Fino
a qualche tempo fa succedeva che, durante un pranzo o una cena con
parenti o amici a casa nostra, mio figlio di mezzo chiedesse: "Posso
alzarmi un momento?". Succedeva quindi che si allontanasse da
tavola e ricomparisse dopo qualche minuto, sotto gli sguardi attoniti
dei commensali, completamente nudo. "Devo andare in bagno",
annunciava, con quella naturalezza impudica e sfrontata dei bambini.
"Mi
fai compagnia?", domandava al congiunto ospite che, in quel
momento, era per lui fonte di maggior ispirazione. Poi, con la
proterva incurante e implacabile di chi sa esattamente cosa vuole,
prendeva la mano dell'eletto e, scalzo e svestito, lo conduceva di
là, a condividere un rito privato, nell'intimità di un tête-à-tête.
Per
mio figlio di mezzo, tra i 3 e i 5 anni, certe necessità
fisiologiche, per essere serenamente espletate, richiedevano
l'assenza totale di vestiti e un interlocutore ai propri piedi, di
norma seduto sulle piastrelle del bagno, disponibile alla
conversazione.
Abbiamo
cercato invano di spiegarli che la nudità, propria e altrui, è un
territorio privato è prezioso, da non condividere in pubblico, tra
l'arrosto il dolce.
Avremmo
dovuto reprimerlo? Sgridarlo? Castigarlo? Non so. Abbiamo preferito
tollerare il suo esibizionismo, nonostante lo sconcerto di qualche
amico o parente, domandandoci dove, quelli spavaldi defilè, lo
avrebbero condotto.
Un
giorno, in totale solitudine, ha deciso che spogliarsi, in certe
occasioni, era un'attività inutile, oltre che sconveniente, e che il
gabinetto richiedeva raccoglimento e solitudine. E ha chiuso la
porta, davanti agli ospiti.
Mio
figlio piccolo mi mostra orgoglioso le sue grazie, spesso e
volentieri, esclamando estasiato: "Guarda
che bel pisello!".
Gli ho fatto ripetutamente notare che è uguale a quello di tutti i
maschi del mondo, ma lui continua a non capacitarsi della mia
indifferenza nei confronti di quella mirabile appendice.
Bisogna
arginare l'esuberanza e il pisello-centrismo
di un treenne, prima che tracimino, trasformandolo in un adulto
incontenibile pericoloso per se stesso e per le altre e gli altri?
Credo di no, ma lo scoprirò vivendo, quando forse sarà troppo
tardi.
L'altra
mattina, dopo la doccia, mi stavo vestendo, nella solitudine della
mia camera da letto, dietro una porta chiusa. Quando l'ho aperta ho
trovato, proprio lì davanti, mio figlio maggiore, in piedi, vigile e
impettito come un granatiere, o un mastino. "Cosa fai?" "La
guardia". "A chi?". "Come a chi? A te, a mia
madre". "E da cosa mi stavi guardando?". "Dal
signore che sta aggiustando la lavatrice in cucina. Non si sa mai".
Avrei
forse dovuto spiegargli che le donne non vanno protette o guardate,
ma semplicemente rispettate. Che non ho bisogno di un granatiere alla
mia porta, che me la cavo da sola, che a nove anni non deve
preoccuparsi della virtù di sua madre ma coltivarsi le sue, di
virtù. Avrei forse evitato che a Natale prossimo mi regali un
burqua,
da indossare in caso di guasti elettrici o idraulici, e che instauri,
con la sua possibile futura fidanzata, nonché mia nuora, un
rapporto
di vigilanza più che di parità.
E invece ho riso parecchio, prima di offrire un caffè al signore
della lavatrice.
Il
pudore dei bambini, e ancor più la sua assenza, sono piantine
preziose e delicate che vanno maneggiate con cautela e cura.
I
rischi di sbagliare sono ad ogni angolo e le conseguenze degli errori
dei genitori, lastricano le strade e le vite dei figli, ben oltre
l'infanzia e l'adolescenza. Camminiamo in equilibrio su un filo
sottile, spesso aggrappandoci solo al buon senso, per cui nessuno ci
ha mai veramente istruito.
In
questo impervio cammino, tra nudità, esibizionismo e mastini, forse
l'unica bussola e l'ascolto, l'osservazione e soprattutto, il
rispetto.
Perché
il rispetto è l'unica chiave capace di tenere chiusa la porta che
separa il pudore dalla vergogna. E per diventare grandi c'è bisogno
di un po' di pudore e di nessuna vergogna.
Claudia
“Elasti” De Lillo
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