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sabato 25 aprile 2015

Meditate manager, meditate. Occorre dare per ricevere.

Uno dei libri più popolari fra gli amministratori delegati e gli alti dirigenti è un trattato di strategia militare cinese, L'arte della guerra di Sun Tzu. Ma se i CEO leggessero libri per ragazzi come L'albero di Shel Silverstein o Largo agli anatroccoli di Robert McCloskey, staremmo tutti molto meglio. Nella moderna economia interconnessa, infatti, l'empatia e la collaborazione sono strumenti più preziosi dell'idea che "la guerra si basa sull'inganno".
Come spiega molto bene il professor Adam Grant della Wharton School nel suo libro Più dai più hai, (Sperling & Kupfer), chi dona il proprio tempo e le proprie energie agli altri, finisce per ottenere successi più grandi di chi non lo fa. I commessi che guadagnano di più, sono capaci di aiutare clienti e colleghi. Gli ingegneri con la più alta produttività e il minor tasso di errori, sono quelli che fanno più favori ai colleghi di quanti ne ricevano. Secondo alcuni studi citati da Grant, anche le aziende guidate da capi che "prendono" più di quanto danno, finiscono per avere guadagni più oscillanti e volatili.
Nel mio libro Cambiare passo considero da un lato la cultura del superlavoro 24 ore su 24 e dall'altro l'atteggiamento "militaresco" di chi pensa alla propria carriera come una campagna di conquista; due seri ostacoli a vivere pienamente la nostra vita. Strumenti di consapevolezza come la meditazione permettono invece di migliorarla.
Da uno studio scientifico dell'università di Leida, è emerso che diverse tecniche sono in grado di potenziare sia il cosiddetto "pensiero divergente", che ci permette di produrre tante idee diverse, sia il "pensiero convergente", che aiuta produrre una soluzione specifica per un problema in particolare.
Per fortuna, finalmente, la voce comincia a girare.
L'elenco degli amministratori delegati che dichiarano di praticare la meditazione, si allunga di anno in anno. Tra loro ci sono Mark Bertolini delle assicurazioni sanitarie Aetna, Ray Dalio della società di investimenti Bridgewater e Marc Benioff, fondatore e presidente dell'azienda di cloud computing Salesforce, giusto per fare qualche nome. Sono esempi viventi di come l'abitudine a ricaricarsi e rigenerarsi e le prestazioni lavorative, non si escludono a vicenda ma siano anzi più profondamente, necessariamente interconnesse.
E invece di sceglierci dei modelli di riferimento, il cui merito è quello di lavorare 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, dovremmo scegliere chi spicca per la qualità del suo lavoro. Un buon esempio è Padmasree Warrior, direttrice tecnologica di Cisco, un'azienda da 43 miliardi di dollari.
Warrior medita tutti giorni e si concede regolarmente dei fine settimana di disintossicazione digitale. Ecco come in un'intervista dell'anno scorso spiegava il suo approccio: "Ciò che bisogna tenere a mente non è l'equilibrio, ma l'integrazione ... Quello che vorrei aggiungere al confronto su questi temi è un invito a concentrarsi sull'integrare tutti e quattro gli aspetti: il lavoro, la famiglia, la comunità e se stessi. Il punto non è tentare di dedicare ogni giorno la stessa quantità di tempo a ciascuna di queste cose, ma tenere sempre presente che tutte queste cose insieme fanno di noi un essere umano completo".
Ciascuno di noi deve trovare un modo suo. Esistono tanti percorsi diversi, ma prima di tutto occorre sbarazzarsi di certi calcoli pre-copernicani, basati sull'errata convinzione che al centro dell'universo ci siano l'eccesso di lavoro e il dovere di tenersi costantemente occupati: pur essendo chiaro che prendersi cura del proprio capitale umano aiuta concretamente la carriera, dobbiamo anche ricordarci che non è il lavoro a definirci. L'obiettivo è vivere bene, e non scalare le gerarchie.
Non sto dicendo che coltivare grandi sogni ed eccellere nel lavoro sia sbagliato, ma che non dobbiamo permettere al successo professionale di definirci come persone. Noi siamo più della nostra lista di cose da fare.
E non dobbiamo aspettare di avere un ufficio lussuoso perché la nostra vita acquisti valore e significato. Possiamo vivere bene ora, ovunque ci troviamo, ed essere esattamente le persone che siamo già.


Arianna Huffington

domenica 19 aprile 2015

Orizzonte rosa. L'infantile senso del pudore.

Fino a qualche tempo fa succedeva che, durante un pranzo o una cena con parenti o amici a casa nostra, mio figlio di mezzo chiedesse: "Posso alzarmi un momento?". Succedeva quindi che si allontanasse da tavola e ricomparisse dopo qualche minuto, sotto gli sguardi attoniti dei commensali, completamente nudo. "Devo andare in bagno", annunciava, con quella naturalezza impudica e sfrontata dei bambini.
"Mi fai compagnia?", domandava al congiunto ospite che, in quel momento, era per lui fonte di maggior ispirazione. Poi, con la proterva incurante e implacabile di chi sa esattamente cosa vuole, prendeva la mano dell'eletto e, scalzo e svestito, lo conduceva di là, a condividere un rito privato, nell'intimità di un tête-à-tête.
Per mio figlio di mezzo, tra i 3 e i 5 anni, certe necessità fisiologiche, per essere serenamente espletate, richiedevano l'assenza totale di vestiti e un interlocutore ai propri piedi, di norma seduto sulle piastrelle del bagno, disponibile alla conversazione.
Abbiamo cercato invano di spiegarli che la nudità, propria e altrui, è un territorio privato è prezioso, da non condividere in pubblico, tra l'arrosto il dolce.
Avremmo dovuto reprimerlo? Sgridarlo? Castigarlo? Non so. Abbiamo preferito tollerare il suo esibizionismo, nonostante lo sconcerto di qualche amico o parente, domandandoci dove, quelli spavaldi defilè, lo avrebbero condotto.
Un giorno, in totale solitudine, ha deciso che spogliarsi, in certe occasioni, era un'attività inutile, oltre che sconveniente, e che il gabinetto richiedeva raccoglimento e solitudine. E ha chiuso la porta, davanti agli ospiti.
Mio figlio piccolo mi mostra orgoglioso le sue grazie, spesso e volentieri, esclamando estasiato: "Guarda che bel pisello!". Gli ho fatto ripetutamente notare che è uguale a quello di tutti i maschi del mondo, ma lui continua a non capacitarsi della mia indifferenza nei confronti di quella mirabile appendice.
Bisogna arginare l'esuberanza e il pisello-centrismo di un treenne, prima che tracimino, trasformandolo in un adulto incontenibile pericoloso per se stesso e per le altre e gli altri? Credo di no, ma lo scoprirò vivendo, quando forse sarà troppo tardi.
L'altra mattina, dopo la doccia, mi stavo vestendo, nella solitudine della mia camera da letto, dietro una porta chiusa. Quando l'ho aperta ho trovato, proprio lì davanti, mio figlio maggiore, in piedi, vigile e impettito come un granatiere, o un mastino. "Cosa fai?" "La guardia". "A chi?". "Come a chi? A te, a mia madre". "E da cosa mi stavi guardando?". "Dal signore che sta aggiustando la lavatrice in cucina. Non si sa mai".
Avrei forse dovuto spiegargli che le donne non vanno protette o guardate, ma semplicemente rispettate. Che non ho bisogno di un granatiere alla mia porta, che me la cavo da sola, che a nove anni non deve preoccuparsi della virtù di sua madre ma coltivarsi le sue, di virtù. Avrei forse evitato che a Natale prossimo mi regali un burqua, da indossare in caso di guasti elettrici o idraulici, e che instauri, con la sua possibile futura fidanzata, nonché mia nuora, un rapporto di vigilanza più che di parità. E invece ho riso parecchio, prima di offrire un caffè al signore della lavatrice.
Il pudore dei bambini, e ancor più la sua assenza, sono piantine preziose e delicate che vanno maneggiate con cautela e cura.
I rischi di sbagliare sono ad ogni angolo e le conseguenze degli errori dei genitori, lastricano le strade e le vite dei figli, ben oltre l'infanzia e l'adolescenza. Camminiamo in equilibrio su un filo sottile, spesso aggrappandoci solo al buon senso, per cui nessuno ci ha mai veramente istruito.
In questo impervio cammino, tra nudità, esibizionismo e mastini, forse l'unica bussola e l'ascolto, l'osservazione e soprattutto, il rispetto.
Perché il rispetto è l'unica chiave capace di tenere chiusa la porta che separa il pudore dalla vergogna. E per diventare grandi c'è bisogno di un po' di pudore e di nessuna vergogna.

Claudia “Elasti” De Lillo



domenica 12 aprile 2015

Il profumo di donna e il suo straordinario potere.

Non è certo una novità che il senso dell'odorato può essere spinto a svegliare desideri naturali, istinti della sfera erotica o, più genericamente, sensitiva, tanto più che i componenti essenziali della maggior parte dei profumi si ricollegano alla funzione sessuale di animali o di piante.
Prendiamo, ad esempio, il muschio, usatissimo in un numero di profumi adoperati dalle donne ; in questa essenza vi è una sostanza ottenuta dalla ghiandola del cerbiatto maschio che si sviluppa quando l'animale è in amore. Non dimentichiamo che secondo gli scienziati positivisti, come Darwin, le secrezioni ghiandolari rappresentano un potente prodotto finale di selezione fra gli esseri : in pratica, l'animale che produce maggior quantità di secrezione e, quindi di odore, attira il maggior numero di femmine e, di conseguenza, lascia un maggior numero di discendenti di quanto non possono fare altri meno dotati di lui.
I biologi hanno avanzato la teoria che in tempi remoti, il profumo costituisse la prima forma di attrazione fra i sessi e che altri rapporti, più sofisticati, siano venuti dopo ; ma anche nell'epoca civilizzata al fondo dell'oscuro istinto del maschio e della femmina, vi è la stessa atavica risposta, la stessa misteriosa attrazione. Anche in natura avviene così : i fiori, con il loro profumo, si ricollegano a ciò che i Tantrici chiamano "il gioco di Shiva-Shakti". Le ghiandole oleose dei fiori hanno lo scopo di fecondare, e una larga porzione dell'olio è consumato durante il processo di fertilizzazione. I floricoltori che coltivano varietà da vendere ai profumieri, infatti, hanno cura di fare il raccolto prima che avvenga la fertilizzazione, cioè nel momento di massima fragranza del fiore.
Non tutti i profumi ispirano direttamente una risposta sessuale : taluni hanno valore mistico, sacrificale, come gli aromi balsamici con cui i sacerdoti delle antiche civiltà profumavano i loro morti, gli incensi usati in molte pratiche religiose, anche nella liturgia cattolica. Già gli Egiziani e i Caldei, per non dire degli Ebrei, dei Greci e dei Romani, credevano che l'odore dolciastro di gomma bruciata e di spezie, ascendendo verso il cielo, avrebbe deliziato la divinità.
Ma quei sacerdoti non ignoravano neppure che le stesse essenze avevano il potere di creare nei fedeli uno stato mistico, influenzandone i pensieri e i sentimenti e provocandone negli esseri più sensibili vere e proprie estasi.
Nelle sacre scritture troviamo menzione di segrete formule adatte a Mosé, per la consacrazione di Aronne e dei suoi figli al sacerdozio. L'uso dell'unguento nelle consacrazioni è rimasto nelle cerimonie dell'incoronazione dei monarchi "per diritto divino".
La ricetta di profumi negli oli impiegati a fabbricare "l'essenza sacra" è tenuta rigorosamente segreta ma, almeno oggi, non è possibile sfuggire del tutto all'indiscrezione dei cacciatori di notizie ; così sappiamo che l'olio usato nella incoronazione di Elisabetta II d'Inghilterra conteneva essenza di fiori d'arancio, di rosa, cannella, gelsomino e sesamo, misto a benzoino, muschio, zibetto e ambra grigia. Vi è addirittura un'antica arte che insegna a leggere nei profumi, additando per ognuno di essi l'influenza cui sarebbe legato : così si dice che l'odore della magnolia stimoli l'istinto a combattere, che il bergamotto favorisca la meditazione, l'ambra grigia la poesia, mentre l'odore di verbena inciterebbe gli uomini a ubriacarsi.
Ma il più vero, spontaneo legame è quello del sesso. Quest'unione fra odori e sessualità e messa in evidenza in tutti racconti, anche nei più antichi, dove si parli di una donna ammaliatrice d'uomini : di questa donna viene esaltato il profumo e si dice che il suo fascino risiede principalmente nell'odore del corpo. Di Cleopatra Shakespeare dice: "Era così profumata che i venti ne erano affascinati".
La maggior parte dei Tantrici usano profumi in modo personale, ciascuno variando le antiche regole di quel poco che basta e farle proprie. Il primo scopo del profumo è quello di stimolare il muladhara o radice chakra quando l'energia kundalini è ancora raccolta, poiché questo sottile centro è collegato direttamente al senso dell'odorato e si lascia particolarmente influenzare dai profumi.
Ecco perché i Tantrici usano oli particolari che sono loro prescritti dal guru. In genere, i profumi più usati sono: il muschio, il gelsomino (champak), il pasciuli, il legno di sandalo e lo zafferano. Alcuni ungono differenti parti del corpo del loro mudra (partner sessuale del rito), con profumi diversi. Per le mani viene usato l'olio di gelsomino, il pasciuli per le guance per il seno, il muschio per il grembo, il legno di sandalo per le cosce e lo zafferano per i piedi.
In India e nel Tibet è per i rituali yogici, non si usano mai essenze sintetiche considerate inferiori. Ciò che l'occidentale può prendere da questa antichissima esperienza e la sensibilizzazione dei propri sensi attraverso un opportuno uso del profumo. Egli dovrà anche imparare a distinguere gli odori che vibrano in natura, nelle cose. Fermarsi, mentre si cammina in campagna, cercando di concentrare tutto se stesso in un profumo che sale da una foglia d'un fiore, lasciarsene permeare fino al più profondo di sé.
Questa sensibilità dell'odorato è meravigliosa per accentuare la forza viva dell'istinto. Sviluppata la sensibilità più elementare, quella per la natura, sarà possibile cominciare distinguere gli odori delle singole persone, e per questo esercizio si porterà al massimo la tensione psicofisica rivolta ai profumi che emanano dal corpo femminile.