Si
dice . . . “ l'uovo di Colombo “
Dire
che qualcosa è “l'uovo di Colombo” si riferisce all'aver dato a
un problema una soluzione semplice ma geniale. Il modo di dire è
ispirato a un aneddoto con Cristoforo Colombo protagonista. Il
navigatore genovese, a pranzo con gentiluomini spagnoli, si sentì
dire che la scoperta di nuove terre oltre l'Atlantico non era una
grande impresa e che chiunque avrebbe potuto compierla. Colombo
allora prese un uovo e invitò i commensali a farlo stare diritto.
Nessuno ci riuscì e tutti dissero che era impossibile. Colombo
schiacciò un po' il guscio e l'uovo stette in piedi. Quando gli
dissero che così avrebbero potuto farlo anche loro, rispose : “La
differenza è che io l'ho fatto”.
Si
dice . . . “ fare tabula rasa “
L'espressione
vuol dire eliminare, azzerare, spazzar via tutto ciò che era stato
messo in campo per poi ricominciare da capo. La locuzione deriva da
un'espressione latina in cui “tabula” si riferisce alla tavoletta
cerata che era in uso nell'antica Roma per scrivere. Essa veniva
infatti incisa con uno stilo, ossia un'asticella di osso o di metallo
con una estremità aguzza. Lo stilo aveva l'altra estremità a
forma di raschietto e con essa si ripassava la tavoletta per
cancellare il testo, (la si rendeva rasa appunto), per potervi
scrivere di nuovo.
Si
dice . . . “ andare in vacca “
Può
sembrare volgare, ma la locuzione “andare in vacca” o “mandare
in vacca” qualcosa, (che ha come significato guastarsi,
deteriorarsi, far fallire qualcosa), ha in realtà un'origine
agricola, derivando dal gergo della bachicoltura. Un baco da seta
viene infatti definito “vacca” quando si ammala di giallume,
ossia si gonfia, diventa giallo e flaccido e non riesce più a
tessere il prezioso bozzolo, divenendo dunque inutilizzabile per la
produzione di seta per la quale è stato allevato.
Si
dice . . . “ o la va o la spacca “
Questo
diffuso modo di dire si riferisce al tentativo, determinato ma
rischioso, di far andar bene qualcosa : o il tentativo va in porto
oppure finisce tutto in malo modo. L'origine del detto è incerta.
C'è chi lo fa risalire al gioco dei dadi già in voga presso gli
antichi romani, in cui il rischio con un tiro sbagliato di perdere la
posta in gioco era molto alto, (e dove “spaccare” sarebbe
immagine figurata), chi alle gare di tiro cavalleresche. Ma un
vecchio adagio marchigiano, “O bbocca lo chiodo o spacco la
tavoletta”, (dove bbocca sta per entra), ci fornisce l'indizio che
il motto venga dal gergo dei carpentieri.
Si
dice . . . “ Conclave “
Il
termine Conclave, (dal latino cum e clavis, luogo chiuso a chiave),
si riferisce al luogo in cui i cardinali sono rinchiusi per eleggere
il Papa, oggi la cappella Sistina. Il motivo di questo nome risale
al 1268. Dopo la morte di Papa Clemente IV, la città di Viterbo fu
sede dell'elezione papale. Dal momento che dopo 18 mesi i cardinali
non riuscivano ad eleggere un Papa, la comunità viterbese inferocita
rinchiuse i cardinali nel palazzo vescovile, li mise a pane ed acqua
e scoperchiò il tetto. Nonostante queste costrizioni, poi ridotte,
i porporati impiegarono ben 1006 giorni per eleggere Papa Gregorio X
nel 1271. Quest'ultimo poi stabilì regole ferree per i cardinali
elettori allo scopo di accelerare il più possibile le successive
elezioni.
Si
dice . . . “ lesinare qualcosa “
Vuol
dire risparmiare, far mancare, essere parsimoniosi in merito a un
intervento da mettere in atto. Alla base dell'espressione sta la
lesina, che era un tipico strumento del calzolaio antico, costituito
da una piccola asta di ferro appuntita atta a forare il cuoio e il
pellame per farvi passare le cuciture. Da ciò prese spunto la
“Compagnia della Lesina”, un'opera burlesca di gran successo
scritta da Francesco Maria Vialardi nel 1589, in cui si descrivono
personaggi tanto taccagni da comprarsi una lesina per confezionarsi e
aggiustarsi le scarpe da soli.
Si
dice . . . “ bruciare le tappe “
Vuol
dire compiere un atto molto rapidamente, superare gli ostacoli e gli
indugi raggiungendo l'obbiettivo prima del previsto. L'origine del
detto va cercata al tempo delle diligenze, i carri trasporto merci,
posta e passeggeri molto in uso prima dell'avvento della ferrovia.
I postiglioni, ossia i conduttori delle diligenze, erano spesso
costretti a recuperare i grossi ritardi accumulati durante il viaggio
e, per velocizzare i tempi, saltavano le stazioni di posta per il
cambio dei cavalli.
Si
dice . . . “ fare la mosca cocchiera “
Vuol
dire attribuirsi dei meriti che non si hanno o si hanno solo in
minima parte. Il tutto deriva da una favola di Jean de La Fontaine,
ripresa da Fedro, in cui una mosca giunge presso una carrozza dalla
quale i passeggeri sono scesi e proseguono a piedi, per favorire i
cavalli che percorrono una salita. La mosca sollecita e punge tutti
i passeggeri, compreso il cocchiere e i cavalli, intimando loro di
far presto. Infine, quando il cocchio si riavvia con i passeggeri a
bordo, si prende il merito di aver trascinato lei tutti quanti in
cima alla salita.
Si
dice . . . “ essere in posizione di stallo “
L'espressione
“essere in posizione di stallo”, (dal latino stallum,
sosta), indica un conflitto, una vertenza o una trattativa che si
trova in un momento in cui nessuna delle parti riesce a prevalere
sull'altra, né si riesce a intravedere una via di sblocco della
situazione. Si tratta di una trasposizione metaforica dello
“stallo”, la situazione del gioco degli scacchi che si verifica
quando il re, muovendo, finirebbe sotto scacco e tuttavia il
giocatore non può muovere alcun altro pezzo, per cui la partita
viene dichiarata patta, cioè in pareggio.
Si
dice . . . “ camera ardente “
Viene
definito “camera ardente” un locale pubblico o privato,
appositamente addobbato, dove viene esposta la salma di un defunto
per consentirne la visita prima della sua definitiva sepoltura.
L'aggettivo “ardente” deriva da un'usanza molto antica :
collocare fiaccole accese nel locale per consentirne la continua
illuminazione. Una curiosità : camera ardente fu chiamato anche
uno speciale tribunale francese investito di poteri straordinari per
giudicare reati eccezionali, come accadde nel 1535 con gli eretici
ugonotti. Ciò perchè anche l'aula di quel tribunale era
illuminata con fiaccole giorno e notte.
Si
dice . . . “ avere la bellezza dell'asino “
Definisce
in modo scherzoso un giovane di aspetto fresco e attraente, dovuto
con evidenza, però, alla giovane età e destinato quindi a svanire
in pochi anni. Questa curiosa definizione ha origine da una frase
in lingua francese, “la beautè de l'age”, che vuol dire più
propriamente “la bellezza dell'età”. Ma il termine age, età,
è stato storpiato nella traduzione passando probabilmente attraverso
il piemontese “aso”, (il Piemonte è stato per secoli legato
culturalmente alla Francia), ossia “asino”, ed è stato
italianizzato alla lettera.
Si
dice . . . “ parlare a vanvera “
Vuol
dire esprimersi a casaccio, senza senso, in modo disinformato e
incauto. Troviamo questa locuzione scritta per la prima volta in un
testo del 1565 dello storico e umanista fiorentino Benedetto Varchi.
Ma l'espressione, (che in certe zone della Toscana diventa “parlare
a bambera”), è da ricercare nel lessico popolare regionale,
probabilmente dall'antico fanfera, voce espressiva che vuol dire
“cosa da nulla, sciocchezza”, vedi anche fanfalucca, richiamando
il suono fan-fan di chi parla farfugliando in modo incomprensibile.
Si
dice . . . “ tenere sulla corda “
Vuol
dire lasciare senza certezze, in ansia, in tensione. La frase ha
origine negli antichi processi, quando per estorcere una confessione
si ricorreva a sistemi di tortura crudeli e violenti, tra cui quello
detto della corda. All'imputato si legavano i polsi dietro la
schiena con una fune, poi lo si collocava in alto con una carrucola,
in posizione estremamente dolorosa, fino a quando il malcapitato non
ammetteva il reato del quale lo si imputava. E il dolore era tanto
atroce, che spesso l'imputato dichiarava reati mai effettivamente
compiuti.
Si
dice . . . “ restare di sasso “
L'espressione
restare di sasso, (o di pietra o di stucco), vuol dire rimanere
stupefatti, colpiti, incapaci di reagire ad accadimenti sconvolgenti.
L'immagine è chiara : rimanere immobile come una statua. C'è un
antico mito greco, quello di Medusa, alla base di questa
raffigurazione. Medusa era una delle 3 sorelle Gorgoni, custodi
degli Inferi. Punita da Zeus per le sue vanterie, Medusa ebbe serpi
velenose al posto dei capelli e uno sguardo capace di pietrificare
chiunque lo affrontasse. L'eroe Perseo, incaricato dal suo re di
portargli la testa della Gorgone, riuscì a decapitarla utilizzando
uno specchio per non guardarla direttamente in viso.
Si
dice . . . “ non essere uno stinco di santo “
Indica
una persona non propriamente raccomandabile né irreprensibile e,
comunque, con evidenti pecche nel proprio comportamento. Questo
modo di dire trae origine dal lessico delle devozioni : la tibia,
popolarmente detta stinco, è infatti una delle parti ossee più
comunemente presenti, (per la maggior propensione di queste ossa a
conservarsi), nei reliquiari contenenti i resti dei santi, oggetto di
pellegrinaggi e culto da parte dei fedeli.