sig.Presidente della Repubblica e Sig.Presidente del Consiglio,
«Scrivo questa lettera aperta da inoltrare ai giornali tramite l’ass.ne Legittima Difesa, non scriverò pubblicamente il mio nome onde evitare ulteriori vessazioni da parte di chi dovrebbe tutelare la gente in difficoltà. Io chiedo di perdere la cittadinanza italiana e diventare una extracomunitaria, lo chiedo perchè sono stanca di non poter vivere con mio figlio solo perchè italiana e come italiana non ho diritto ad agevolazioni in materia di aiuto..in particolare di punteggio per l’assegnazione di una casa popolare.
Sono attualmente senza lavoro, dopo anni di lavoro saltuario, nell’ultimo anno dopo la separazione ho vissuto a Milano avevo un lavoretto ed una famiglia che mi ospitava…ma mio figlio , che vive con i nonni, ha cominciato a sentire la mia mancanza..sono quindi tornata nella mia città pur di stare qualche ora al giorno con lui, ospite di amici ..una settimana in un posto, poi altro posto..il sacrificio in attesa della casa popolare..ritenevo di avere tutti i requisiti…volevo ricongiungermi a mio figlio….ma non rende punteggio un solo figlio e non nello stato di famiglia…qualcuno dovrà spiegarmi senza una casa come posso dichiarare un nucleo famigliare….non mi spettano aiuti diversamente dalle famiglie straniere..io italiana non sono gradita nella mia terra…l’Italia è un paese fondato sul lavoro…Bugie….il lavoro è prima per gli stranieri…le case popolari prima agli stranieri…i contributi prima agli stranieri…
Non mi uccido perchè non do questa soddisfazione e poi comunque mio figlio ha bisogno di me..ma vi prego con il cuore toglietemi la cittadinanza Italiana e fatemi diventare extracomunitaria, voglio avere una casa per vivere con mio figlio, mi sento discriminata per essere Italiana…chiaramente questo appello è anche alla Sig.ra Ministro pari opportunità….mi dia le stesse opportunità di chi italiano non è.
Fiduciosa di una risposta..anche se dubito…I miei riferimenti personali sono a conoscenza dell’Ass.ne Legittima Difesa che invierà questa mia richiesta ai giornali».
M.M.

Leggi QUI l'articolo originale.

Franco-bollo, pronto-cassa.

Francobollo Asse Roma-Berlino dalla collezione Alessio Crepaldi

Molti credono che collezionare francobolli sia un passatempo ormai sorpassato. Sta invece ritornando in auge grazie anche alla revoca del governo cinese che in passato impediva di collezionarli per evitare che gli individui accumulassero ricchezza. Gli imprenditori cinesi di successo oggi invece acquistano spesso e volentieri oro e francobolli rari, in quanto rappresentano uno status symbol.
La loro attenzione si concentra al momento solo sul mercato nazionale, portando così i prezzi delle copie cinesi alle stelle. Un esempio è un blocco di 4 francobolli che rappresentano una scimmia su uno sfondo rosso, battuti all'asta in Svizzera alla fine del 2011 per 138mila Franchi svizzeri, (circa 114mila Euro), nonostante il prezzo da catalogo fosse di appena 3mila Franchi.
Ad ottobre 2012, durante un'asta a Hong Kong, altri 2 francobolli del 1941 sono stati battuti per 550mila Euro, in quanto erano caratterizzati da un errore di stampa : il ritratto del leader nazionalista cinese Sun Yat-sen è rovesciato. Anche gli uomini d'affari dell'est Europa si stanno interessando sempre più a questo mercato, e vedono un grosso potenziale di crescita in questi minuscoli pezzetti di carta.
L'indice dei 100 francobolli più ambiti, creato dalla casa d'aste londinese Stanley Gibbons dal 1998 a oggi è aumentato del 65%, confermando così il francobollo come oggetto d'investimento. Tuttavia, intuizione, perseveranza e soprattutto un'ampia conoscenza della materia, sono imprescindibili per fare davvero un buon affare.
Gli esperti ritengono che l'unicità sia uno degli elementi cruciali per determinare il prezzo. Naturalmente questa qualità è molto spesso legata agli esemplari più datati, in quanto vi è un minor numero di pezzi in circolazione. Particolarmente ricercati sono quelli stampati tra il 1840 e il 1880. Anche gli errori di stampa rendono alcuni francobolli un interessante oggetto di investimento, dall'alto potenziale di apprezzamento nel tempo.
Probabilmente i francobolli più famosi al mondo sono i Mauritius blu e arancione con la dicitura Post Office invece di Post Paid, (posta pagata). Nel mondo ci sono solo 4 esemplari mai utilizzati : uno è di proprietà della Regina Elisabetta d'Inghilterra, gli altri si trovano in diversi musei, (a L'Aia, a Londra e alle Mauritius), e sono osservabili solo 10 minuti ogni ora, al fine di proteggerli dalla luce. Pertanto sul mercato si trovano solo quelli usati. Ne esistono circa 12 esemplari blu e 14 arancioni ed è proprio questo il gruppo di francobolli che viene scambiato a livello mondiale, per i migliori prezzi nelle aste.
A Singapore nel 1993, uno sconosciuto ha pagato circa 5,31 milioni di Euro per una lettera che era stata inviata nel 1847, dall'allora colonia britannica di Mauritius a Bordeaux, contenente 2 di questi francobolli, uno nell'edizione arancione e uno in quella blu. Un altro Mauritius blu è stato venduto nello stesso anno per 1,1 milioni di Euro.
Il francobollo più costoso al mondo è però il Treskilling Yellow, (tre scellini giallo), contenente un errore di stampa. Questo è stato stampato nel 1855 in Svezia, e faceva parte della prima serie di francobolli dello stato scandinavo. Un numero imprecisato di francobolli è stato stampato nel colore giallo anziché verde. Si conserva un unico esemplare che fu trovato nella soffitta della nonna, nel 1886, dal giovane collezionista Georg Wilhelm Baeckman, che lo vendette per 7 corone a un rivenditore. Il francobollo, dopo essere passato tra le mani di molti proprietari, nel 1996 è stato venduto per 2 milioni di Euro durante un'asta.
Un'altro record, questa volta tutto italiano, è stato raggiunto durante un'asta a Basilea nel 2011 da un raro francobollo del nostro paese, detto Error of colour, in quanto di colore blu invece dell'allora tradizionale arancione. Il pezzo era conservato su una lettera spedita nel 1859 dalla Sicilia e oggi è il francobollo più costoso d'Italia e il secondo al mondo : 1,8 milioni di Euro.
Un'altro emozionante francobollo e probabilmente il più prezioso nel mondo moderno, è quello stampato nel 2011 da Deutsche Post : mostra l'attrice Audrey Hepburn con cappello e sigaretta. In realtà questo francobollo è stato stampata in 14 milioni di copie, senza tuttavia la previa autorizzazione del figlio della star del cinema. Sean Ferrer ha infatti contestato la stampa, in quanto l'immagine non era fedele a quella originale tratta dal film “Colazione da Tiffany”. I francobolli sono stati quindi ridotti in poltiglia e solo pochissimi sono riusciti a entrare nel mercato, raggiungendo nel 2010 la cifra di 430mila Euro durante un'asta.
Per sapere il valore di un francobollo si possono consultare i cataloghi Michel, Colnect o Philotax. Tuttavia bisogna tenere presente che questi contengono l'ultimo prezzo pagato per un determinato esemplare. Il valore vero quindi, può essere del 20 o anche del 25% superiore rispetto al prezzo di listino. L'importante è non farsi mai trovare impreparati prima di presentarsi a un'asta, in modo da poter fare la miglior offerta.


Consulta :
www.lafilatelia.it , compra-vendita-scambio di francobolli,
www.fsfi.it , info su filatelia, manifestazioni, aste, mercatini.

lunedì 3 giugno 2013

Dagli USA con furore : il co-worker. Opportunità di crescita.


Vi interessa sostituire per qualche mese un collega che lavora alla filiale di New York, o in quella di Shanghai ? Se la vostra specialità è il marketing, che ne direste di “saltare” alla finanza, o nell'ufficio risorse umane, per un periodo determinato ? In America accade sempre più spesso. E' il fenomeno dei co-worker : dipendenti che si scambiano temporaneamente il posto.
Per imparare qualcosa di nuovo, arricchire la propria esperienza, acquisire un punto di vista diverso, allenarsi alla mobilità o semplicemente a una mentalità più aperta e flessibile. E' un fenomeno che merita di essere studiato con attenzione, perchè si tratta di una flessibilità tutta positiva. Un caso in cui il modello americano non è sinonimo di insicurezza.
In Italia, (come del resto in Francia e in Spagna), oggi si parla di flessibilità in modo spesso unilaterale : chi ha un posto di lavoro sente pronunciare questo termine e lo traduce in libertà di licenziare. Ma negli Stati Uniti la flessibilità si declina in tanti modi, e le sue varianti creative sono molto interessanti.
Il co-worker è un fenomeno relativamente nuovo perfino negli Stati Uniti. Un tempo questo tipo di rotazione era riservato ai due estremi della piramide aziendale. I nuovi assunti potevano essere adibiti a mansioni temporanee nell'ambito di un percorso di formazione. Oppure al vertice della gerarchia, i top manager americani sono stati spesso incoraggiati a cimentarsi con sfide diverse, a dirigere filiali all'estero oppure settori di attività differenti all'interno di un conglomerato, per avere una comprensione più larga del business. Dunque le rotazioni frequenti erano un fenomeno minoritario : un rito d'iniziazione per nuovi assunti, o per grandi capi.
La novità oggi è che questo sta diventando un esperimento di massa, aperto a tutti. Secondo uno studio della Society for Human Resource Management, riportato sul Wall Street Journal, nel 2011 il 43% dei datori di lavoro americani hanno offerto in modo sistematico delle opportunità di addestramento e di lavoro “trasversali”, con alternanza in mansioni diverse, per aiutare i dipendenti a sviluppare nuove capacità e nuove attitudini, non limitandosi a un solo tipo di attività.
E questa nuova spinta alla rotazione non viene solo promossa dall'alto ; il management incoraggia i dipendenti a fare da sé, a mettersi in contatto fra loro per trovare le opportunità di “scambio di posizioni”.
Il colosso informatico Intel, numero uno mondiale dei microchip basato nella Silicon Valley californiana, ha creato addirittura una specie di “borsa merci” interni, con un database arricchito quotidianamente, di offerte e richieste di scambio di mansioni di lavoro. In un anno, ben 1300 scambi sono avvenuti in questo modo, con i dipendenti della Intel che si sono messi autonomamente d'accordo con dei colleghi per barattare i propri posti : a volte l'esperimento è durato poche settimane, altre volte un anno intero.
L'utilità è molteplice, secondo il responsabile di questo programma presso la Intel, Amreen Madhani : può servire ad “assaggiare” un nuovo lavoro, prima di candidarsi ufficialmente per ottenere un trasferimento permanente, oppure aiuta il dipendente a crearsi delle relazioni in settori dell'azienda diversi dal suo, che potranno essergli utili in seguito.
In certi casi questo agevola anche le sostituzioni di colleghi che si assentano, per una maternità o un sabbatico. Per l'esperto di management John Sullivan, docente alla San Francisco State University, la diffusione del co-working è uno strumento prezioso sia per la formazione permanente della forza lavoro, in un'epoca di veloce cambiamento, sia per motivare e creare fedeltà tra i dipendenti.
E' di certo una cura contro la monotonia e l'assuefazione. E' un modo per “restare giovani”. In fondo a vent'anni si è molto curiosi e l'idea di cambiare spesso attira : basta vedere il successo meraviglioso del programma Erasmus in Europa, che ha creato una nuova generazione di studenti universitari con una cultura veramente sovranazionale. Da adulti, salvo piccole minoranze di globetrotter, per molte ragioni si finisce col rinunciare alla possibilità del cambiamento.
Se te la offre la tua azienda, all'interno di una stessa organizzazione, è una bella opportunità.


Federico Rampini

sabato 1 giugno 2013

Alessandro Lucchin, il dirigente fantasma.


Recentemente mi sono rivolto all' ARPAV di Rovigo per avere alcune informazioni sulle normative anti-rumore. Mi dissero preliminarmente di rivolgermi all'ing. Alessandro Lucchin, direttore della struttura rodigina.
Appena momentaneamente si era affievolito in me il ricordo di che cosa sono le strutture statali italiane, di chi ci lavora dentro e come ci lavora, o meglio occupa un posto. Affievolito per il semplice fatto che utilizzo quasi esclusivamente strutture pubbliche ceche e slovacche, per espletare la mia attività di consulenza, trovando sempre operatori preparati e veloci, senza perdere mai tempo.
In Italia non è così, non era così tempo fa e le cose nel tempo sono, a mio avviso, peggiorate.
Durante il primo contatto con l'ARPAV di Rovigo, chiesi ovviamente di parlare con il capo struttura, sto famoso ing. Lucchin : vidi immediatamente il terrore negli occhi della segretaria e degli altri suoi collaboratori. Mi si chiese l'argomento di discussione, bla bla e mi si rimandò ad un numero telefonico dove fissare appuntamento. “Ma c'è l'ing. Lucchin in ufficio stamattina ?”, chiesi io. Mi si rispose di no ! Era di martedì mattina, 16 aprile, verso le 9.30, e l'ing. Alessandro Lucchin non era in ufficio. Qualcuno dei spaventati dipendenti presenti all'accoglienza della struttura, abbozzò : “E fuori per emergenza”. Va bene !
Secondo e ultimo contatto il venerdì 19 aprile, sempre di mattina verso le 9.30, ma questa volta voglio registrare con il telefonino l'audio della conversazione ; il file audio è attualmente in memoria sul mio telefonino.
La segretaria dell'accoglienza mi chiede se ho appuntamento e io, molto “italicamente”, rispondo di si ; a questo punto va in giro per la struttura a chiamare l'ing. Lucchin.
Se ne ritorna dopo 5 minuti abbondanti dicendomi, con fare stupito, che non lo trovava da nessuna parte ; praticamente anche il 19 aprile 2013, alle 9.30 di mattina, l'ing. Lucchin non era in ufficio.
A questo punto le dico di fissarmi lei un appuntamento e, sperando in maggiore attenzione, mi qualifico come giornalista della stampa estera : sono infatti membro della AEJ - CZ, poichè collaboro con alcune testate on-line.
A questo punto il Lucchin mi chiama con il telefono, ovviamente dell'ufficio, e all'ora di pranzo e già questo mi basta per rendermelo antipatico. Con un tono tra il seccato e l'annoiato mi dice che non può rilasciare dichiarazioni se non è autorizzato dai suoi superiori, bla bla bla ; alchè gli rispondo di tranquillizzarsi, che non c'è da metterla sulla difensiva ma che volevo solamente fargli alcune domande sull'attività svolta dalla struttura ARPAV. Non né vuol sapere e tronca la telefonata rimandandomi a futuri colloqui con i suoi superiori.
Segue uno sterile scambio di mail, tutto memorizzato sul mio pc, che nulla aggiunge e nulla toglie a questa avventura se non la constatazione che un funzionario pubblico, direttore di una struttura importante come l'ARPAV, per ben 2 giorni, non era presente nei normali orari d'ufficio. Premetto che l'ing. Lucchin è obbligato a ricevere il pubblico, per fornire qualsiasi tipo di informazione, ed è buona norma che riceva anche i giornalisti, considerato poi il suo stipendio annuo lordo di 78.025,66 Euro.
Ma le buone norme non sono di casa tra i dipendenti pubblici italiani che sempre più si dimenticano di essere dei “civil servants” dei servitori dello stato, ma bensì dei “civil fuckers”.
Il brutto è che in Italia, su 3,5 milioni di statali, a parte vigili del fuoco e personale medico e infermieristico, che si guadagnano veramente la pagnotta con professionalità e dedizione, tutti gli altri sono come l'ing. Alessandro Lucchin.
E questo è sicuramente il motivo del perchè l'Italia va particolarmente male in Eurolandia.
Concludo dicendo che alla data di oggi, non ho ancora parlato con l'ing. Lucchin.