est consulting

est consulting
Il primo portale dedicato all'investitore italiano in Rep. Ceca e Slovacchia

mercoledì 12 giugno 2013

Modi di dire 16


Si dice . . . “ l'uovo di Colombo “

Dire che qualcosa è “l'uovo di Colombo” si riferisce all'aver dato a un problema una soluzione semplice ma geniale. Il modo di dire è ispirato a un aneddoto con Cristoforo Colombo protagonista. Il navigatore genovese, a pranzo con gentiluomini spagnoli, si sentì dire che la scoperta di nuove terre oltre l'Atlantico non era una grande impresa e che chiunque avrebbe potuto compierla. Colombo allora prese un uovo e invitò i commensali a farlo stare diritto. Nessuno ci riuscì e tutti dissero che era impossibile. Colombo schiacciò un po' il guscio e l'uovo stette in piedi. Quando gli dissero che così avrebbero potuto farlo anche loro, rispose : “La differenza è che io l'ho fatto”.

Si dice . . . “ fare tabula rasa “

L'espressione vuol dire eliminare, azzerare, spazzar via tutto ciò che era stato messo in campo per poi ricominciare da capo. La locuzione deriva da un'espressione latina in cui “tabula” si riferisce alla tavoletta cerata che era in uso nell'antica Roma per scrivere. Essa veniva infatti incisa con uno stilo, ossia un'asticella di osso o di metallo con una estremità aguzza. Lo stilo aveva l'altra estremità a forma di raschietto e con essa si ripassava la tavoletta per cancellare il testo, (la si rendeva rasa appunto), per potervi scrivere di nuovo.

Si dice . . . “ andare in vacca “

Può sembrare volgare, ma la locuzione “andare in vacca” o “mandare in vacca” qualcosa, (che ha come significato guastarsi, deteriorarsi, far fallire qualcosa), ha in realtà un'origine agricola, derivando dal gergo della bachicoltura. Un baco da seta viene infatti definito “vacca” quando si ammala di giallume, ossia si gonfia, diventa giallo e flaccido e non riesce più a tessere il prezioso bozzolo, divenendo dunque inutilizzabile per la produzione di seta per la quale è stato allevato.

Si dice . . . “ o la va o la spacca “

Questo diffuso modo di dire si riferisce al tentativo, determinato ma rischioso, di far andar bene qualcosa : o il tentativo va in porto oppure finisce tutto in malo modo. L'origine del detto è incerta. C'è chi lo fa risalire al gioco dei dadi già in voga presso gli antichi romani, in cui il rischio con un tiro sbagliato di perdere la posta in gioco era molto alto, (e dove “spaccare” sarebbe immagine figurata), chi alle gare di tiro cavalleresche. Ma un vecchio adagio marchigiano, “O bbocca lo chiodo o spacco la tavoletta”, (dove bbocca sta per entra), ci fornisce l'indizio che il motto venga dal gergo dei carpentieri.

Si dice . . . “ Conclave “

Il termine Conclave, (dal latino cum e clavis, luogo chiuso a chiave), si riferisce al luogo in cui i cardinali sono rinchiusi per eleggere il Papa, oggi la cappella Sistina. Il motivo di questo nome risale al 1268. Dopo la morte di Papa Clemente IV, la città di Viterbo fu sede dell'elezione papale. Dal momento che dopo 18 mesi i cardinali non riuscivano ad eleggere un Papa, la comunità viterbese inferocita rinchiuse i cardinali nel palazzo vescovile, li mise a pane ed acqua e scoperchiò il tetto. Nonostante queste costrizioni, poi ridotte, i porporati impiegarono ben 1006 giorni per eleggere Papa Gregorio X nel 1271. Quest'ultimo poi stabilì regole ferree per i cardinali elettori allo scopo di accelerare il più possibile le successive elezioni.

Si dice . . . “ lesinare qualcosa “

Vuol dire risparmiare, far mancare, essere parsimoniosi in merito a un intervento da mettere in atto. Alla base dell'espressione sta la lesina, che era un tipico strumento del calzolaio antico, costituito da una piccola asta di ferro appuntita atta a forare il cuoio e il pellame per farvi passare le cuciture. Da ciò prese spunto la “Compagnia della Lesina”, un'opera burlesca di gran successo scritta da Francesco Maria Vialardi nel 1589, in cui si descrivono personaggi tanto taccagni da comprarsi una lesina per confezionarsi e aggiustarsi le scarpe da soli.

Si dice . . . “ bruciare le tappe “

Vuol dire compiere un atto molto rapidamente, superare gli ostacoli e gli indugi raggiungendo l'obbiettivo prima del previsto. L'origine del detto va cercata al tempo delle diligenze, i carri trasporto merci, posta e passeggeri molto in uso prima dell'avvento della ferrovia. I postiglioni, ossia i conduttori delle diligenze, erano spesso costretti a recuperare i grossi ritardi accumulati durante il viaggio e, per velocizzare i tempi, saltavano le stazioni di posta per il cambio dei cavalli.

Si dice . . . “ fare la mosca cocchiera “

Vuol dire attribuirsi dei meriti che non si hanno o si hanno solo in minima parte. Il tutto deriva da una favola di Jean de La Fontaine, ripresa da Fedro, in cui una mosca giunge presso una carrozza dalla quale i passeggeri sono scesi e proseguono a piedi, per favorire i cavalli che percorrono una salita. La mosca sollecita e punge tutti i passeggeri, compreso il cocchiere e i cavalli, intimando loro di far presto. Infine, quando il cocchio si riavvia con i passeggeri a bordo, si prende il merito di aver trascinato lei tutti quanti in cima alla salita.

Si dice . . . “ essere in posizione di stallo “

L'espressione “essere in posizione di stallo”, (dal latino stallum, sosta), indica un conflitto, una vertenza o una trattativa che si trova in un momento in cui nessuna delle parti riesce a prevalere sull'altra, né si riesce a intravedere una via di sblocco della situazione. Si tratta di una trasposizione metaforica dello “stallo”, la situazione del gioco degli scacchi che si verifica quando il re, muovendo, finirebbe sotto scacco e tuttavia il giocatore non può muovere alcun altro pezzo, per cui la partita viene dichiarata patta, cioè in pareggio.


Si dice . . . “ camera ardente “

Viene definito “camera ardente” un locale pubblico o privato, appositamente addobbato, dove viene esposta la salma di un defunto per consentirne la visita prima della sua definitiva sepoltura. L'aggettivo “ardente” deriva da un'usanza molto antica : collocare fiaccole accese nel locale per consentirne la continua illuminazione. Una curiosità : camera ardente fu chiamato anche uno speciale tribunale francese investito di poteri straordinari per giudicare reati eccezionali, come accadde nel 1535 con gli eretici ugonotti. Ciò perchè anche l'aula di quel tribunale era illuminata con fiaccole giorno e notte.

Si dice . . . “ avere la bellezza dell'asino “

Definisce in modo scherzoso un giovane di aspetto fresco e attraente, dovuto con evidenza, però, alla giovane età e destinato quindi a svanire in pochi anni. Questa curiosa definizione ha origine da una frase in lingua francese, “la beautè de l'age”, che vuol dire più propriamente “la bellezza dell'età”. Ma il termine age, età, è stato storpiato nella traduzione passando probabilmente attraverso il piemontese “aso”, (il Piemonte è stato per secoli legato culturalmente alla Francia), ossia “asino”, ed è stato italianizzato alla lettera.

Si dice . . . “ parlare a vanvera “

Vuol dire esprimersi a casaccio, senza senso, in modo disinformato e incauto. Troviamo questa locuzione scritta per la prima volta in un testo del 1565 dello storico e umanista fiorentino Benedetto Varchi. Ma l'espressione, (che in certe zone della Toscana diventa “parlare a bambera”), è da ricercare nel lessico popolare regionale, probabilmente dall'antico fanfera, voce espressiva che vuol dire “cosa da nulla, sciocchezza”, vedi anche fanfalucca, richiamando il suono fan-fan di chi parla farfugliando in modo incomprensibile.

Si dice . . . “ tenere sulla corda “

Vuol dire lasciare senza certezze, in ansia, in tensione. La frase ha origine negli antichi processi, quando per estorcere una confessione si ricorreva a sistemi di tortura crudeli e violenti, tra cui quello detto della corda. All'imputato si legavano i polsi dietro la schiena con una fune, poi lo si collocava in alto con una carrucola, in posizione estremamente dolorosa, fino a quando il malcapitato non ammetteva il reato del quale lo si imputava. E il dolore era tanto atroce, che spesso l'imputato dichiarava reati mai effettivamente compiuti.

Si dice . . . “ restare di sasso “

L'espressione restare di sasso, (o di pietra o di stucco), vuol dire rimanere stupefatti, colpiti, incapaci di reagire ad accadimenti sconvolgenti. L'immagine è chiara : rimanere immobile come una statua. C'è un antico mito greco, quello di Medusa, alla base di questa raffigurazione. Medusa era una delle 3 sorelle Gorgoni, custodi degli Inferi. Punita da Zeus per le sue vanterie, Medusa ebbe serpi velenose al posto dei capelli e uno sguardo capace di pietrificare chiunque lo affrontasse. L'eroe Perseo, incaricato dal suo re di portargli la testa della Gorgone, riuscì a decapitarla utilizzando uno specchio per non guardarla direttamente in viso.

Si dice . . . “ non essere uno stinco di santo “

Indica una persona non propriamente raccomandabile né irreprensibile e, comunque, con evidenti pecche nel proprio comportamento. Questo modo di dire trae origine dal lessico delle devozioni : la tibia, popolarmente detta stinco, è infatti una delle parti ossee più comunemente presenti, (per la maggior propensione di queste ossa a conservarsi), nei reliquiari contenenti i resti dei santi, oggetto di pellegrinaggi e culto da parte dei fedeli.

Nessun commento:

Posta un commento