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giovedì 25 gennaio 2018

Il mondo diventa sempre più green.

Secondo uno studio dell'Università di Stanford, circa 139 paesi nel mondo potrebbero soddisfare i propri fabbisogni energetici con le sole energie rinnovabili già entro il 2050. Ve lo spieghiamo in 12 punti.

1547 Megawatt la capacità potenziale massima che potrebbe raggiungere il più grande impianto fotovoltaico progettato al mondo e situato a Zhongwei, in Cina. Il paese ospita anche l'impianto solare più "tenero" al mondo, ovvero una struttura a forma di panda gigante, con una capacità totale installata pari a 50 Megawatt.

60% la riduzione dei costi di produzione che è stata annoverata per l'energia eolica e solare dal 2009 al 2017. Secondo alcuni studi, i costi potrebbero beneficiare di un ulteriore diminuzione del 40% nei prossimi
10 anni. Così, queste energie, sarebbero in grado di autosostenersi nei mercati senza l'ausilio di sussidi statali.

50% la crescita globale che è stata registrata dall'energia solare nel 2016 rispetto all'anno precedente. Ad oggi le fonti fotovoltaiche possono contare su una capacità mondiale pari a 305 Gigawatt. I più grandi investimenti nel settore derivano soprattutto da Cina e Stati Uniti.

#1400. Una turbina eolica dotata di 2,5 Megawatt di capacità, può generare un ammontare di elettricità in grado di soddisfare i bisogni annuali di circa 1400 abitazioni. La stessa energia potrebbe permettere di bollire circa 230 milioni di tazze di tè o di alimentare un computer per circa 2000 anni.

2/3 la frazione della capacità globale netta di energia che, secondo l'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE), è stata costituita da fonti rinnovabili nel 2016.

70,2% la crescita della produzione di energia rinnovabile che è stata registrata nei paesi EU-28 tra il 2005 e il 2015.

1 ora. Secondo il National Geographic un'ora di luce solare sulla terra, immagazzinata in tutto il suo potenziale, produrrebbe una quantità di energia sufficiente a rispondere alla domanda energetica globale per un anno intero.

5512 Terawatt/ora l'energia totale che è stata prodotta da fonti rinnovabili nel 2015 nel mondo. Di questa il 70% è risultata in energia
idroelettrica, il 15% in energia eolica, l'8% in bioenergia, il 5% in energia solare. Il restante 2% è derivato da fonti geotermiche e marine.

16,7% del consumo totale di energia nei paesi EU-28 per il 2015 è derivato da fonti di energia rinnovabili. Islanda e Norvegia sono risultate le nazioni più "green", con un impiego di energie pulite pari rispettivamente al 70,2% e al 69,4% dei consumi energetici totali. L'Italia si posiziona sopra la media europea con una percentuale pari al 17,5%. In coda alla classifica Lussemburgo e Malta, ferme solo al 5%.

17 miliardi di dollari l'ammontare di investimenti pubblici che, secondo l'Agenzia Internazionale per l'Energia Rinnovabile (IRENA), sono stati globalmente destinati allo sviluppo delle energie pulite nel corso del 2016.

26.000 i posti di lavoro che l'energia marina, ovvero racchiusa nei mari e negli oceani, potrebbe creare in Europa entro il 2020. Per il 2050, i posti di lavoro stimati potrebbero essere 314.000.

341.320 il numero di turbine eoliche attivate nel mondo a fine 2016. Per lo stesso anno l'energia eolica ha permesso di evitare oltre 637 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 a livello globale.


domenica 7 gennaio 2018

Modi di dire 31

Si dice . . . “avere la fregola”

L'espressione popolare “avere la fregola”, (di fare qualcosa), si riferisce a chi sia posseduto dalla frenesia, dall'impulso irresistibile di realizzare un desiderio, per esempio scrivere versi, risolvere un enigma ecc. Il significato originale del termine fregola è sinonimo di estro, calore: indica cioè l'eccitazione sessuale degli animali nella stagione degli amori. Il tutto deriva dal verbo fregare, ed è ispirato ai movimenti frenetici di diverse specie di pesci, che si sfregano ai sassi sul letto dei corsi d'acqua al tempo di deporre le uova. E si ritiene che la fregola, intesa come tipo di pasta di semola fatta a palline irregolari che si produce da secoli in Sardegna, abbia questo nome proprio perché ricorda le uova di pesce.



Si dice . . . “fare melina”


L'espressione “fare melina” è propria del linguaggio sportivo, (calcio, basket), e vuol dire trattenere e passarsi la palla per perdere tempo e mantenere il vantaggio acquisito. Il modo di dire è poi entrato nel linguaggio comune, per criticare indugi e decisioni atte solo a guadagnare tempo. L'origine della locuzione viene dal dialetto bolognese: al zug dla mleina, (il gioco della melina), è lo scherzo di sottrarre un oggetto o un indumento a un malcapitato e passarselo sopra la testa. Negli anni 30 l'espressione fu in uso nella pallacanestro bolognese; allora non c'erano limiti di tempo per portare a termine un'azione e la palla era chiamata “mela”. Fu poi il giornalista Gianni Brera a rendere popolare la locuzione, citandola nelle cronache di calcio.



Si dice . . . “essere un tipo bislacco”

L'aggettivo “bislacco” riferito a una persona o a una situazione significa strambo, stravagante, ma con una connotazione negativa. Per esempio: “Quella è proprio un'idea bislacca”, “Che gusti bislacchi”. L'origine del vocabolo, assai adoperato nel nord-est, è incerta. Viene forse dal veneto bislaco, epiteto che si dava ai friulani e agli slavi dell'Istria e che deriverebbe dallo sloveno bezjak, (profugo, esule, ma anche stupido). Interessante è il fatto che questo vocabolo sloveno, potrebbe essere alla base del termine “bisiacco”, che si riferisce agli abitanti del sud della provincia di Gorizia, in un territorio delimitato dai fiumi Isonzo e Timavo. I bisiachi, col loro dialetto caratteristico, sarebbero stati disprezzati in quanto incapaci di esprimersi in un italiano corretto.


Si dice . . . “cupio dissolvi”


Il motto latino “cupio dissolvi”, (desiderio di essere dissolto), viene usato per riferirsi ad un atteggiamento masochistico, autodistruttivo rifiuto dell'esistenza. Il detto è tratto da Tertulliano, (155-230 d.C.), scrittore cristiano di epoca romana che a propria volta cita S. Paolo, il quale nella prima “Lettera ai Filippesi” scrive: “Desiderium habens dissolvi et cum Christo esse”, esprimendo il desiderio di sciogliere la propria anima dal corpo, (ossia morire), ed essere con Cristo. Col tempo però, il senso originario delle due parole si è trasformato a indicare un desiderio di annientamento mistico e il motto è divenuto simbolo di aspirazione ad una vita ascetica, a una rinuncia volontaria della propria personalità, assumendo così quel tratto autolesionistico di cui si è detto sopra.



Si dice . . . “è una Caporetto”

L'espressione indica una sconfitta clamorosa, una disfatta senza appello. E' un'immagine rimasta viva nella nostra lingua, a 100 anni dalla battaglia combattuta nel corso della grande guerra dal 24/10 al 12/11 del 1917 e che porta il nome di un paese sul fiume Isonzo, oggi in territorio sloveno. Fu un tale disastro per l'esercito italiano, travolto dalle truppe austroungariche e tedesche, che il comandante in capo Luigi Cadorna venne sostituito da Armando Diaz e il nostro fronte dovette arretrare fino al fiume Piave, da cui successivamente partì la riscossa decisiva. Secondo le relazioni dell'epoca, morirono 13mila soldati italiani, 30mila furono feriti e quasi 300mila presi prigionieri con 350mila sbandati. In tutto le forze armate italiane persero 700mila effettivi in seguito alla battaglia.


Si dice . . . “essere il quinto elemento”

L'espressione indica persone o cose indispensabili alla vita di un individuo o al funzionamento della società o di un sistema. L'origine del modo di dire si trova nella filosofia dell'antica Grecia. In particolare Empedocle di Akragas (Agrigento), filosofo del V secolo a.C., riteneva che gli elementi, ossia i principi da cui derivano tutte le cose, fossero 4: fuoco, aria, terra e acqua. La fisica di quel tempo aggiungeva anche un quinto elemento, l'etere, principio di vita e motore di tutto. Si dice che papa Bonifacio VIII, notando che tutti gli ambasciatori delle potenze del tempo erano di Firenze, ironizzasse che i fiorentini fossero il quinto elemento dell'Universo.


Si dice . . . “fare il pianto greco”

Vuol dire lamentarsi a lungo, lagnarsi vistosamente ed esageratamente di qualcosa. Il modo di dire ha origini molto antiche e si ispira al pianto delle prefiche, (dal latino “praefica”, preposta), donne che venivano ingaggiate per disperarsi, cantare e lodare i defunti ai funerali. Queste figure folkloriche, vestite di scuro, velate o con i capelli sciolti, sono documentate fin dall'antico Egitto, furono assai presenti in Grecia e si diffuso per tutto il Mediterraneo e nell'antica Roma. E la tradizione non è del tutto scomparsa anche ai giorni nostri. La si può ritrovare nelle zone rurali di Grecia, Albania e Romania e nel meridione d'Italia è sopravvissuta in terra d'Otranto.


Si dice . . . “essere alla prova del nove”

Vuol dire sottoporre una persona, una situazione o anche un'ipotesi a una verifica finale e decisiva. Il riferimento è a quel test di controllo di un'operazione aritmetica tra numeri interi, in genere di una moltiplicazione, che si insegna alla scuola elementare. La prova del nove, conosciuta fin dall'antichità, consiste a ridurre a numeri di una sola cifra, (quindi entro il numero 9), i moltiplicatori e il risultato di una moltiplicazione e si effettua per consuetudine ponendo le cifre ottenute agli angoli di una croce. Va però detto che dal punto di vista matematico non si tratta di una prova decisiva, avendo un margine di errore dell'11%.


Si dice . . . “tenere un basso profilo”

L'espressione “tenere (o mantenere) un basso profilo”, significa assumere un atteggiamento discreto, che non dia nell'occhio, che eviti di attirare l'attenzione. Viceversa definire una persona, un fatto o una situazione di “basso profilo”, vuol dire attribuirle scarsa importanza e mediocre significato. Il modo di dire è la traduzione letterale dell'espressione di lingua inglese “to keep a low profile”, che vale proprio come “agire senza clamore”, muoversi in un modo che non si noti. L'immagine si riferisce in particolare al profilo fatto di case basse, skyline un suo sinonimo, di una cittadina piccola e tranquilla senza torri e grattacieli, che sono sinonimo si di prestigio e di benessere, ma anche di maggiore affollamento e potenziali pericoli.


Si dice . . . “sei balengo”


Dare del “balengo” a qualcuno è un bonario insulto che sta per squilibrato, bizzarro ma anche sciocco o matto. Il termine è originario dei dialetti del nord, (Piemonte e Veneto ma non solo), ed è stato reso popolare in tutta Italia, grazie agli sketch televisivi della comica torinese Luciana Littizzetto. In letteratura è stato utilizzato da scrittori come Guido Gozzano e Cesare Pavese. Incerte e dibattute tra i linguisti sono invece le origini, l'etimologia del termine. Secondo l'Accademia della Crusca, l'ipotesi oggi più accreditata, riconduce l'insulto alle forme italiane “bilenco” e “sbilenco”, come dire: “storto, malfermo”. E, a sua volta, la radice originaria va trovata nell'antico francone “link” che sta per “sinistro” o “mancino”, a cui si è aggiunto il prefisso rafforzativo latino “bis”. Anticamente infatti, chi usava la parte sinistra del corpo era considerato un minorato.