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domenica 26 luglio 2015

Come si cambia per non morire. Ma cambiare perchè ?

Lei circola in pantaloncini corti, sempre gli stessi, e indossa magliette sbrindellate. Porta scarpe da ginnastica sdrucite, ciabatte sciatte oppure niente. Non si pettina mai e non si trucca più. Quando il super io dotato di senso estetico si risveglia, lei raccoglie le chiome informi in una coda di cavallo e si sente terribilmente in ordine. Quando fa la spesa, saluta le cassiere domandando loro come stiano e si congeda augurando: "Have a good one", sinonimo di "buona giornata", ma più disinvolto e giovane.
Cucina hot dog, organizza play date con bambini fuori controllo e madri nevrotiche e, dal gelataio, ordina un cono al gusto di pasta di biscotto con praline dorate sopra. Insane Body Challenge è il nome del corso che frequenta in palestra, insieme a tizi e tizie come lei, in calzoncini e coda di cavallo.
Il sabato va al farmers market e compra teste d'aglio ammaccate e biologiche per cifre astronomiche. Mangia bacche e semi di zucca e guarda il reparto vegano del supermercato con inconsulto interesse. Continua a depilarsi solo per un residuo retaggio culturale, destinato, prima o poi, a essere scardinato dalla convinzione che l'obbligo morale di strapparsi i peli sia una delle innumerevoli, infide manifestazioni dell'oppressione di genere e della schiavitù a canoni estetici retrogradi e nefasti. Sta pensando di iscriversi a un gruppo di meditazione e al circolo del libro all'angolo.
I suoi figli sono tre creature allo stato brado. Frequentano campi estivi in cui imparano a maneggiare serpenti, bacherozzi, api e funghi velenosi. Parlano, come piccoli Zelig, la lingua di Paolino Paperino, con lo stesso inquietante accento del pennuto. Mangiano gelatina alla menta con l'arrosto e spalmano burro di arachidi sulle banane. Raccolgono, pagati a cottimo, vermi per il compost della vicina di casa e la sera, prima di cena, guardano un terrificante programma in tv che si chiama American Ninja Challenge, dove nerboruti signore e signori, convinti di essere tartarughe guerriere, si sottopongono a prove fisiche inumane e umilianti.
Questi quattro tizi, vittime di una spaventosa metamorfosi e di pericolose derive yankee, siamo noi, alla nostra sesta estate nella città di A., tra i boschi del Massachusetts, dove, mentre il pater familias economista marxista lavora per l'abbattimento del capitalismo globale, ci lasciamo risucchiare dalle lusinghe della provincia rurale e fricchettona americana.
Il problema è che siamo, tutti noi, per natura, indole, necessità e spirito di sopravvivenza, creature duttili. Come spugne, ci impregniamo dell'ambiente che ci circonda e finiamo per assomigliargli prima ancora di prenderne coscienza. Le radici, forse, restano altrove ma parole, abitudini, gesti e aspetto cambiano rapidamente. È un gioco, un esercizio, il tentativo, destinato comunque al fallimento, di sembrare meno alieni di quel che siamo, di sentirci un po' più uguali, inseriti, simili. Siamo bravissimi a sentirci a casa. Siamo professionisti dell'adattamento, dell'aggiustamento e dell'accomodamento.
Quanto tempo ci vorrebbe per diventare quello che non siamo? Probabilmente meno di quanto pensiamo. Tutto questo mi meraviglia e mi terrorizza. Saremmo capaci di cambiare anche la sostanza? Non so e non voglio saperlo.
Per fortuna, noi abbiamo lui : il monito, il detentore dell'essenza, il bacchettone, l'integerrimo. Mentre noi ci abbandoniamo all'acclimatamento selvaggio, vendendo la nostra anima e i nostri vermi alla vicina di casa vegana, mio marito vigila e reprime la mescolanza etnica. Lui è l'eccezione che conferma la regola. Lui è barese e nient'altro, incorruttibile e fedele alle sue gloriose origini.
Lui consuma taralli, sforna focacce pugliesi, cerca l'olio bitontino e sogna le cime di rapa. Ascolta rapper salentini e aspetta la notte della taranta. E ci guarda sprezzante come si guardano i traditori, ("Vergognatevi! Siete passati al lato oscuro della forza!").
Lui ci mantiene ancorati a quello che siamo. Forse dovremmo essergli grati.


“Elasti”

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