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venerdì 30 agosto 2013

Continua la lotta al contante. Libertà sempre più a rischio.

Dell'amico Leonardo Facco voglio sottoporVi questo pezzo che denuncia l'ennesima deriva statalista. Dal I° gennaio 2014 sarà obbligo di pagamento delle parcelle tramite POS per tutti gli studi professionali. Non mi dilungo oltre nel commentare questa insensata e distruttiva normativa, sapete tutti come la penso a proposito. Io personalmente non ho mai smesso di aderire a “Contante Libero”, perchè penso sia una crociata importante e sacrosanta. Non esclusivamente per il diritto ad avere in tasca tutto il contante che vogliamo, e altresì pagare come più ci aggrada, ma perchè proprio la libertà individuale viene continuamente e seriamente calpestata in questa specie di paese chiamato Italia. E queste norme folli, che non hanno antefatti in giro per l'Europa e il mondo, vanno proprio nella direzione della totale eliminazione della libertà individuale. ATTENZIONE !
 
I “sanculotti” tricoloriti, ergo i più radicali tra i partigiani dell’involuzione fiscale italiana, probabilmente non hanno mai visto in tv programmi tipo “Affari di famiglia”, “Fast & Loud”, “Affari a tutti i costi” o “Affari al buio”. Sono dei format spassosi – nell’America in cui se si evade si va in galera, come piace raccontare alle zecche nostrane – dove le parti contraenti (venditore e compratore) si scambiano oggetti, o automobili, pagando anche decine di migliaia di dollari… orgogliosamente in contanti!
I nipotini di Robespierre, alla Tinti e Travaglio per capirci, invece, hanno come loro immaginetta televisiva Milena Gabanelli, una sottospecie di “Giovanna d’Arco” della lotta al denaro liquido, banconote o monete che siano. Per questi ignoranti economici, la lotta all’evasione non si fa abbassando le tasse e semplificando quel putrido sistema fiscale che fa dell’Italia una barzelletta mondiale ed un paese in via di sottosviluppo. Niente affatto, per eliminare il “nero” (impresa utopica e insensata) bisogna – secondo loro – far sparire i pagamenti in contanti.
Ebbene, tra non molto, questi onanisti equitaliani avranno motivo di gioire e continuare a scrivere qualche articolessa “demo-proletaria” intingendo la penna nel curaro di Stato. Tra le scadenze che riguarderanno i Professionisti, infatti, c’è quella del Capodanno prossimo, giorno a partire dal quale tutti gli Studi Professionali saranno costretti a utilizzare il POS (Point of Sale) per ricevere i pagamenti dai clienti. Riporta il sito www.ediltecnico.it : “Il motivo della decisione, confermata definitivamente tramite la pubblicazione del decreto sviluppo bis in Gazzetta Ufficiale avvenuta nel dicembre 2012, è da ricercare nella volontà di aumentare i pagamenti in moneta elettronica per combattere l’evasione fiscale. Tutto porterà a utilizzare meno i contanti e quindi a una maggiore tracciabilità dei pagamenti”.Il famoso divieto di usare più di 999 euro in bigliettoni continua ad essere il mantra insomma.
Qualche dettaglio del provvedimento a titolo informativo. “Bancomat, carte di credito e carte prepagate: con l’introduzione del POS obbligatorio, il professionista dovrà accettare il pagamento tramite moneta elettronica. Il POS permetterà agli studi di leggere e accettare pagamenti tramite carte di debito (bancomat) accreditando l’importo direttamente in conto corrente. Oltre al bancomat, se l’onere a loro carico non supera quello di quest’ultimo, i professionisti dovranno accettare le carte di credito e le carte prepagate.
Il POS, le banche e i professionisti: le banche chiederanno con ogni probabilità l’aumento delle commissioni: per ciascun pagamento effettuato elettronicamente scatta l’obolo telematico e aumentano le entrate nelle casse delle banche. L’acquisto del POS comporta inoltre una spesa non da poco per il professionista, sia per l’acquisto e l’installazione, sia per il canone da pagare mensilmente”.
 
Scrive ancora www.ediltecnico.it : “Alla luce di questa considerazioni, l’introduzione del POS ha suscitato molto interesse sulla rete. Uno dei motivi della “protesta” via web consiste nel fatto che molti clienti pagano con bonifici bancari o assegni, attraverso i quali le transazioni sono comunque tracciabili, senza ricorrere al POS. E allora perché l’obbligo? Si tratta secondo molti, di un aiutino dato alle banche. D’altro canto, però, l’utilizzo del POS potrebbe servire per fare pagare subito i clienti che scompaiono dopo aver promesso bonifici”. Ancora: “Precisiamo comunque che, come spesso succede nei casi in cui in Italia si stabilisce con chiarezza l’obbligo ma non i termini che ti permettono di rispettarlo, modalità e termini di pagamento sono stati rimandati a un non meglio definito decreto interministeriale. Quel decreto, forse, introdurrà anche la possibilità di pagare tramite dispositivi mobili”. Tra un “forse” ed un “non meglio definito decreto”, a bananaland Italia la cosa funzionerà così in pratica: la legge c’è, per taluni si applicherà e per altri si interpreterà… capisciammè!
Come ebbi modo di scrivere tempo fa, con Monti si è cominciato ad abituare le greggi alla soglia dei mille euro. Prima o poi, la ridurranno. Ora, si insiste con la panzana della necessità del denaro elettronico per poter controllare meglio come spendiamo i nostri soldi (Loro, dei nostri soldi possono impunemente farne strame). Domani – col supporto infame dei cannoni mediatici dei loro lacché – riusciranno a convincere che essere schiavi è bello.
Lo torno ad urlare a squarciagola: l’abolizione del contante è una misura liberticida, totalitaria, da Stato ladro. Marshall McLuhan sosteneva che “i soldi sono la carta di credito di un uomo povero”. Rick Harrison è il titolare di quel negozio di pegni di Las Vegas (Gold & Silver) in cui si gira “Affari di Famiglia”. Lascio alle sue parole la chiosa di questo pezzo: “Il governo ci sta distruggendo”!

Leonardo Facco

Leggi QUI l'articolo originale.

lunedì 26 agosto 2013

Euro come, quando e perchè. Un'analisi controcorrente.

E' veramente un punto di vista fuori dell'ordinario che Vi propongo oggi : la moneta unica come strumento di controllo delle economie e dei mercati, nelle mani di un non bene identificato nuovo ordine supremo europeo. Non per voler palesare le solite tesi complottistiche che tanto sono care ai detrattori della moneta unica, ma è certo che nulla ci fa intravedere spiragli di luce in questa strana e quanto mai pericolosa invenzione finanziaria dal nome Euro. L'intento della sua creazione sarebbe stato quello di generare prosperità e benessere, e invece, all'esatto opposto, ha generato miseria e disoccupazione. Almeno per la maggior parte dei paesi aderenti ; non è stato così per la Germania, che più di tutti ne ha beneficiato in termini economici. Un punto di vista diverso, interessante, da leggere !


La "filosofia" alle spalle del progetto Euro

La struttura dell'Unione europea (UE) derivante dai trattati di Maastricht (1991) e di
Amsterdam (1997)
è la conseguenza logica dell'economia che c'è dietro. Un'attenta lettura della bibliografia
autorizzata –
il rapporto Emerson (1990) e il rapporto Fitoussi (1998) – dimostra che ciò che possiamo
chiamare
“Euro-economia” ha due fondamenti teorici principali:

da un lato, è fondata sulla teoria generale dell'unione monetaria, che è stata spiegata
dettagliatamente negli
anni
sessanta del ventesimo secolo da Mundell. La teoria pura dell'unione monetaria non è
altro che una
generalizzazione della teoria neoclassica mengeriana del denaro. Menger (1892) intendeva
spiegare
perché
il baratto si sia evoluto in un sistema monetario come conseguenza delle libere scelte di
singoli operatori
che
cercavano di ottimizzare la propria ricchezza. Uno spazio economico plurivalutario deve
evolversi in uno
spazio economico monovalutario tramite il medesimo procedimento.

Dall'altro lato, la generalizzazione della teoria mengeriana ha avuto successo per via
dell'influenza
esercitata
da un potente gruppo di economisti e tecnocrati francesi (qualcuno anche tedesco)
sul processo
storico
che
ha condotto all'Euro. Quello che possiamo chiamare il gruppo dei “tecno-classici” ha
magicamente
trasformato l'astratta teoria mengeriana in una serie di princìpi economici che costituirebbero
l'infrastruttura
dell'unione monetaria. Ci sono riusciti grazie all'appoggio incondizionato che hanno ricevuto
fin dal
principio
dalla classe dirigente politica, la quale credeva che l'unione monetaria fosse la
condicio sine qua non di
un
nuovo ordine illuminato che proteggesse la gestione dell'economia dai capricci imposti
dal popolo.
Carl Menger è il vero fondatore della teoria neoclassica pura del denaro[2]. Con questo suo
fondamentale
contributo egli vuole dimostrare come l'avvento del denaro sia la conseguenza naturale
della
massimizzazione
della ricchezza da parte di singoli operatori. Di conseguenza, logicamente, il denaro è
indipendente
da
qualsiasi intervento da parte dello Stato, e questo dimostra che è necessario difendere
il denaro
dallo Stato.






La scuola "tecno-classica" europea e il "nuovo ordine europeo"

La teoria mengeriana ha riscontrato successo in Europa perché è diventata il nocciolo duro di un piano 
a lunghissimo periodo, sviluppatosi negli ultimi trent'anni del ventesimo secolo per culminare nei trattati 
di Maastricht (1991) e di Amsterdam (1997). Per almeno sessant'anni, quel piano è stato caldeggiato 
 da una potente lobby che possiamo soprannominare “scuola tecno-classica europea”[3].
Viene giudicata “europea” poiché tutti i suoi appartenenti si trovano in Germania e soprattutto in 
Francia, sognando un “nuovo ordine europeo” che rifiutasse sia il modello americano, tanto odiato 
per via dei suoi mercati finanziari deregolati e guidati dalla speculazione, che, ovviamente, il modello 
statalista sovietico.
Gli europei desideravano realizzare un capitalismo guidato che fosse sottomesso alle leggi della 
sola ragione, anziché a quelle dell'avidità come avveniva negli Stati Uniti. Il concetto di 
nuovo ordine europeo” era di primaria importanza per i principali attori del piano, come gli 
esperti del redressement français che ruotavano intorno a André Tardieu[4], come 
François Perroux[5] negli anni quaranta, cinquanta e sessanta del secondo dopoguerra, e come 
pure Jacques Rueff, una delle menti del piano.
Per tutti quanti loro, economia e società erano legate a doppio filo. L'instaurazione di un nuovo 
ordine sociale in Europa non era soltanto lo sviluppo naturale del “nuovo ordine economico”, 
 ma da esso dipendeva anche la sua esistenza (Rueff, 1945 e Perroux, 1954).
I tecno-classici europei disprezzavano la democrazia parlamentare di vecchio stampo perché, 
secondo Rueff (1945, 1958), essa è calibrata in modo da rimpiazzare le leggi naturali 
dell'economia, cioè la teoria neoclassica generale del valore, con i capricciosi interessi del 
“popolo” basati sui “falsi diritti” creati dallo Stato[6]. La futura Europa doveva essere 
organizzata da un qualche dispotismo illuminato, da un promotore kantian-walrasiano. Perfino 
sostenitori come Jean Monnet[7], i quali non condividevano il tenace antiamericanismo degli altri 
 europei, erano convinti dell'incompatibilità fra il naturale ordine economico e la democrazia formale.
Perroux (1954) aveva spiegato perché un piano del genere poteva avere successo soltanto in 
Europa e in nessun altro luogo. Il cosiddetto “nocciolo europeo”, che comprende Francia, 
 Germania, Italia, Spagna, Portogallo e i paesi del Benelux, era stato protetto contro i semi della 
corruzione della dottrina americana del mercato guidata dall'avidità. Le élite europee avevano 
compreso che per creare un capitalismo guidato, forte abbastanza da competere per l'egemonia 
con quello americano, è necessario un vero “ordine”. “L'ordine” è alla base della cultura europea; 
al contrario, gli americani non possono afferrare il concetto di “ordine naturale”[8].
Il “nuovo ordine” doveva essere supportato da uno spazio integrato sufficiente. Ferguson (1997) ha 
 evidenziato l'impatto che ha avuto ciò che egli chiama “determinismo geografico” sui pianificatori 
europei, sia tedeschi che francesi. Prendendo le mosse dallo storico francese Fernand Braudel (1980), 
 Perroux e altri, tra cui Monnet, erano convinti che lo spazio disponibile, in termini di mercati 
integrati, rappresentasse l'infrastruttura fondamentale dell'economia. Per competere col 
 capitalismo statunitense, il capitalismo europeo ha bisogno di uno spazio di supporto 
che comprenda tutta l'Europa.
Rueff, Perroux e gli altri europei erano ossessionati dall'imperativo scientifico kantiano che 

imponeva di proteggere la gestione dell'economia dall'inutile e capriccioso esercito 
 ottuso della “politica”. Essendo parte di una struttura di potere, questi europei detestavano i 
dibattiti accademici o intellettuali e sapevano che per imporre il loro programma dovevano 
accrescere il loro potere convincendo gli esponenti politici più in vista.
Ci sono riusciti guadagnandosi prima il supporto incondizionato dei conservatori di centro e 
dei partiti cattolici di centrodestra, poi quello di De Gaulle e infine quello di 
François Mitterrand, che è stato il vero leader europeo ispirato che i pianificatori europei sognavano 
sin dalla fine degli anni trenta[9].
I tecnocrati pro-europei dovrebbero essere considerati “classici” poiché, a partire da Rueff e 
Perroux fino ad arrivare ai moderni attori, come la cosiddetta scuola francese di controllo di 
Aglietta e soci, la loro visione dell'economia è costituta in una serie di postulati che, come 
sosteneva Keynes, erano l'essenza dell'economia classica. Rueff [10] e Aglietta, uno dei 
massimi esperti della Commissione Europea sulle questioni monetarie, condividevano con 
Jacques Delors, uno dei più influenti artefici dell'unione monetaria, un totale disprezzo verso 
Keynes (Parguez, 1998).

I principi della moneta unica europea
  1. In un'unione monetaria di tipo mengeriano, c'è un unico set di prezzi in termini 
    di merce-moneta, compreso il lavoro, che generano un equilibrio generale e una distribuzione
     ottimale delle risorse.
    Ipotizzando dei mercati perfettamente flessibili, quindi privi di interventi esterni, il 

    tâtonnement [= aggiustamento, N.d.R.] imporrà sempre dei prezzi di equilibrio. Lì la 
    legge di Say [secondo la quale l'offerta è sempre in grado di creare la propria domanda, N.d.R.]
     è valida, perché la produttività non può essere imposta dalla domanda fino a quando la 
    transazione avviene in merce-moneta, la quale è abbastanza scarsa da fornire agli individui il valore 
    costante richiesto.
  2. La valuta unica deve essere quindi assolutamente esogena [= determinata da fattori 
    esterni, N.d.R.] per quanto riguarda la domanda, che include anche la richiesta di denaro da 
    parte degli individui. Quindi, è la Banca Centrale Europea (BCE) a determinare la 
    fornitura di moneta.
  3. In accordo con la logica mengeriana, la moneta non esiste se non ha un valore intrinseco così alto 
    da indurre gli individui razionali a volerla possedere. La moneta non può acquisire questo 
    valore necessario se non è un bene scarso. E la moneta è scarsa soltanto se viene 
    gestita da una Banca Centrale, la quale si impegna a garantire che l’inflazione si 
    mantenga stabilmente a bassi livelli [11].
  4. Dato che la Banca Centrale è la sola fonte di moneta, essa deve essere difesa contro la 
    depravazione dei “politici spendaccioni” che corteggiano un elettorato ignorante
    Rueff (1945) aveva illustrato la famosa dottrina dei “falsi diritti” che divenne la pietra 
    angolare dell'economia dell'unione monetaria pianificata.
    Quando uno stato è in deficit, ciò significa che una porzione delle sue spese è finanziata dalla 

    creazione di moneta da parte della Banca Centrale. Rueff sosteneva che il deficit permettesse allo 
    Stato di mantenere gli individui improduttivi grazie ai programmi sociali e alle politiche di sussidio.
    La creazione di moneta equivale alla quantità di “falsi diritti” concessi agli 

    improduttivi. Per dirla in termini rueffiani, gli improduttivi, avvalendosi dei propri 
    “falsi diritti”, provocano inflazione, la quale porta a un trasferimento forzato di una porzione del 
     prodotto dai produttivi alla “clientela” dei politici (coloro che li votano perché vivono del loro 
    sperpero). Dal punto di vista dei produttivi, quindi, la creazione di moneta ad uso dello 
    Stato è una tassa, in contraddizione con la distribuzione ottimale delle risorse.
La dottrina dei “falsi diritti” ha portato Rueff e i suoi seguaci alla conclusione che la Banca Centrale 
non deve mai creare moneta per alcuna autorità pubblica, quindi deve essere totalmente 
indipendente dagli Stati membri della futura unione monetaria.
Questa indipendenza è garantita da due vincoli all'interno della struttura istituzionale dell'unione 
monetaria:


I. Alla Banca Centrale Europea è severamente proibito creare moneta che potrebbe 
 finanziare la spesa degli Stati membri.
II. Gli Stati membri devono avere come obiettivo minimo il pareggio di bilancio [12].


La riluttanza e lo scetticismo di molti economisti verso la moneta unica emergono bene dal lavoro di 
L. Jonung e E. Drea dal titolo “The euro: It can’t happen, It’s a bad idea, It won’t last. 
US economists on the EMU, 1989 - 2002” [13], il quale paradossalmente nasceva con l’intento di 
dimostrare come le analisi di circa 170 economisti USA, che tra il 1989 e il 2002 studiarono ed 
evidenziarono i difetti intrinseci nell'Euro, fossero sbagliate, in funzione del fatto che l’euro stesso era 
 “sopravvissuto” alle catastrofiche previsioni degli stessi analisti ed economisti; la realtà, invece, ha 
finito semplicemente col confermare come le loro previsioni si stiano avverando negli ultimi anni, e come 
i sintomi fossero ben visibili fin dall'inizio[14].
A tal proposito ci sentiamo di menzionare una analisi compiuta nel 2011 dal Prof. Bagnai, dal 
 significativo titolo “Euro: una catastrofe annunciata[15]. Risulta poi curiosa, sempre in tale ambito, la 
disamina compiuta dal Prof. Friedman, noto monetarista e convinto assertore della “superiorità” del 
mercato e della libera concorrenza:
Dal punto di vista scientifico l'euro è la cosa più interessante. Penso che sarà un miracolo – un miracolo 
un po' difficile. Penso che sia altamente improbabile che sia avviato ad essere un gran successo. 
 Ma diventerà molto interessante vedere come funziona” [16].
Il processo di creazione dell’unione monetaria, iniziato al termine degli anni ‘80, è stato scandito da 
alcune importanti tappe storiche che ne hanno modellato le caratteristiche fondanti. Il Trattato di 
Maastricht (1992) istituisce l’unità di conto europea ECU, progenitrice della moneta unica che sarebbe 
entrata in vigore nel 2001, e impone ai Paesi che si avviano verso l'unificazione delle valute due vincoli di 
bilancio:
a) un tetto massimo del 60% per il rapporto debito/PIL;
b) un vincolo del 3% per il rapporto deficit/PIL annuale.
I successivi sviluppi del processo di avvicinamento verso l’euro sono segnati da una crescente attenzione 
verso l’irrigidimento delle politiche fiscali dei Paesi membri: su tutte il divieto di finanziamento 
 monetario degli Stati membri da parte della BCE [17] e le sue collegate e l’introduzione del vincolo del 
pareggio di bilancio di lungo periodo (Patto di Stabilità e Crescita 1998).
Il tutto culmina nel 1999 mediante la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio delle 
 monete nazionali, e successiva introduzione della moneta unica due anni dopo.

Note :

[1] Alain Parguez è professore emerito di Economia all’università di Franche-Comte, Besançon 
(Francia) ed associato presso l’istituto di Economia presso 
l’Università di Ottawa, Canadahttp://cas.umkc.edu/econ/economics/News/PARGUEZ.html

[2]
I teoremi mengeriani sono il fondamento dell'intera teoria della moneta neo-classica 
(Parguez e Seccareccia 2000).


[3] Una simile lobby non è mai esistita né in U.S.A. né in Canada (Parguez, 1999b).


[4] Su André Tardieu, si veda Tardieux (1934). André Tardieu disprezzava la democrazia francese. Il suo 
disprezzo era radicato nella incapacità, per un elettorato ignorante, di cogliere le esigenze di una moneta
 solida.


[5] Sulle idee di François Perroux, si veda, per esempio, Perroux (1954), un lavoro pionieristico 
 sull'ideologia europea, e Perroux (1961). Perroux, come la maggioranza degli economisti francesi, 
aveva solo disprezzo per Keynes. Si è formato presso la scuola economica austriaca, con cui 
 condivideva il disprezzo per la democrazia. Aveva appoggiato la pianificazione perché era il prerequisito 
essenziale per il nuovo ordine economico. Perroux e Rueff condividevano l'anti-Keynesismo, mentre 
erano in disaccordo sulla necessità di un piano.


[6] Tale disprezzo per una democrazia governata dall'ignoranza era una tradizione consolidata tra gli 
 economisti, specialmente francesi. Può essere collegata da “Tocquevillian rejection” alle barbare 
regole della democrazia americana.


[7] Jean Monnet è stato una figura talmente influente da determinare vere e proprie figure professionali 
dedicate proprio alla diffusione dell'Europa e dell'europeismo così come concepiti. Per ulteriori 
 informazioni invitiamo il lettore a leggere il seguente link:

[8]
La dottrina dell'ordine naturale è radicata sia nella filosofia di Martin Heidegger e prima di lui nel 
 patrimonio Kantiano, che è immersa nella cosidetta “filosofia illuminista francese”. L' “Ordine” che è 
l'ultima essenza di realtà nascosta oltre il velo del linguaggio. Non si può negare che l'Europa ne sia 
un'essenza pura.


[9] Mitterrand non è mai stato un socialista o un socialdemocratico. Ha utilizzato una retorica di 
 sinistra per ottenere il supporto degli elettori di sinistra. Il suo consigliere più vicino, Jacques Attali, ha 
 convinto Mitterrand che lui fosse “l'eletto” - il vero “despota illuminato” - che avrebbe potuto ottenere la 
modernizzazione della Francia attuando il “Nuovo Ordine”. Lui capì che la Francia poteva diventare il 
leader dell'ultima fase del piano europeo. Attali e tutti i consiglieri di Mitterrand condividevano con 
Rueff e Perroux un totale disprezzo per Keynes e i suoi seguaci. Uno studio completo sull'amministrazione 
di Mitterand è ancora mancante. Rivelerebbe che esso non può essere interpretato nel tradizionale schema 
destra-sinistra.


[10] Sul radicale sentimento anti-keynesiano che ha caratterizzato gli economisti di sinistra francesi 
come Aglietta e altri, che hanno giocato il ruolo di esperti nell'amministrazione Mitterand, vedere 
Parguez (1990, 1998).


[11] Come da statuto BCE, essa ha come obiettivo prioritario da perseguire la stabilità dei prezzi. Tale 
 assunto è di per sé illogico se ad essa non viene parametrata una piena occupazione, che manca, nello 
statuto stesso, in maniera “quasi inspiegabile, ma poi del tutto congrua alla filosofia mengeriana 
orientata al paradigma della scarsità come elemento che determini il concetto divalore”.
Il problema principale che si pone con la BCE è comunque che essa non può sostenere direttamente 
la spesa pubblica, né "monetizzando" i deficit del governo, né contenendo il tasso d'interesse mediante 
 interventi sul mercato primario.


[12] Provvedimento approvato in maniera incredibilmente solerte da parte del nostro Parlamento 
Nazionale, con legge costituzionale del 20 aprile 2012, andando a modificare l’articolo 81 come da link:
ed in ottemperanza ad obblighi derivanti dalla direttiva 2011/85/UE come da link:


[14] Tra le stesse si annovera la previsione di Krugman, 1998 che appunto sottolineava il fatto che i Paesi 
che avessero adottato l’euro, avrebbero rinunciato di fatto alla loro sovranità monetaria.


[16] Milton Friedman, 2000.


1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, 
da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso 
 denominate «banche centrali nazionali»), a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle 
amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto 
pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di 
debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel 
contesto dell'offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali 
 nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.


Leggi QUI l'articolo originale.

mercoledì 21 agosto 2013

Vegani e onnipotenza.

Sarà capitato anche a voi, di trovarsi alla cassa di un alimentari biologico, avere dimenticato di portare da casa la sporta biodegradabile e sentirvi circondati da sguardi gelidi, mentre chiedete a bassa voce: "Un sacchetto". O di essere seduti al ristorante di fianco a una coppia, che domanda al cameriere dettagliate informazioni sulla vita vissuta dal pollo che vorrebbero ordinare, e di vedere che si rilassano solo quando hanno saputo che il pollo, che si chiamava Alex, era stato allevato con latte di capra, soia e asparagi selvatici.
Loro, rilassati, perché voi invece siete raggiunti dal dubbio se ridere, o sentirvi piuttosto insensibili e anche un po' ignoranti. Ma se di fronte alle virtù esibite da vegani, fruttariani, crudisti, fedeli amanti del Bio e dell'organico, di patiti di menù ricchi di rintracciabilità, pur riconoscendo necessità ambientali e valore etico delle loro scelte, oltre alle differenze sostanziali tra le diverse tribù della nuova alimentazione, vi siete sentiti un po' snobbati, guardati dall'alto e con un misto di sacralità e supponenza, una ragione, a quanto pare c'è.
Non si tratta del primo studio a sostenere che, dietro l'alone del consumatore verde, si nasconde un cuore poco empatico, ma la recente ricerca del giovane psicologo Kendall Eskine della Loyola University di New Orleans, nata per cercare le conseguenze morali derivanti dall'esposizione al cibo organico, ha suscitato scalpore.
L'abstract della sua ricerca, pubblicata sul Journal of Social Psycological and Personality Science, è uno dei testi più analizzati dai siti di opinione del 2012. Il perché, come la ricerca, è semplice: divisi i soggetti dell'esperimento in tre gruppi, Eskine ha mostrato e fatto valutare al primo solo cibi organici e di poco sapore, al secondo gruppo comfort food, cioè piacevoli schifezze che fanno male al fisico ma bene all'umore, e al terzo gruppo ha assegnato cibi neutrali.
Poi ha chiesto a ciascuno dei gruppi due cose: esprimere, dopo aver ascoltato brevi storie emblematiche, il proprio giudizio su comportamenti trasgressivi; in seguito, di offrirsi volontari per un lavoro poco gratificante e non pagato.
Risultato: gli "organici" si sono mostrati più spietati nei giudizi e indisponibili ad aiutare l'altro. "C'è qualcosa nella scelta organica che fa sentire migliori e comportare peggio", deduce Eskine, raggiunto nel frattempo da numerose mail di protesta e accuse di essere pagato dall'industria alimentare americana. "Scegliendo organico, è come se a quel punto avessero già compiuto il loro dovere, e potessero quindi permettersi comportamenti poco etici e asociali".
In tempi di emergenza obesità, (negli Stati Uniti un bambino su quattro ha già sviluppato una forma pre-diabetica), si guarda sempre di più nel piatto dell'altro e a farlo sono soprattutto le istituzioni, (Disney e Michelle Obama alleati contro il junk food, il sindaco di New York, Bloomberg, schierato contro le mega confezioni di bevande zuccherate; misure simili in mezza Europa).
In questi casi è l'autorità a occuparsi del contenuto del piatto; quella che manca, è la responsabilità personale del consumatore. Per proteggere la propria salute partendo dal carrello della spesa, è indiscutibile che la scelta bio e organica sia più sana di quella industriale. Ma questa scelta sembra produrre anche altre conseguenze. Di fronte alla generale avanzata organica, vegana, anti carne - almeno in quasi tutti i paesi che se lo possono permettere, in Italia per esempio, secondo l'Eurispes il 10% della popolazione, il 13,5% tra i ragazzi, è ormai vegetariano, un piccolo ma determinato 0,4% vegano - come cambiano psicologia e comunicazione, come si modificano i rapporti tra i diversi tipi di consumatori?
La scoperta di Eskine è un contributo sia per migliorare chi si sente già migliore, sia per spingere l'industria bio a evitare nella sua comunicazione troppi riferimenti alla purezza, all'onestà e sincerità dei prodotti, come fossero valori esclusivi e trasmissibili. "Ho voluto capire", continua lo psicologo, "in che modo scelta del cibo organico e morale, convivono e si influenzino. Il termine da tenere a mente è moral licensing, (licenza morale) : in psicologia descrive la condizione in cui una persona si ritiene, sulla base delle scelte già compiute, nel giusto, e si autorizza, di conseguenza, a comportamenti opposti. Chi mangia cibi senza pesticidi o per i quali non è stato fatto del male a nessun essere vivente, si sente superiore. Come se insieme al cibo più onesto, avesse comprato anche un bonus di moralità, da spendere poi in altri campi".
Un po' la stessa attitudine di quei ciclisti che, ritenendosi nel giusto, pensano di poter guardare dall'alto al basso appiedati e guidatori. A risultati simili era già arrivata anche Nina Mazar, ricercatrice dell'Università di Toronto, che aveva dimostrato come gli acquirenti di cibo organico, siano addirittura più propensi al furto e alla menzogna dei consumatori di merendine e junk food.
"Mi hanno accusato di tutto dopo questa ricerca", conclude Eskine, per molti anni vegetariano, "ma capisco l'animosità: si tratta di un movimento nuovo e che si deve affermare. Mi accontenterei se alla fine forse il marketing a cambiare, e si smettesse di proclamare quanto sei straordinario se scegli alimenti bio". Un po' di confusione nasce anche da come interpretiamo le etichette. Sappiamo, per esempio, che tutto quello che ha pochi grassi e più sano. Le bevande gassate, che pure sono prive di grassi, bene non fanno. Forse, come dice uno dei più noti dietologi americani, Mark Hyman, l'ideale sarebbe di evitare cibi con promesse di benessere sull'etichetta, o ancor meglio, evitare tutti quelli con l'etichetta. Dagli onnivori cui eravamo abituati a ritenerci da piccoli, ci stiamo lentamente trasformando in vegetariani, ma non di un tipo solo: ci sono "pescetariani", "latto-ovo-tariani", ecc.
Ci sono eccessi opposti e si contano prime vittime dell'"ortoressia", (l'appetito per cibi giusti), sindrome identificata dal clinico statunitense Robert Bratman e che riguarda chi è ossessionato dalla ricerca di cibo organico puro, al punto di diventarne dipendente.
Da parte loro vegetariani e vegani sono allarmati per la diffusione in Italia della "vegefobia", (definita “volontà di farci vergognare della nostra preoccupazione per gli animali”), o “paura dei vegetariani”, come scrivono sul loro sito, dove hanno pubblicato i risultati di una ricerca su come vegetariani e vegani sono trattati dalla stampa italiana: su quasi 400 articoli analizzati, il 74,3% contiene giudizi negativi.
Che non sia una rivoluzione totalmente pacifica, lo dimostra anche la reazione della medicina ufficiale russa, che alla crescita del movimento vegano cerca di opporsi con fermezza. Attraverso un comunicato del dietologo di Stato di San Pietroburgo, il dottor Dotsenko, ha lanciato pesanti anatemi. Dall'altra parte del mondo, uno dei libri che più hanno fatto per spingere il consumatore verso un'etica dell'alimentazione è “Se niente importa”, di Jonathan Safran Foer.
Appartiene ai preconcetti immaginare il romanziere mentre, alla cassa di un negozio biologico, nega il sacchetto con aria virtuosa?

Michele Neri

venerdì 16 agosto 2013

Modi di dire 17.


Si dice . . . “ non avere il becco di un quattrino “

Vuol dire trovarsi in miseria. Il detto origina dalle antiche monete. Il quattrino infatti era una moneta usata nel Medioevo e battuta fino al XIX secolo da varie zecche d'Italia. Aveva poco valore e dal 1600 in poi fu prodotta solo in rame. Valeva 4 piccioli, (da qui il nome), e 3 quattrini formavano un soldo. Sul senso del termine “becco” ci sono diverse versioni : per alcuni risalirebbe al celtico bec, “piccolo”, per altri si riferirebbe a una scheggiatura di moneta, (“non ho neanche un pezzo di soldo”), e per altri ancora, invece, al “becco” com'era chiamato dal popolo il bordo rialzato delle monete.

Si dice . . . “ fare un gran bailamme “

L'espressione fare un gran bailamme, (più raramente bailam), vuol dire creare confusione, scatenare un pandemonio. Il termine deriva dal turco bajram, nome di una festa religiosa mussulmana. Questa festa, molto sentita, dura 3 giorni e si celebra al termine dei 30 giorni di ramadam, il mese di digiuno e elemosina. Si festeggia il sacrificio che gli uomini hanno fatto di non mangiare per un mese e tradizione vuole che si abbatta un montone, che deve essere di un anno. L'ovino viene diviso in 4 parti. Tre di esse si regalano ai poveri, mentre la quarta si consuma in grande allegria.


Si dice . . . “ essere un ammazzasette “

Indica uno spaccone che fa grossolane vanterie delle proprie prodezze. Questo epiteto, ispirato dalle maschere della Commedia dell'Arte come Matamoros o Capitan Fracassa, trae spunto da una favola popolare che narra di un giovane pavido il quale, torturato dalle mosche, un giorno ne uccise sette in un colpo solo. Felice del risultato, egli cominciò a vantarsene coi conoscenti e alcuni pensarono che parlasse di nemici, più che di mosche. Il giovane acquisì tale fama che continuò ad alimentare l'equivoco. E venne poi nominato capitano dal Re.

Si dice . . . “ essere una bufala “

L'espressione “essere una bufala” definisce qualcosa di falso, un'informazione ingannevole e burlesca. L'origine di questo modo di dire è controverso. Secondo alcuni linguisti deriverebbe dall'espressione “menare per il naso come una bufala”, cioè trascinare l'interlocutore come si fa con in bovini per l'anello attaccato al naso. C'è chi lo fa derivare invece, da “buffa”, folata di vento, e quindi aleatoria e inaffidabile. E c'è chi infine, si riferisce alle “bufalate” senesi, gare simili al Palio, tenutesi tra il 1599 e il 1650, fra le contrade, in cui correvano bufale maremmane cavalcate da butteri.


Si dice . . . “ passare sotto le forche caudine “

L'espressione vuol dire sottomettersi a una situazione assai umiliante. La frase riecheggia un episodio della storia dell'antica Roma : quello della disfatta delle Forche Caudine, 321 a.C., da Caudium, nome di una località dell'attuale Campania, presso cui l'esercito romano finì intrappolato in una stretta gola dalle truppe sannitiche e dovette trattare umilianti condizioni di resa. Comandanti e soldati dovettero infatti passare seminudi sotto il giogo, (3 lance o forche disposte a formare una bassa porta), subendo angherie e oltraggi fisici dai nemici.


Si dice . . . “ di poco momento “

L'antica locuzione tornata di moda, “di poco, (o grande), momento”, vuol dire cosa di poco, (o notevole), rilievo, persona di scarsa, (o grande), importanza. L'espressione trae origine dal latino momentum, che è una contrazione di movimentum, deriva dal verbo movere, (muovere), e significa impulso, moto. Il significato del termine si è poi evoluto in “peso che muove la bilancia” e anche “brevissimo periodo di tempo”. In fisica il termine “momento” ha mantenuto questa accezione originaria se è vero che il momento di una forza, o di una coppia di forze, o momento di rotazione, è un prodotto che misura la capacità di spinta di quella forza.


Si dice . . . “ ritirarsi sull'Aventino “

Significa boicottare con l'assenza un'iniziativa sgradita. Il motto ricorda alcuni episodi di storia romana. L'abbandono della città era infatti una forma di lotta politica, a cui ricorse la plebe dell'Urbe in più occasioni, a partire dal V secolo a.C., per rivendicare i propri diritti. La prima e più celebre secessione avvenne nel 494 a.C., quando i soldati plebei, per protestare contro il Senato, si ritirarono sul Monte Sacro, a nord-est di Roma. La protesta rientrò grazie al proverbiale discorso di Menenio Agrippa. L'Aventino viene ricordato nel detto, in quanto quel colle ospitava allora il quartiere dei plebei.


Si dice . . . “ campa cavallo che l'erba cresce “

Il modo di dire indica qualcosa che, pur atteso, accadrà dopo molto tempo o addirittura non succederà mai. Il detto è ispirato a una storiella popolare che racconta di un povero individuo che trascinava per le briglie il suo vecchio cavallo, ormai privo di forze ; lo tirava con sé lungo una strada sassosa dove l'erba era pressochè inesistente. E quando l'animale dava cenni di cedimento il padrone lo spronava dicendogli : “Aspetta a morire cavallo mio, campa almeno finchè l'erba crescerà e finalmente potrai sfamarti”.


Si dice . . . “ firmare in calce “

La locuzione “firmare, (o comunque scrivere), in calce”, vuol dire apporre una firma o una notazione al termine di un documento scritto e deriva dalla parola greca calix, calce, fatta propria dagli antichi romani. Era infatti una striscia di calce a delimitare l'arrivo delle gare di corsa negli stadi, fin dall'antica Grecia. In uno scritto del grande oratore romano Cicerone, si trova ad esempio il detto “ad carceres a calce revocari”, cioè ritornare dalla fine al principio che utilizza le immagini agonistiche del tempo : tornare dalla linea di arrivo, calce, al recinto di partenza, carceres.


Si dice . . . “ ti manca un venerdì “


Dire a qualcuno “ti manca un venerdì” o “non hai tutti i venerdì apposto”, vuol dire definirlo stravagante, bizzarro, pazzoide. Questa espressione si riferisce probabilmente alle nascite premature e all'antica credenza popolare, ovviamente infondata, che i nati prematuri, (i “settimini” ad esempio), fossero incompleti e pertanto mancanti anche di un po' di cervello. Il riferimento al venerdì è legato alla tradizione cristiana di giorno del malaugurio, in quanto quello della crocifissione, e quindi all'importanza di averli trascorsi tutti, e quindi esorcizzati, nel ventre materno.