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sabato 28 novembre 2015

L'altruismo come incentivazione psicologica, per vivere e lavorare meglio.

Uno studio condotto presso la Duke University e la University of Texas di Austin, evidenzia che fra le persone anziane impegnate nel volontariato, l'incidenza della depressione è notevolmente più bassa
che nella media. E da uno studio della Johns Hopkins University emerge che corrono meno rischi di essere colpiti dall'Alzheimer, avendo più probabilità di dedicarsi ad attività che sviluppano il cervello. Non solo : attraverso il volontariato, chi ha perso il suo ruolo di genitore o sostentatore economico della famiglia, è in grado di tornare a sentirsi utile.
Gli studi sugli effetti della generosità in ambiente lavorativo, offrono risultati altrettanto clamorosi. Ad America OnLine e all'Huffington Post offriamo ogni anno ai nostri dipendenti, tre giorni retribuiti da dedicare al volontariato nelle rispettive comunità, e doniamo in beneficenza fino a 250 dollari l'anno per dipendente. Uno studio condotto nel 2013 dallo United Health Group evidenzia che questo tipo di programmi porta a un incremento dell'impegno e della produttività. Tra gli altri risultati emersi dallo studio:
1 - Oltre il 75% dei dipendenti che hanno fatto volontariato dichiara di sentirsi più in salute.
2 - Più del 90% dichiara che il volontariato ha migliorato il suo umore.
3 - Più del 75% riferisce di sentirsi meno stressato.
4 - Più del 95% dichiara che il volontariato ha incrementato la sensazione di avere uno scopo nella vita, (cosa che, a sua volta, rafforza le funzioni immunitarie).
5 - I dipendenti che hanno fatto volontariato, dicono di aver migliorato la loro capacità di gestire il tempo e comunicare con i colleghi.
Un altro studio ancora, stavolta realizzato da ricercatori della University of Wisconsin, dimostra che gli impiegati capaci di dare sono più portati alla collaborazione, più dediti al lavoro e più fedeli al loro impiego. "L'altruismo non è una forma di martirio, ma la componente essenziale di un sistema di incentivazione psicologica sano", dice Donald Moynihan, uno degli autori dello studio.
Un sistema di incentivazione psicologica che andrebbe integrato nel nostro modo di concepire la sanità. "Se una persona vuole vivere più a lungo, più felice e più sana, deve seguire tutte le classiche indicazioni del medico", spiega Sara Konrath della University of Michigan, "Dopo di che deve anche ... uscire di casa e mettere un po' del suo tempo a disposizione delle persone che ne hanno bisogno. È la terapia dell'interesse per gli altri".
Chi è capace di dare, infine, ha anche migliori chance di fare carriera. Nel suo bestseller Give and Take, il docente della Wharton School Adam Grant, cita alcuni studi dai quali si evince, che dedicare il proprio tempo e le proprie energie agli altri, finisce per favorire il successo.
Gli ingegneri con la maggior produttività e il minor tasso di errori, sono anche quelli che fanno più favori ai colleghi di quanti ne ricevano. I negoziatori di maggior successo sono quelli che si concentrano non solo sui loro obiettivi, ma anche sull'aiutare le controparti a conseguire i loro. Grant cita a riprova ricerche secondo le quali, le aziende guidate da amministratori delegati più inclini a "prendere", finiscono per avere profitti più altalenanti e volatili. Gli obiettivi aziendali dei capi azienda inclini a "dare", invece, vanno al di là dei profitti a breve termine.
Negli Stati Uniti, un buon esempio di azienda impegnata nella promozione della generosità è Starbucks. Sotto la guida di Howard Schultz non solo ha istituito il Create Jobs for USA - iniziativa volta alla creazione di impiego che, oltre a raccogliere più di 15 milioni di dollari, è riuscita a creare e mantenere oltre 5000 posti di lavoro - ma negli ultimi due anni ha anche promosso più di un milione di ore di servizi socialmente utili e resi da dipendenti e clienti alle loro comunità.
Spiega Schultz che, dietro queste iniziative, c'è la convinzione che "Il profitto in sé resti un obiettivo vacuo, se non è sorretto da scopi più alti". E che il suo scopo è, sì, quello di massimizzare le prestazioni, ma farlo aprendosi alla comunità e soddisfacendo la clientela.


Arianna Huffington

sabato 21 novembre 2015

W il frigorifero ! E impariamo ad usarlo meglio.

Se, come è probabile, il nome di Nathaniel Brackett Wales non vi dice niente, è arrivato il momento di dedicare a questo inventore americano un pensiero. A lui, dopo secoli di tentativi poco pratici, dobbiamo qualcosa che tocchiamo, usiamo, benediciamo e malediciamo ogni giorno : il frigorifero.
Fu un secolo fa, esattamente nel 1914, che Wales brevettò la macchina che sarebbe stata poi prodotta e commercializzata da una società americana chiamata Kelvinator. Un'invenzione che si materializzò nella famiglia sotto forma di un monumentale frigorifero marca Crosley, che credo pesasse da solo come tutta la famiglia insieme.
Ma l'invenzione del sensazionale elettrodomestico portò con sé, come tutti i prodotti dell'instancabile capacità umana di inventare, cambiare e trafficare, una serie di effetti secondari che neppure la costante evoluzione del macchinario ha risolto, e ha semmai complicato.
Ci sono conseguenze sui rapporti di coppia, tradotti nelle liti scaturite dal vano rovistare dentro la gelida caverna bianca, alla ricerca di alimenti che, per misteriose ragioni ormonali, le femmine della nostra specie sanno sempre dove siano e i maschi non riescono mai a trovare ; le ricerche più avanzate sospettano che la differenza si spieghi col fatto che, siano prevalentemente le femmine della specie a riporvi gli alimenti, mentre i maschi fingono di essere molto occupati a fare altro, per esempio a guardare la partita.
Il "frigor" come ancora qualcuno dice, o frigo, poi maggiorato dal freezer, ha generato tonnellate di temuti avanzi, custoditi nell'illusione che, rinchiusi nel freddo caveau, possano durare per sempre e avere più successo tra un mese di quanto ne abbiano avuto ieri sera. Ha dunque funzionato anche da magnifico laboratorio di cultura per batteri e microrganismi, che sbocciano sotto forme di barbette verdognole, muschi grigiastri e pungenti aromi.
C'è una vita segreta, nel grembo del frigo, che ha creato racconti dell'orrore, mai ufficialmente confermati dalla scienza, di involtini ai quali spuntano zampette e yogurt scaduti che imparano a pronunciare le prime parole.
L'evoluzione del frigo, dalla lontana ghiacciaia, ha generato una gerarchia di scomparti, zone, destinazioni, sensori, (e ventole che continuano a gemere nella notte, forse perché soffrono il freddo), che rendono il semplice gesto di riporvi alimenti un percorso di biochimica. Una commissione di quattro esperti, un ingegnere del consorzio fabbricanti di frigo, una nutrizionista, una biologa e una specialista di quella che un tempo si chiamava "economia domestica", hanno cercato di razionalizzare in un manuale l'uso di quello spazio.
Spiegano che le uova vanno lasciate nei contenitori e messe a metà del frigorifero, dove la temperatura media, fra i 2 e i 3 gradi centigradi, è stabile, perché pare non amino gli sbalzi. La frutta non va mai accostata alla verdura, perché emette etanolo che accelera l'appassimento. Latte, latticini e panna sempre sul ripiano più basso e sul fondo dello scaffale, dove fa più freddo. Condimenti, salse, maionese, senapi vanno benissimo negli sportelli, perché contengono conservanti come aceto o sale. I formaggi duri non richiedono le zone più gelide, ma quelli molli si, dentro un contenitore stagno. E anche la farina, s'è messa nel freezer, dura sei volte più a lungo che in dispensa.
Cipolle e patate mai nel frigo, e lontane le une dalle altre, perché i gas emessi dai tuberi le fanno marcire. Bene invece i fiori freschi recisi, che al freddo resistono di più, anche nello scaffale più alto insieme con bibite, lattine e bottiglie. E se avete una scorta di rossetti preferiti, il freddo li conserva più a lungo di quanto resistano nell'armadietto del bagno. Magari accanto all'acqua di colonia, che nel frigo conserva la propria fragranza, ma non i profumi.
E se avete un frigorifero grande con poco da metterci dentro, riempitelo di bottiglie di acqua : funziona meglio e consuma meno quando è più pieno.
Rossetti a parte, ora proverò diligentemente a ristrutturare il contenuto dell'invenzione di Nathanliel Brackett, per celebrare i cent'anni, massimizzare la durata, e ammirare il perfetto ordine militare di tutto.
E poi chiamo mia moglie per scoprire dove ha messo la senape.


Vittorio Zucconi

sabato 14 novembre 2015

Charlie Hebdo e Rick Owens : due facce della libertà o il declino dell'Europa ? #PrayForParis

In Francia si è già smesso - ahimè un po' troppo velocemente - di parlare degli eventi tragici accaduti a gennaio. Non vi saranno certo sfuggite le fotografie : milioni di persone che in piazza brandivano matite o impugnavano cartelli con la scritta "Je suis Charlie", e l'afflato del nostro paese è riecheggiato in tutto il mondo. Se è vero che tanta violenza ha ferito gli spiriti, ha però anche avuto il merito di ricordare a tutti il significato della Repubblica, del diritto e della laicità.
Personalmente, ho provato non poco orgoglio all'idea di far parte di un paese capace di dimostrare con tanta spontaneità la sua collera, il suo dolore e il suo coraggio. Ho visto per strada i manifestanti fermarsi davanti ai poliziotti appostati sui tetti, per applaudirli e intonare sommessamente la Marsigliese, quasi come ringraziamento, oltre che per piangere la morte di tanti di loro.
Per gli habituè delle manifestazioni, che solitamente sono persone di sinistra, ex sessantottini, si è trattato di un'immagine del tutto imprevedibile, ma anche, devo dire, assolutamente sconvolgente, e non mi vergogno di confessare che mi sono venute le lacrime agli occhi.
Per tutte quelle persone, la libertà di parola, di satira, di stampa, l'individualità e perfino l'ateismo erano diritti fondamentali, e tutti eravamo pronti a difenderli. Ci siamo ricordati di essere il paese dei diritti dell'uomo!
E a proposito di "uomo", (anche se ovviamente nel caso dei diritti si intendono pure le donne) : qualche giorno dopo, a Parigi, ci sono state le sfilate, per l'appunto quelle della moda uomo.
Lì il gioco diventa quello di immaginare il proprio marito, uno zio o il vicino di pianerottolo con indosso una di queste tenute, fotografatissime sulle riviste e distribuite in tutto il mondo, che fanno sembrare i modelli degli astronauti di ritorno da una vacanza studio a Las Vegas, o degli esploratori alla indiana Johnes che di punto in bianco abbiano deciso di dirigere una multinazionale.
Talvolta sono modelli prepuberi e anoressici, che ci presentano i loro completi tre pezzi, indossando sul viso tutti i dolori del giovane Werther. Per rendere più accattivante uno smoking, questi efebi prediligono talvolta pantaloni corti, e alla base del loro guardaroba può esserci un tripudio di stampe colorate.
Aaaargh! Piango le povere redattrici di moda costrette ad assistere per giorni e giorni interi alla nascita di questo nuovo uomo, che possiede più calzini a mezza caviglia di quante borsette ci siano negli armadi di noi signore !
Ma quest'anno c'è stato anche un vero e proprio evento, che non sarà sfuggito a nessuno : la sfilata di Rick Owens.
Se non sapete di che sto parlando, smettete all'istante quel che state facendo e "googlatela". Perché questi signori in ampie vesti, dovete sapere, usufruivano di una piccola apertura nel tessuto, sapientemente piazzata, che lasciava intravedere ciò che di solito è nascosto assai.
Si, care signore, proprio una parte di ciò che gli uomini considerano il bene più prezioso. Per dirla chiaramente non avevano le mutande. Ah, il resto del corpo era coperto a dovere, ma come succede per le campane, a far rumore è stato il più piccolo dei dettagli.
Si è molto riso, naturalmente, e immagino che qualcuno sia anche rimasto scioccato, ma in fin dei conti la moda non dev'essere convenzionale, ne è tenuta al buon gusto, e ancor meno ha il dovere di piacere a tutti. Nessuno è costretto al bello, e nessuno ha il diritto di imporre un'uniforme. Tutto è possibile, e chi può dire quale sarà la moda del futuro?
Dopo quest'inizio d'anno che ha visto la Francia finire sulle prime pagine di tutto il mondo, mi sono detta che in un paese totalitario non potrebbe mai esserci né un Charlie Hebdo, non è una sfilata di Rick Owens, e che i diritti dell'uomo sono anche questo.


Ines da la Fressange

Intanto ieri, venerdì 13 novembre, a Parigi, ritorna la follia assassina del fondamentalismo islamico : 

sabato 7 novembre 2015

Orizzonte rosa. Quel cassetto inviolabile, la nostra zona rossa.

Per quanto una pensi di non avere granché da nascondere, per quanto racconti, senza veli e senza vergogna, di sé e del proprio mondo, per quanto apra con entusiasmo e spudoratezza la sua casa e la sua cucina, convinta che, come dicono alcuni, the more the merrier e che, come dicono altri, nel più ci stia il meno, per quanto covi il sogno recondito di vivere in una comune in cui siano banditi le porte e il concetto di proprietà, esiste sempre un giardino, una stanza, un cassetto inviolabile.
Tutti noi, per quanto aperti e disinibiti, abbiamo un posto intimo e privato, un terreno, più o meno ampio, recintato e invalicabile, una zona rossa il cui ingresso è severamente vietato agli estranei.
La mia zona rossa è il tutone diserotizzante che mi infilo quando lo sfinimento vince sul senso estetico. È la domenica, quando a mezzogiorno non siamo ancora vestiti e ci trasciniamo come zombi in preda all'accidia. È una cena a base di pane, prosciutto e cioccolato, è la chiave nella toppa che si chiude senza fare rumore perché la solitudine diventa un'urgenza, è il tango con il casquet ballato con i miei figli in corridoio, è la radio a tutto volume mentre preparo le polpette ancheggiando, è il ripasso dei verbi con mio figlio, quando lui spegne il cervello e io accendo la strega urlante.
La mia zona rossa sono le mattinate da homeworker in cui traccheggio e mi perdo per ore, per poi, in preda a senso di colpa e livore, chiudermi in uno stress iper produttivo e velenoso. Sono l'insofferenza verso quattro maschi ingombranti e chiassosi, il pozzo nero che mi artiglia, l'euforia molesta e il malumore improvviso, ancor più molesto. La mia zona rossa siamo io e la mia famiglia, quando scaviamo il fondo del barile di noi stessi e troviamo le ragnatele, il buio e i mostri.
Per il secondo anno consecutivo, abbiamo deciso, per compensare le assenze dell'economista marxista itinerante e le presenze della mater familias stanzialmente sfinita, di accogliere per qualche mese una ragazza alla pari. È americana, è cresciuta in una comunità hippie del New England, sogna, da grande, di aiutare gli adolescenti disorientati, è lieve, ridanciana, discreta. Praticamente perfetta. E poi è femmina e per me, abituata al testosterone e alle bizze di quattro coinquilini maschi, la convivenza con una donna rappresenta pura beatitudine.
E nonostante non sia un'esperienza nuova, avevo dimenticato cosa significhi accogliere un'estranea sotto il mio tetto. Non sto parlando dei cambiamenti nella quotidianità spiccia - l'acquisto di 4 litri di latte in più ogni settimana, l'introduzione del burro di noccioline nella dispensa, le visioni apocalittiche quando esce la sera e alle due di notte non è ancora rientrata - ma della necessità di aprire la zona rossa e di mettersi in gioco, senza ritegno e senza veli.
Perché è possibile fingere di essere quello che non sei, mantenere un contegno, evitare il tutone diserotizzante e la metamorfosi in strega urlante, essere promozionale ed esemplare, per un tempo limitato.
Ma quando qualcuno si insinua in modo capillare e cronico dentro il terreno recintato della tua intimità, le barriere inevitabilmente cadono una dopo l'altra e la tua essenza, pubblicamente mascherata dietro una patina di rispettabilità, esce allo scoperto prepotente e impudica.
Così, a un mese dal suo arrivo, lei è ormai parte di noi, ha, forse suo malgrado, poveraccia, scandagliato gli abissi dei nostri lati oscuri, assistito alla caduta di ogni resistenza, conosciuto ciò che nemmeno mia madre, grazie al cielo, conosce.
Attraverso il suo sguardo sornione, ho guardato la mia famiglia allo specchio. E talvolta è stato scioccante. È una pratica di autocoscienza utile e costruttiva, per quanto destabilizzante.
Dopo questi 30 giorni lei non è scappata, io mi faccio molte più domande e mi metto parecchio in discussione. Forse è un buon risultato. Senz'altro è terapeutico.


Elasti

domenica 1 novembre 2015

La pazzia di San Francesco che salva il mondo.

Non sapevo chi fosse quel signore con un saio marrone ma mi affascinava. Un giorno - avrò avuto tre anni, non me ne ricordo e i miei genitori hanno fatto da testimoni, nel tempo, del fatto - ho chiesto a mia nonna chi fosse, quel tale con le colombe in mano. " E' il Santo che ama tutto e tutti, a partire dagli animali", disse mia nonna.
Io rimasi stupito e le ho risposto : "Ma allora ama anche i cattivi?" "Specialmente quelli", fece lei, e tutti scoppiarono a ridere. Io ero contento e credo che da quel momento, come sempre fu in futuro, ho voluto bene a quel signore. Anche quando facevo il cattivo. Perché la grazia con cui teneva tra le mani quei piccioni era infinita, è chiaramente rivolta a tutti.
Così spesso andavo vicino alla statuetta del Santo e gli parlavo. Prima di confessarmi dal parroco, di solito il sabato, discutevo a bassa voce con lui, gli rivelavo le mie colpe.
I peccati dei bambini sono semplici, e per natura il bambino non complica le cose. I miei peccati, alla fine, erano sempre quelli : qualche parolaccia, distrazioni alla messa e certe intemperanze con i genitori che avevo in comune con tutti i miei coetanei. Lui non mi rispondeva, perché era una statua, ma capivo che profondamente mi ascoltava, e che amando tutti mi amava. Più dei miei genitori, che qualche volta si arrabbiavano con me.
Ma anche più di me stesso, che ero spesso arrabbiato proprio con l'unica persona che non avrei mai potuto evitare, quella che mi accompagnava dal mattino alla sera nella vita di bimbo. Così il Santo che amava proprio tutti entrò nella mia vita, piano piano, giorno dopo giorno, e ne ebbi conferma quella volta che in qualche modo mi trovai ad agire spinto proprio da lui.
I bambini, si sa, possono essere molto crudeli nella loro innocenza.
Così un giorno sorpresi un mio amico a fare uno strano e crudele gioco. Lanciava le freccette contro le lucertole. Credo che trovasse la cosa molto divertente, perché era molto entusiasta e mi invitò a fare lo stessa cosa. Io pensai a San Francesco e subito gli strappai di mano la freccia che stava puntando, gli dissi che non avrebbe dovuto farlo mai più perché San Francesco non voleva, e perché San Francesco, che ama tutti, ama anche le lucertole, e addirittura ama pure lui, che è cattivo anzi cattivissimo, visto il gioco scemo e violento che stava facendo. Lui mi ha guardato in modo molto strano. Credo mi avesse preso per pazzo. Ancora non sapevo che proprio quel santo, in nome del quale quel giorno avevo appena agito, era ritenuto anche lui un pazzo. Pure, grazie a quella pazzia, il mio amico non ha più fatto quel gioco. Me l'ha confermato parecchi anni dopo. Quando, ormai grandi, ci siamo rivisti. Quando, ridendo, abbiamo detto che anche le lucertole del nostro paese devono ringraziare San Francesco.


Aldo Nove