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martedì 2 luglio 2013

Il fanciullo che è in noi e la sindrome di Peter Pan.

Lui, Peter Pan, da protagonista di una favola per bambini, il ragazzino che non voleva crescere, oggi si è trasformato in un uomo immaturo, centrato su se stesso, incapace di assumersi delle responsabilità, ma anche ipersensibile, idealista, sognatore.
Molti uomini, e donne, rifiutano di mettersi la fede al dito, scegliendo un eccitante vita di facili avventure ; ma è solo sindrome di Peter Pan ?
Senza un'adeguata preparazione, il fanciullino scopre da solo l'amara verità e lo shock è così forte da provocare un blocco della crescita. Si innesca un meccanismo regressivo che lo porta a “riavvolgere il nastro” della sua vita, per tornare al periodo favoloso dell'infanzia, in cui tutto era perfetto.
Le cose brutte, che fanno soffrire o sono troppo complicate, vengono rimosse per dare spazio solo a ciò che dà piacere, è ottenibile senza sforzi e soddisfa i sensi. Quando, però, un evento doloroso o spiacevole gli si presenta comunque, oppure i suoi bisogni gli vengono negati, il Peter Pan reagisce con rabbia, frustrazione o rifiuto, esattamente come farebbe un bambino.
Questi individui possono anche sposarsi, avere figli e trovare un buon posto di lavoro, ma ricadranno nella loro problematica ogni qual volta la vita li costringerà ad assumersi delle responsabilità.
Come diceva Pascoli, il fanciullino che è in noi non deve mai scomparire del tutto. Nell'immaginario comune infatti, Peter Pan è un personaggio positivo : ha bontà d'animo, sensibilità e la capacità di cogliere le emozioni e il lato più autentico delle persone, tutti aspetti che oggi andrebbero rivalutati.
Alcune qualità, come la leggerezza, la capacità di sdrammatizzare, di trasformare tutto in gioco o di parlare la stessa lingua dei bambini, spiegano il talento di tante persone che lavorano con i più piccoli.
Secondo il poeta italiano, il fanciullino è la voce interiore di ciascun uomo, la parte più istintiva e “umana” della persona, quella che si pone in contatto con il mondo attraverso l'immaginazione e la sensibilità. Dare ascolto a questo lato nascosto della coscienza, consente di scoprire aspetti affascinanti e meravigliosi del mondo, che sfuggono alla ragione e al pensiero logico.
Il "Piccolo Principe", il famosissimo personaggio inventato da Antoine Saint-Exupery, vuole trasmettere lo stesso messaggio : non dimenticare mai di essere stati bambini. L'importante è che la dimensione fanciullesca sia inserita in una mentalità e in un approccio alla vita adulti, maturi e consapevoli. In Peter Pan, invece, è presente solo il bambino.
Il fanciullino rifugge quindi dalle situazioni che non riesce a gestire. Così, di fronte a una donna che vuole “redimere” la sua esuberanza e inchiodarlo alle sue responsabilità, scappa.
Dalla sindrome di Peter Pan si esce solo se la relazione riesce a passare dalla fase iniziale dell'innamoramento, in cui tutti sono disposti a rinunciare a parti di sé pur di compiacere l'altro, a quella dell'amore maturo, quando la promessa di sacrificio e impegno nei confronti dell'amato deve essere continuamente rinnovata. Il sentimento deve essere così forte per il Peter Pan, da farli superare la sua dimensione individuale per aprirsi all'altro.
E' un processo interiore su cui il partner non può influire molto. Ogni forzatura ha l'effetto opposto di incentivare il fanciullino alla fuga. Il Peter Pan infatti, non vuole essere cambiato, perchè vive bene nel suo mondo dorato, l'unico nel quale si sente veramente al sicuro, e non concepisce la possibilità di condurre un'esistenza diversa. Il fatto che questa sua presunzione provochi dolore e dispiacere agli altri, non è un problema per lui, dal momento che il suo unico interesse è la propria felicità.
L'eterno bambino non sa che il suo rifugiarsi in una dimensione infantile e troppo semplicistica della vita, non può essere di giovamento per lui. Non riesce a vedere gli effetti negativi dei suoi comportamenti su se stesso e sugli altri. Chi gli sta intorno può aiutarlo ad aprire gli occhi, ma deve essere un lavoro di squadra. Se lo scontro è individuale, infatti, (con la fidanzata di turno, la mamma o un caro amico), non sortirà alcun effetto positivo. Il Peter Pan abbandona le relazioni in cui si sente messo in discussione.
Se, però, la famiglia e il partner chiedono l'aiuto degli amici, e magari di uno psicoterapeuta, le possibilità di uscirne sono maggiori. Il passo più difficile è dare al Peter Pan una motivazione per farsi aiutare, dato che egli non riconosce di avere un problema.
Resta fondamentale il lavoro di educazione e di formazione svolto dalle famiglie di origine. Le mamme, (ma anche i papà, le maestre, i nonni), devono favorire il più possibile la crescita dei bambini, intraprendendo con loro, fin da piccoli, un processo di responsabilizzazione a tappe e poi, una volta diventati adulti, non ostacolando il loro impulso a svincolarsi dalla famiglia.
Bisogna promuovere valori come l'altruismo, il coraggio, l'indipendenza già dall'infanzia, affinchè il fanciullino trovi gratificazione nell'autonomia e nella responsabilità, trasformandosi in uomo.

R.C.

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