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giovedì 30 luglio 2015

Sfatiamo la cultura del superlavoro.

Sto girando per parlare del mio nuovo libro Cambiare passo (in italiano appena pubblicato da Rizzoli), ed è stimolante conoscere persone nuove e ascoltare i loro racconti, su come cercano di destreggiarsi nella nostra cultura del superlavoro e dello sfinimento. "Non ricordo quand'è stata l'ultima volta che non mi sono sentita stanca", mi ha detto una giovane donna dopo la mia conversazione con Sheryl Sandberg alla San Francisco Symphony Hall. Ed è un sentimento che riecheggia in molti, uomini e donne, giovani e vecchi. La domanda che mi sento rivolgere più spesso dai giovani è una variante sul tema : per te che ce l'hai fatta, è facile dire "non lavorate troppo", ma come la mettiamo con quelli di noi che cominciano adesso, e il successo lo inseguono?
È una domanda interessante, all'apparenza logica. Dico "all'apparenza" perché le sue premesse sono viziate da più di un errore. Innanzitutto, una domanda del genere dà per scontato che il successo nel lavoro e quello nella vita siano la stessa cosa. E definire il successo in termini così limitati è proprio una conseguenza di quei parametri imperfetti, che Cambiare passo tenta di farci superare.
Noi siamo più del lavoro che facciamo. Confondere le due cose finisce, presto o tardi, per portare a scelte controproducenti. Il nostro mondo pullula di vittime di questa confusione : individui di enorme successo ma depressi, preda di qualche dipendenza o di disturbi da stress.
Il secondo errore di fondo in quella domanda, è il presupposto che il superlavoro sia l'unica via possibile : anche se per voi il successo professionale è la cosa più importante, privarvi del sonno, non ricaricare mai le batterie, non ritagliarvi mai un po' di tempo per riflettere e stare con le persone care, non è una strategia di carriera sostenibile. Non solo la quantità e la qualità del lavoro sono cose ben distinte, ma a un certo punto - e prima di quanto si creda - finiscono per diventare inversamente proporzionali. Eppure è incredibile quanto questo mito si è radicato.
Quando ho parlato del libro con Oprah Winfrey durante il suo programma Super Soul Sunday, (conversazione che negli Usa andrà in onda per la festa della mamma), lei mi ha raccontato che nei primi anni del suo show lavorava sempre fino a molto tardi, al punto che, tornata a casa, crollava sul letto senza neppure svestirsi.
Certo, si può essere tentati di attribuire il suo enorme successo proprio a quell'eccesso di lavoro, ma, come emerge dalla nostra discussione, è evidente che non è stato così. Oprah ha avuto successo, sia sul fronte professionale che su quello personale, grazie ai suoi fenomenali talenti, alla sua capacità di empatia, al dono di saper raccontare arrivando al cuore delle persone e al desiderio di stimolarle a vivere nel miglior modo possibile. Oprah non è diventata Oprah perché ha lavorato così tanto da non avere la forza di svestirsi la sera. Lo è diventata nonostante questo.
Il che mi fa tornare in mente una storia analoga, quella di Erin Callan, che l'anno scorso ha raccontato al New York Times come è arrivata a diventare direttore finanziario di Lehman Brothers, per poi dimettersi poco prima che la società crollasse. Il lavoro, dice, veniva sempre prima di tutto il resto, anche a scapito del suo matrimonio. Dopo aver lasciato la società Erin era distrutta, e riprendersi le è costato fatica. "Non sapevo che valore attribuire alla persona che ero rispetto a quello che facevo" scrive. "Ero esattamente ciò che facevo".
Ora che ha avuto tempo di riflettere, si rende conto di essere sempre stata più del suo lavoro : "Fino a poco tempo fa pensavo che la mia assoluta concentrazione sulla carriera, fosse l'ingrediente principale della mia riuscita. Ma ora comincio a rendermi conto di essermi sottovalutata. Avevo talento, intelligenza ed energia. Non era necessario essere così estrema. Anzi, lavorando in quel modo, alla lunga, i risultati diminuiscono". E conclude: "Sono convinta che avrei potuto raggiungere risultati simili mantenendo perlomeno un po' più alta la qualità della vita privata".
E il punto è proprio questo : occorre sbarazzarsi dell'idea pericolosa che l'eccesso di lavoro sia un prerequisito essenziale per risultare efficaci e offrire prestazioni di qualità. Perché spesso è vero proprio l'opposto.


Arianna Huffington

domenica 26 luglio 2015

Come si cambia per non morire. Ma cambiare perchè ?

Lei circola in pantaloncini corti, sempre gli stessi, e indossa magliette sbrindellate. Porta scarpe da ginnastica sdrucite, ciabatte sciatte oppure niente. Non si pettina mai e non si trucca più. Quando il super io dotato di senso estetico si risveglia, lei raccoglie le chiome informi in una coda di cavallo e si sente terribilmente in ordine. Quando fa la spesa, saluta le cassiere domandando loro come stiano e si congeda augurando: "Have a good one", sinonimo di "buona giornata", ma più disinvolto e giovane.
Cucina hot dog, organizza play date con bambini fuori controllo e madri nevrotiche e, dal gelataio, ordina un cono al gusto di pasta di biscotto con praline dorate sopra. Insane Body Challenge è il nome del corso che frequenta in palestra, insieme a tizi e tizie come lei, in calzoncini e coda di cavallo.
Il sabato va al farmers market e compra teste d'aglio ammaccate e biologiche per cifre astronomiche. Mangia bacche e semi di zucca e guarda il reparto vegano del supermercato con inconsulto interesse. Continua a depilarsi solo per un residuo retaggio culturale, destinato, prima o poi, a essere scardinato dalla convinzione che l'obbligo morale di strapparsi i peli sia una delle innumerevoli, infide manifestazioni dell'oppressione di genere e della schiavitù a canoni estetici retrogradi e nefasti. Sta pensando di iscriversi a un gruppo di meditazione e al circolo del libro all'angolo.
I suoi figli sono tre creature allo stato brado. Frequentano campi estivi in cui imparano a maneggiare serpenti, bacherozzi, api e funghi velenosi. Parlano, come piccoli Zelig, la lingua di Paolino Paperino, con lo stesso inquietante accento del pennuto. Mangiano gelatina alla menta con l'arrosto e spalmano burro di arachidi sulle banane. Raccolgono, pagati a cottimo, vermi per il compost della vicina di casa e la sera, prima di cena, guardano un terrificante programma in tv che si chiama American Ninja Challenge, dove nerboruti signore e signori, convinti di essere tartarughe guerriere, si sottopongono a prove fisiche inumane e umilianti.
Questi quattro tizi, vittime di una spaventosa metamorfosi e di pericolose derive yankee, siamo noi, alla nostra sesta estate nella città di A., tra i boschi del Massachusetts, dove, mentre il pater familias economista marxista lavora per l'abbattimento del capitalismo globale, ci lasciamo risucchiare dalle lusinghe della provincia rurale e fricchettona americana.
Il problema è che siamo, tutti noi, per natura, indole, necessità e spirito di sopravvivenza, creature duttili. Come spugne, ci impregniamo dell'ambiente che ci circonda e finiamo per assomigliargli prima ancora di prenderne coscienza. Le radici, forse, restano altrove ma parole, abitudini, gesti e aspetto cambiano rapidamente. È un gioco, un esercizio, il tentativo, destinato comunque al fallimento, di sembrare meno alieni di quel che siamo, di sentirci un po' più uguali, inseriti, simili. Siamo bravissimi a sentirci a casa. Siamo professionisti dell'adattamento, dell'aggiustamento e dell'accomodamento.
Quanto tempo ci vorrebbe per diventare quello che non siamo? Probabilmente meno di quanto pensiamo. Tutto questo mi meraviglia e mi terrorizza. Saremmo capaci di cambiare anche la sostanza? Non so e non voglio saperlo.
Per fortuna, noi abbiamo lui : il monito, il detentore dell'essenza, il bacchettone, l'integerrimo. Mentre noi ci abbandoniamo all'acclimatamento selvaggio, vendendo la nostra anima e i nostri vermi alla vicina di casa vegana, mio marito vigila e reprime la mescolanza etnica. Lui è l'eccezione che conferma la regola. Lui è barese e nient'altro, incorruttibile e fedele alle sue gloriose origini.
Lui consuma taralli, sforna focacce pugliesi, cerca l'olio bitontino e sogna le cime di rapa. Ascolta rapper salentini e aspetta la notte della taranta. E ci guarda sprezzante come si guardano i traditori, ("Vergognatevi! Siete passati al lato oscuro della forza!").
Lui ci mantiene ancorati a quello che siamo. Forse dovremmo essergli grati.


“Elasti”

martedì 21 luglio 2015

Dieta mediterranea ? Nein ! Dieta teutonica.

In concomitanza con l' EXPO è più che naturale voler parlare di cibo e di certo non si meraviglia nessuno se siamo al primo posto nella classifica stilata dall'Università degli Studi di Milano, sulla popolarità delle diverse culture culinarie in giro per il mondo.
Questa lista mostra le pagine più visitate delle cucine internazionali all'interno de wikipedia, la più famosa enciclopedia on-line, con oltre 120.000 utenti attivi e 36 milioni di pagine.
Nella classifica le diverse tradizioni culinarie sono ordinate per importanza, cioè quante volte sono citate e quante volte viene fatto riferimento ad esse all'interno di altri siti Web. In parole povere la cosiddetta "centralità armonica" considera quanto si parli sul web di un determinato argomento.
Superati i primi tre gradini del podio, dove la nostra cucina è affiancata dall'antica tradizione culinaria cinese e da quella della cugina d'oltralpe francese, arrivano le sorprese. Alla cucina turca, con il suo famoso kebab va la medaglia di legno e la cucina russa occupa un rispettabilissimo sesto posto. Ma è la Germania a fare la parte del leone : infatti occupa il settimo, il nono e il decimo posto rispettivamente con la cucina tedesca (quindi di tutto il paese) e con le cucine regionali della Baviera e della meno conosciuta Svevia.
Tre paesi sono i grandi assenti da questa classifica. Il primo è l'India, le cui spezie forse hanno un sapore troppo forte per molti appassionati di cucina. Il secondo e il terzo sono invece gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Verrebbe quindi da pensare che le ricette di queste due nazioni non suscitano sufficiente curiosità negli internauti.
Tuttavia, se si guarda un'altra classifica stilata dalla stessa università di Milano sugli alimenti più popolari sul Web, al secondo posto (dopo il cioccolato) si trova l'apple pie, torta di mele tipica proprio sia degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Come mai? Vista la prima classifica, se proprio un dolce alle mele doveva essere, ci si sarebbe aspettati uno strudel.

giovedì 16 luglio 2015

La vita è il tuo treno. Fai salire chi vuoi.

Icaro, il personaggio della mitologia greca che volò troppo vicino al sole, tanto che le sue ali si sciolsero, condensa in sé la tragedia dell'uomo moderno. Ignora ogni avvertimento finché non è troppo tardi, e di conseguenza precipita verso il mare e la morte. Per usare le parole di Christopher Booker, autore di The Seven Basic Plots, "Gonfio d'orgoglio per la sua capacità di volare, Icaro scivola nel sentimento della hubris, la tracotanza cosmica che costituisce l'essenza dell'egocentrismo. La hubris sfida la suprema legge dell'equilibrio e delle proporzioni che nell'universo governo ogni cosa, nonché il carattere interconnesso delle parti che lo compongono". Icaro sfida le leggi fisiche, e per questo la cera delle sue ali prende fuoco. Noi, allo stesso modo, sfidando la nostra vera natura finiamo col bruciarci.
Quando riflettiamo sui nostri desideri autentici, ci rendiamo conto che tutto ciò che accade nelle nostre vite - ogni sfortuna, ogni offesa, ogni perdita, ma anche ogni gioia, ogni sorpresa, ogni felice casualità - ci insegna qualcosa, e che la vita non è altro che un'immensa aula scolastica. È questo il fondamento della saggezza cui dall'alba dei tempi danno espressione insegnanti di discipline spirituali, poeti e filosofi. Dalla "Non un solo passero può cadere in terra senza il volere del padre vostro" della Bibbia, fino alla "Forse tutti draghi della nostra vita sono principesse che attendono solo di vederci belli e coraggiosi" di Rilke.
Le parole di saggezza che preferisco, quelle che conservo nel portafoglio stampate su un biglietto plastificato, appartengono a Marco Aurelio. Vera saggezza e considerare ogni fatto della vita in questo modo: "Tu esisti a mio beneficio, anche se le dicerie vorrebbero altrimenti". Ogni cosa volge a proprio vantaggio, quando le situazioni vengono accolte così : "Sei esattamente ciò che andavo cercando".
In verità, tutto quel che accade nella vita materiale è valido per provocare la propria crescita e quella delle persone intorno a sé. Questa, per riassumerla in una parola, è arte, e l'arte chiamata "vita" è una pratica adatta tanto gli uomini quanto agli dei. Ogni cosa contiene in sé uno scopo preciso e un beneficio nascosto. Cosa dunque può esservi di insolito o di arduo, se nella vita tutto esiste per accoglierti come un amico vecchio e fidato?
Molti anni fa feci un sogno che riassumeva lo stesso pensiero in modo diverso, traducendolo in immagini che con il tempo sono diventate per me una metafora rigenerante. Mi trovavo su un treno e stavo tornando alla casa del Signore (seguitemi fino in fondo!). Era un viaggio molto lungo, e il paesaggio che mi scorreva accanto era composto da tutto ciò che accadeva nella mia vita. Alcune cose erano bellissime e mi veniva voglia di soffermarmici, di rimanere lì aggrappata o addirittura di portarle via con me.
Altre parti del viaggio trascorrevano lentamente, in una campagna arida e desolata. In entrambi i casi, il treno proseguiva la sua corsa. E ogni volta che io indugiavo troppo su qualche dettaglio del paesaggio, bello o brutto che fosse, anziché accettare il fatto che ogni sua parte avesse la stessa importanza e contenesse come ci ha spiegato Marco Aurelio, uno scopo nascosto e un altrettanto nascosto beneficio, provavo dolore.
La mia figlia, naturalmente, si trovava a bordo con me. Al di là dei nostri familiari, eravamo noi a scegliere chi far salire sul treno, le persone con cui volevamo condividere il viaggio. Quelle che invitavamo sul treno erano le persone davanti alle quali eravamo disposti a mostrarci vulnerabili e vere, e con le quali non c'era spazio per le maschere o i trucchetti. Queste persone riuscivano a darci forza quando vacillavamo, e a ricordarci il vero scopo del viaggio quando ci lasciavamo distrarre dal panorama. E noi facevamo lo stesso per loro.
Non bisogna mai permettere agli Iago di cui è pieno il mondo - gli adulatori, gli insinceri - di salire sul nostro treno. Quando si stagliano all'orizzonte, il cuore e l'intuito non mancano mai di avvertirci, ma spesso siamo troppo indaffarati per rendercene conto. E quando ci accorgiamo che ormai sono a bordo, dobbiamo farli scendere al più presto, e non appena possibile perdonarli e dimenticarli.
Nulla inaridisce, inasprisce lo spirito come il risentimento.


Arianna Huffington

sabato 11 luglio 2015

Orizzonte rosa. Prova costume ? No ! Prova valigia.

Da qualche tempo le riviste non propongono altro che vestitini di cotone, cappelli di paglia e una moltitudine di occhiali da sole ...
D'altronde, non potremo certo aspettarci di vedere Moon Boot e camice di flanella in stile boscaiolo canadese ! Mi dispiace per le persone che stanno per partire per la Groenlandia : rappresentano una minoranza completamente trascurata.
Quanto a me, ogni anno mi ripropongo di portare in vacanza il minimo indispensabile e trovare il modo di mettere insieme un guardaroba intelligente, in cui ogni capo si abbini facilmente agli altri. Poi, però, dopo aver messo in valigia dei jeans bianchi mi affretto ad aggiungerne un paio blu, e al primo pareo ne affianco subito un secondo, perché, mi dico, è così grazioso, e a novembre non avrò certo occasione di indossarlo. Ora o mai!
Lo stesso vale per quella giacca di lino sgualcito e i due bikini di taglio essenziale. Uhmm ... A proposito di bikini : come ignorare "il grande ritorno del costume intero", che le riviste hanno iniziato ad annunciare già ad aprile, e che mi conferirebbe senz'altro un look alla Greta Garbo?
Inutile dire che dovrò portare anche magliette, canottiere, camice di lino e di cotone - il tutto in svariati colori e diversi esemplari, nel caso in cui il servizio di lavanderia dell'albergo non fosse sufficientemente solerte. Né posso omettere una o due mise speciali per la sera : in paese potrebbe esserci una festa, o potrei magari ricevere un invito da parte dei Finzi-Contini del luogo ...
Vi risparmio la lista degli accessori, che vanno dalle espadrillas alla pochette da sera, passando per gli orecchini ricevuti in regalo da mio cognato Mario, nel quale potrei imbattermi, e un paio di sandali da frate ricoperti di strass e acquistati a peso d'oro in un momento di pioggia e di profonda depressione, quando sognavo le vacanze ancora lontane. Una spesa che adesso sarò costretta ad ammortizzare portandoli con me in vacanza. E alla fine, voilà : mi ritrovo come ogni anno con una valigia sovrappeso. Per non dire obesa.
L'ultima volta la scusa era: "Sono stata costretta a partire in fretta e furia, e non ho potuto fare attenzione a cosa mettevo in valigia". Una bugia pietosa, dal momento che il contenuto della mia valigia era stato più ponderato del cartesiano Discorso sul metodo.
Una volta arrivati a destinazione capiterà anche a voi di trovare, tra mercati e negozietti sulla spiaggia, un delizioso camicione, un pareo irresistibile, un braccialetto di cotone intrecciato o un bel cestino, e di indossarli per l'intera vacanza, magari alternandoli a shorts di jeans bucati e sbiaditi.
Quest'anno, dunque, vi consiglio di mettere in valigia gli abiti che durante l'anno non indossate mai. Per esempio io, che vivo in blazer blu e pantaloni a sigaretta neri, (persino una suora potrebbe essere più estrosa di me), porterò vestitini a fiori stile anni 40', corpetti di pizzo e gonne lunghe un po' hippy. Dopo tutto, cosa c'è di più riposante che trasformarsi per qualche giorno in un'altra persona ? È una soluzione che consente di prendere le distanze dalla vita di tutti i giorni.
Ma non dimenticate di aggiungere anche i capi assolutamente improbabili. Mi spiego : l'anno scorso, nel ristorante di un'isola spagnola molto alla moda, seduta al tavolo accanto al mio ho notato una ragazza che indossava una semplice camiciola di seta color bianco avorio, stretta in vita da una cintura, e un Panamà. Una scelta che ho trovato fantastica, perché io possiedo abiti di quel genere, ma li indosso solo se ho un appuntamento con il mio banchiere, devo fare visita a una vecchia zia o sono già in ritardo di mezz'ora per andare al lavoro e non ho tempo di riflettere su cosa indossare. In breve, vedendo questa ragazza così elegante, mi sono ripromessa che l'anno dopo l'avrei imitata.
Ecco perché ho deciso che farò cambiare aria ai miei tristi pantaloni a righe e a scarpe di cuoio con i lacci, che portate senza calze acquistano un'aria incredibilmente moderna. In questo caso l'intenzione sarebbe quella di somigliare più a musicista cubano che a una starlette di Malibù.
Ma a prescindere dalla cura che dedicherete alla scelta del vostro guardaroba, ricordate che non si può prevedere il futuro : è per questo che le nostre valigie sono spesso "sbagliate".


Inès de la Fressange

lunedì 6 luglio 2015

Parliamo della osculazione. Cioè del bacio.

Sul podio della terza tappa del tour de France, il corridore italiano Vincenzo Nibali indossa la maglia gialla del primato. Al suo fianco, due miss in abito obbligatoriamente giallo gli fanno ala. Nibali, un bel ragazzo lui stesso, si piega verso quella alla sua destra e si scambia i casti baci d'ordinanza sulla guancia. Ma quando si gira a sinistra per ripetere il rito, la donna allontana brusca il volto e finge di sistemarsi la collanina. Quel gesto istintivo di ripulsa ha riaperto fra studiosi del comportamento umano, psicologi, sessuologi e reti televisive annoiate, l'eterna domanda su : che cos'è un bacio?
Per un gesto così comune e universale della nostra specie, e in molti più animali di quanto si pensi, esiste una sorprendente scarsità di ricerca scientifica. Esclusa la pur celebre ipotesi "dell' apostrofo rosa", smentita dal "bacio oceanico", si dice così, fra indigeni della Nuova Papua Guinea che si annusano, si leccano e si esplorano la faccia a lungo, (forse la ragazza del tour temeva che Nibali avesse antenati aborigeni del Pacifico), quell'atto, e sia il falso "air kiss" dei divi che baciano l'aria senza mai toccarsi, il bacetto di circostanza fra amici e parenti, o l'esplorazione prolungata anche nota come bacio alla francese, la "osculazione", vocabolo scientifico, è sempre stata trascurata.
Eppure sono almeno 5000 anni, secondo i più antichi scritti indiani e sumeri, che gli esseri umani usano le labbra per scambiarsi segnali. Sheril Kirshenbaum, professoressa della Texas University, giovane e graziosa, dunque certamente dotata di una buona casistica personale di ricerca, nota per esempio che nei secoli dell'analfabetismo quasi universale, il doppio bacio sulle guance era, più della croce segnata sulla carta, il segnale di un accordo commerciale raggiunto. Il bacio fra mafiosi è il suggello di un'appartenenza reciproca che soltanto la morte potrà spezzare, come i ripugnanti scambi di saliva fra i vecchi bavosi boss delle nazioni comuniste, costretti a succhiotti tra loro, servivano per suggellare la propria ortodossia ed evitare sgradevoli irruzioni di carri armati.
Se dobbiamo credere alla Kirshenbaum, e alla ricerca su cavie umane sopposte a varie misurazioni, il primo bacio rimane impresso nella memoria delle donne anche più nitidamente della prima esperienza sessuale. Molte intervistate di ogni età sono in grado di descrivere quel primo bacio con molti più dettagli, e spesso molta più nostalgia, del primo confuso amplesso. Il bacio sulla bocca, che prepotentemente e per sempre richiama il primo e indimenticabile rapporto fisico di noi umani con la mamma, può addirittura terrorizzare.
L'esploratore inglese William Read raccontò di essere riuscito, dopo interminabile corteggiamento, a strappare un bacio a una principessa africana della quale si era innamorato. La ragazza corse dal padre sovrano urlando che quel selvaggio uomo bianco aveva tentato di mangiarla.
E forse la principessa non si sbagliava di molto. Antropologi ipotizzano che l'attrazione maschile per la bocca dell'altro sesso, nasca dall'importanza fondamentale del colore rosso nella sopravvivenza dei nostri antenati. Il rosso, nel verde delle foreste, segnalava le bacche e i frutti più maturi. Erano dunque cibo e vita, meno rischiosi dei duelli con tigri dalle lunghe zanne, un riflesso rimasto nel fondo dei nostri circuiti ancestrali che le femmine del genere umano, (e quelle note sporcaccione delle scimmiette Bonobo), hanno intuito da millenni, usando ogni immaginabile materiale per dipingersi le labbra con ciò che ancor oggi, pur avendo centinaia di colori, è conosciuto come "rossetto".
Non so dunque se quella miss che rifiutò il bacetto del ciclista Nibali, temesse di essere divorata come una bacca o se appartenesse a quella vasta schiera di esseri umani, che hanno un'avversione profonda per ogni forma di intimità, anche la più innocente. Ma l'accostamento del bacio con il rosso delle bacche, apre un serio problema per coloro che soffrono, come chi scrive, di daltonismo, e proprio nel rosso e nel verde hanno il proprio handicap.
Non deve essere del tutto vero, dottoressa, perché di bacche e fragole mai ne trovai una sola nei boschi, ma qualche bacio, se ricordo bene, l'ho scambiato.


Vittorio Zucconi

sabato 4 luglio 2015

Parliamo di sesso ? Poco e con difficoltà.

"A me 'sto film me la fa passare, la voglia di far sesso", dice la mia amica nel quarto d'ora accademico che il cinema ci concede tra Nymphomaniac part. I e part. II. "Lars von Trier non ha mai fatto venire voglia di far sesso a nessuno", le rispondo tracannando tutti i pop corn che posso, perché altre due ore sono tante ... "Però vedere far sesso in genere sì, fa tecnicamente venire voglia di fare altrettanto - tranne in questo film".
E difatti il tecnicismo è un punto di discussione. Il sesso è una di quelle manifestazioni/necessità/piaceri umani di cui si parla peggio e con maggior difficoltà. Tutto questo non c'entra ovviamente con il moralismo : è proprio difficile parlare bene di sesso, raccontarlo con la temperatura emotiva giusta.
È un argomento, mettiamola così, scivoloso. Da qualunque parte lo si prenda, si sbaglia, (ecco, solo ad aver fondato l'argomento, ora qualunque frase, anche le ultime due prima di questa parentesi, diventano ambigue ...). E la necessità di parlarne, universale ed eterna, da Saffo a De Sade, alla vicina di casa con la sigaretta tra le labbra, non si affina nel modo a mano a mano che si prosegue sulla strada dell'emancipazione, anzi : diventa goffa.
Desacralizzato, il sesso diventa piatto, Lars von Trier lo abbatte raccontandolo in senso patologico, come quella carrellata di piselli multicolor che a un certo punto scorrono sullo schermo. "Piselli", perché c'è anche un lessico particolare nel parlare di sesso, che come tutti i lessici da scegliere affinché la comunicazione funzioni, deve tener conto della comprensione altrui.
Una cosa è parlare di sesso con la donna/l'uomo con cui quel sesso si fa, una cosa è parlare di sesso con la propria amica, con cui si condivide un'immagine di sesso, e altro è parlarne con un genitore, anche da adulti, anche quando quei genitori sono nonni e quindi danno per certo che i propri figli sappiano cosa è il sesso, (una volta Mario Martone mi disse che lo disturbava l'idea che suo padre vedesse le scene di sesso nel suo film L'odore del sangue, io ho sofferto a pensare mia madre, emancipatissima e femminista, leggere delle prodezze sessuali di alcune mie eroine).
Quando si dice che è difficile parlare di sesso ai bambini, la principale difficoltà sta nel trovare le parole giuste. Se fosse facile tra adulti parlare di sesso, parte delle resistenze a farlo con i bambini cadrebbe. Non si sa spiegare solo ciò che non si conosce bene, dicevo un mio professore al liceo. E il sesso è quanto di più inconoscibile esista proprio in un'epoca che lo mostra senza pruderie religiose o moraliste, lo manifesta, lo mostra, ma poi non ne sappiamo parlare.
Siamo sempre un passo avanti o uno indietro, non "raggiungiamo" mai l'oggetto del discorso, è come un'oasi per il naufrago del deserto, si sposta sempre : è uno dei miraggi all'orizzonte della parola.
Mi ricorda le descrizioni di certi vini : a grande equilibrio e armonia, è elegante e delicato, senza per questo perdere il suo carattere vivace. Ampio e persistente, offre una tavolozza molto ricca di sfumature diverse in cui si individuano profumi di frutti rossi, nocciola, spezie, tabacco.
Tutto vero, dopo che l'hai assaggiato. E se chi ascolta deve andarsi a cercare un'esperienza simile nel suo inventario di ricordi sessuali, colui il quale invece parla, riesce davvero a parlarne senza temere di sembrare ovvio, o freddo, o prudente ?
La mia impressione è che non si riesca. "Quando scrivi di sesso, prima masturbati" suggeriva Elsa Morante a Pier Giuseppe Murgia : un consiglio che dire pratico è dire poco. Lei voleva dire : liberati di quella tensione che da solo l'argomento sviluppa e che rovinerà qualunque discorso sensato. Più comunemente mi è successo la settimana scorsa di parlare di pornografia con un amico, e di aggiungere "Lo dico senza alcuna malizia, ah?". E lui, serio e compunto, affrettarsi a ribattere "Ma è ovvio". Ovvio un corno, se fosse stato ovvio nessuno avrebbe aggiunto nulla.
Potrebbe essere, il sesso, un argomento che si autoesclude appena compare ? Un tabù in questo senso, che scompare a nominarlo, lasciando al suo posto, al posto della tensione, e della bellezza, solo gli strumenti del mestiere, senza il manufatto compiuto (oops) ? Si dice a Napoli zitt'a chi sape o juoc, stia zitto chi conosce il gioco.


Valeria Parrella

mercoledì 1 luglio 2015

Cura più la mente che la medicina. Parliamo di meditazione e yoga.

Il nostro respiro ha qualcosa di sacro. A volte, quando intervengo in pubblico, per prima cosa chiedo ai presenti di concentrarsi per dieci secondi sul saliscendi del respiro. È incredibile come la sala, che fino a un attimo prima vibrava di energia caotica, di colpo si riempia di silenzio, di attenzione, di sacralità. Una trasformazione assolutamente palpabile.
Esistono nelle forme di meditazione, ma qualunque scegliate, è importante ricordare che a separarvi dai suoi benefici non è altro che un respiro. L'unico prezzo da pagare consiste in qualche istante della nostra attenzione.
Mia sorella Agapi ha sempre avuto un atteggiamento neutrale sulle questioni spirituali, eppure da sempre è la mia guida nella vita. Mi fa avvicinare a libri, persone, stimola le mie esplorazioni spirituali, mi telefona alle cinque del mattino, svegliandomi in un albergo di 
Kalamazoo, Michigan, per darmi il tempo di meditare prima che abbia inizio l'ennesima, massacrante giornata di tour promozionale per il mio libro.
Quand'ero giovane, era opinione comune che la meditazione potesse curare un po' tutto. Mia madre ci aveva convinte che meditando saremmo riuscite a fare i compiti più velocemente e a ottenere voti migliori. Noi sapevamo che la meditazione ci rendeva più calme e attenuava il nostro turbamento quando le cose non andavano nel modo voluto, e che al tempo stesso ci rendeva più felici.
Oggi la scienza ha cominciato a fornire prove che lo dimostrano. Nostra madre, semmai, i benefici della meditazione li sottovalutava. Quello che studi su studi dimostrano è che la meditazione e l'allenamento all'attenzione consapevole, hanno un effetto profondo su ogni aspetto della nostra vita : corpo, mente, salute fisica e benessere emotivo e spirituale. Non è esattamente la fonte dell'eterna giovinezza, ma siamo lì : se pensiamo a tutti i benefici che la meditazione comporta - e ogni giorno ne vengono scoperti di nuovi - non è eccessivo definirlo un farmaco miracoloso.
Pensiamo innanzitutto alla salute fisica. "La scienza, quella stessa scienza riduzionista che si usa per valutare vari tipi di farmaci e di procedure mediche, ha dimostrato che la mente può curare il corpo", scrivono Herbert Benson e William Proctor nel loro libro Relaxation Revolution. Gli autori esortano a considerare l'approccio mente-corpo/corpo-mente, come la terza opzione terapeutica principale, accanto alla chirurgia e ai farmaci. La meditazione, scrivono, può avere effetto su nausea, diabete, asma, reazioni cutanee, ulcere, tosse, certe forme di insufficienza cardiaca, capogiri, gonfiore post-operatorio, ansia : "Tutti questi disturbi hanno una qualche componente legata allo stress". E concludono : "Non è esagerato affermare che la meditazione può apportare miglioramenti in qualunque disturbo o malattia". È il "coltellino multiuso" degli strumenti medici e funziona per le malattie gravi come per quelle minori.
Uno studio finanziato dal National Institutes of Health ha comprovato
un calo del tasso di mortalità del 23% tra chi pratica la meditazione rispetto a chi non lo fa, un calo del 30% nell'incidenza di decessi dovuti a problemi cardiovascolari, e un significativo calo della mortalità da cancro.
"Effetti del genere equivalgono alla scoperta di un'intera nuova famiglia di farmaci, ma senza gli inevitabili effetti collaterali", osservano Mark Williams e Danny Penman. Da un altro studio emerge che la meditazione aumenta i livelli degli anticorpi prodotti dal vaccino antinfluenzale, oltre a diminuire intensità e durata dei raffreddori.
Alla Wake Forest University, hanno invece scoperto che attenua l'intensità del dolore. Com'è possibile ?
Non si tratta semplicemente di distrarsi dal dolore e dallo stress : la meditazione ci trasforma, letteralmente, a livello genetico. I ricercatori del Massachusetts General Hospital, del Beth Israel Deaconess Medical Center e della Harvard Medical School, hanno scoperto che la risposta di rilassamento - ovvero lo stato di calma indotto dalla meditazione, dallo yoga e dagli esercizi di respirazione - attiva alcuni geni coinvolti nel rafforzamento del sistema immunitario.
Con risultati del genere, non sorprende che, stando ad un altro studio ancora, la meditazione concorra alla riduzione dei costi medici annualmente sostenuti.


Arianna Huffington