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lunedì 21 novembre 2016

Il Black Friday contagia tutta Europa.

In America i giorni in cui si registrano il maggior numero di acquisti al dettaglio sono il Black Friday e il Cyber Monday. Il Black Friday risale ai tempi di Roosevelt.

Fino agli anni '30 il giorno del Ringraziamento non era solo un'occasione per rendersi grazie gli uni con gli altri, in memoria delle vicende storiche che avevano caratterizzato i primordi della civiltà statunitense, bensì rappresentava per i commercianti il vero e proprio calcio d'inizio della stagione natalizia.
Un tempo, infatti, era considerato inappropriato negli Stati Uniti, vendere articoli natalizi prima del Ringraziamento, ma questo lasciava poco tempo a disposizione per gli acquisti, rendendo scontenti i negozianti, che sentivano di non essere messi nelle condizioni di trarre il massimo dei profitti. Per questo motivo fu chiesto a Roosevelt di anticipare tale festività di una settimana.
Nonostante la prerogativa di scegliere la data gli spettasse di diritto - non essendo il Ringraziamento, all'epoca, una festività nazionale - il suo decreto fu accolto da una notevole resistenza. I repubblicani sostenevano che la decisione di Roosevelt fosse irrispettosa nei confronti del lascito culturale del presidente Lincoln, il quale aveva statuito che il giorno del Ringraziamento dovesse coincidere con l'ultimo giovedì di novembre.
Così si finì col celebrare due Ringraziamenti: quello repubblicano è quello democratico, rinominato goliardicamente "Franksgiving" dal nome del presidente Roosevelt. Dopo due anni, poiché non fu notato alcun beneficio significativo dal punto di vista delle compere natalizie, si tornò a festeggiare il Ringraziamento in un'unica data, quella stabilita da Lincoln.
Per quanto l'usanza di non vendere articoli natalizi prima di tale festività sia ormai decaduta da tempo, il Ringraziamento è tuttora considerato la pietra miliare della stagione degli acquisti natalizi, e ancor di più il giorno successivo, il cosiddetto Black Friday. Tale evento è diventato celebre per le irresistibili offerte speciali e i clamorosi sconti, ma la sua origine deriva semplicemente dal fatto che gli impiegati esterni al settore del commercio, avendo come giorni di vacanza il Ringraziamento e il venerdì successivo, usavano questo giorno per lo shopping natalizio.
Il termine "Black Friday", letteralmente venerdì nero, trae origine dal nomignolo attribuitogli dalla polizia, che temeva i disordini causati dall'enorme massa di persone che affollavano i negozi. Il nome ha perduto la sua connotazione negativa, complici i negozianti che astutamente hanno diffuso la diceria che il nome indicasse il fatto che si rovinassero con quelli sconti così convenienti.
Con la diffusione sempre crescente dello shopping on-line, non stupisce che anche i cosiddetti "on-line retailers" volessero sfruttare il fenomeno. Ed ecco così che il lunedì successivo al Black Friday ha preso il nome di Cyber Monday e ha replicato le medesime dinamiche di offerte estremamente convenienti e sconti audaci.
L'origine di tale termine risale al picco delle vendite on-line registrato il lunedì in questione, in quanto le persone rientrate al lavoro usavano l'Internet dei loro uffici per continuare le proprie compere.
Durante il Cyber Monday 2015 negli Usa, si sono registrate vendite on-line per oltre 3 miliardi di dollari, un aumento del 16% rispetto all'anno precedente, che lo hanno reso il giorno di maggior spesa on-line di sempre. Peraltro il 2015 ha rappresentato l'anno durante il quale la popolarità delle acquisti on-line ha superato quella degli acquisti "off-line".
I negozi on-line non costituiscono soltanto un mezzo più rilassato di fare acquisti, essi sono anche un modo per promuovere il Black Friday ovunque nel mondo. Infatti quando nel 2010 Amazon ha cominciato a promuovere il Black Friday nel Regno Unito, il resto dei grandi rivenditori sono stati costretti a seguirne l'esempio. Il risultato è che ormai anche nel Regno Unito l'ultimo venerdì di novembre fa registrare ogni anno il numero più alto di transazioni e acquisti al dettaglio, così come il Cyber Monday fa registrare i maggiori acquisti on-line.
Il resto d'Europa non ha ancora raggiunti i livelli di entusiasmo britannici, ma negli ultimi anni la popolarità di queste due giornate si sta diffondendo anche in Italia, Germania e Francia, anche se con un coinvolgimento maggiore dei rivenditori on-line, il cui utilizzo per gli acquisti natalizi sta crescendo a vista d'occhio.
L'interesse nel Black Friday però non manca: in Italia, ad esempio, il numero di volte in cui questo termine è stato cercato su Google nel 2015, ammonta al quadruplo rispetto all'anno precedente.


sabato 19 novembre 2016

Breve storia del Kleenex, il fazzoletto di carta.

Lo sapevate che un fazzoletto di carta pesa in media 3 grammi? Il che significa che un italiano in media usa 4333 fazzoletti di carta in un anno. Vediamo perché.

Con il primo freddo arrivano anche i primi raffreddori. Parenti, amici, colleghi, nessuno è immune a sternuti e soffiate di naso. Prima che colpisca anche noi è solo questione di tempo: meglio essere previdenti e armarsi di quantità industriali di fazzolettini.
Secondo alcuni, la storia dietro questo fogliettino di carta usa e getta, a volte antipatico agli ambientalisti, è centenaria. I primi avvistamenti risalgono al 17º secolo in Giappone, dove viaggiatori europei rimasero stupiti dall'uso di questa carta soffice, utilizzata per soffiare il naso e poi candidamente gettata a terra. Un'invenzione stupefacente rispetto al classico fazzoletto occidentale, che doveva essere custodito e lavato quando necessario.
Il fazzolettino come lo conosciamo oggi, è stato inventato negli anni 20' dalla società americana Kimberly-Clark, proprietaria del famoso marchio Kleenex. Curiosamente è uno dei quei pochi casi, in cui il modo di utilizzo di un prodotto non è stato deciso a monte, bensì dagli utenti finali. Quando i fazzolettini di carta sono stati introdotti sul mercato, erano stati pensati come un fogliettino di carta usa e getta, per permettere alle signore di rimuovere creme idratanti in eccesso.
Anche nei cartelloni pubblicitari, furono usate le star di Hollywood fotografate nei camerini, mentre utilizzavano i fazzolettini per rimuovere il trucco di scena. Solo qualche anno più in là, la Kimberly-Clark ha effettivamente capito come il suo prodotto venisse utilizzato dai consumatori.
Da allora il fazzolettino chiamato da molti kleenex, è diventato un oggetto di uso comune. Quanti ne consumiamo ogni anno? Forse non vi stupirete molto, visto che l'uso maggiore è nei paesi più freddi dove probabilmente ci si raffredda di più. Ma credo che nessun italiano, se interrogato, avrebbe mai pensato di usare in un anno più di 13 chili di fazzoletti.



martedì 8 novembre 2016

Sul tesoro di Alarico non mi ci fico.

Con la statua di Alarico il nostro provincialismo ha di che pascersi. Soprattutto, quello degli storici dilettanti che si baloccano con la leggenda del re barbaro distruttore sol perché, grazie alla morte del re visigoto, Cosenza è stata lambita dalla Grande Storia. E, Grazie a questa statua, sono sicuro, torneranno alla carica anche gli archeologi improvvisati, ansiosi di far trivellare ben bene il letto del Busento per
cercare il favoloso tesoro su cui, da Giordane in avanti, hanno fantasticato in tanti. Comunque ringrazio il sindaco Occhiuto per questo marketing germanizzante. Non perché creda nella sua iniziativa, ma perché, grazie a questa trovata, ho avuto almeno la possibilità di conoscere il professor Luttwak, di cui sono lettore e ammiratore, quando, nell’estate del 2014, venne a Cosenza per sponsorizzare l’iniziativa. Tuttavia, questa ricerca è roba di basso profilo, da cui gli storici e gli archeologi veri si tengono a distanza di sicurezza. E fanno bene, perché nessuno di questi avventurosi Indiana Jones alla sardella sa o ha mostrato di sapere chi fosse Alarico. Né lo ha spiegato il Comune di Cosenza, a dispetto del popò di brochures stampate due anni fa. E c’è da pensare che neppure l’amministrazione Occhiuto 2.0 non brillerà per divulgazione.
È il caso, anche sulla scia di recenti polemiche, di ricordare chi fosse davvero Alarico e, soprattutto, chi fossero i suoi goti tervingi (il nome tribale dei visigoti). Dunque, Alarico Amal (questo è il suo nome goto) era qualcosa di meno di un legionario e molto di più di un mercenario. Non a caso, figura nella “Notitia Dignitatum” col nome di Flavius Alaricus e col titolo di magister militum per Illyricum, cioè generale di corpo d’armata della Dalmazia. Nulla di strano in un’epoca in cui l’esercito imperiale era barbarizzato e i vari capi tribù diventavano sistematicamente alti ufficiali. Per carità, comandavano la loro gente e chi li seguiva, di cui erano re, e l’Impero, a corto di soldati, si limitava a sanzionarne lo status nella speranza di addomesticarli. Barbaro distruttore? Invasore? Proprio no. Quando mise Roma a sacco, Alarico si comportò come un creditore che cercava di attuare un “decreto ingiuntivo” per recuperare il soldo, proprio e della propria truppa. In alternativa, aveva chiesto la “terza”, cioè il diritto di sfruttamento di un terzo di quei latifondi italici su cui, fino a due generazioni prima, i goti come lui si erano spaccati la schiena come schiavi. Il rifiuto di pagare o di concedere le terre fece scattare il “sacco”, che poi, a rileggere le fonti, non fu quel granché. 
Nulla di paragonabile a quel che avevano fatto Silla o, peggio, Antonio e Augusto alla fine della Repubblica. Ma Alarico, per quanto romanizzato, era considerato un “barbaro”. Per di più era cristiano ariano (cioè seguace dell’eresia del prete bizantino Ario, le teorie naziste non c’entrano). Per tutti questi motivi non godette di “buona stampa”, visto che gli intellettuali tardoromani erano cattolici o pagani e, comunque, un po’ razzisti. Lui, più semplicemente, fu il capo di un popolo che non voleva distruggere un bel nulla, ma solo far parte dell’Impero e del suo benessere. La “crisi gotica”, che portò al collasso il mondo romano, fu perciò una crisi da mancata integrazione, tra l’altro strana in un sistema che si era costruito nei secoli integrando popoli diversi. Si pensi a quel che era accaduto coi celti, così romanizzati da tramandare la romanità a impero già finito. Perché la stessa cosa non accadde coi goti, che tra l’altro non chiedevano di meglio che romanizzarsi?
È di questo Alarico, molto più suggestivo e vero dello stuprafanciulle della leggenda, che avrei voluto sentir parlare. Con buona pace di chi, in nome del marketing, si appresta a un altro abuso pubblico della storia. Ho capito che la politica è impegnativa e amministrare una città non facile come Cosenza prende tempo. Ma, visto che i consulenti non mancano, perché non pagarli affinché leggano qualche libro serio? Magari ci avrebbero evitato figuracce e si sarebbero resi utili.


Saverio Paletta

martedì 1 novembre 2016

Referendum costituzionale: c'è chi dice no.

Io voto no. E non perché sono un fanatico nostalgico di cose che non ho vissuto. Già: non ho vissuto la resistenza, il referendum del 2 giugno, in cui avrei scelto la Repubblica, non ho vissuto il ’48 e non considero la Prima Repubblica, di cui ho vissuto e contestato la fase terminale, una sorta di Età dell’Oro.
Ho studiato la Costituzione (a differenza di tanti, che se la mettono in bocca senza conoscerla) quel che basta per conoscerne i difetti, che sono tantissimi. A qualcuno, ad esempio, è mai venuto in mente che, tranne che per la mancanza del contrappeso della monarchia e in assenza di un istituto presidenziale forte, la parte seconda della Costituzione è stata una copia malfatta dello Statuto Albertino? Non ce ne siamo accorti solo grazie al fatto che, dal ’46 in avanti, siamo stati a sovranità limitata, sennò saremmo finiti come la Repubblica di Weimar. E non ce ne accorgiamo ora solo grazie al provvidenziale sequestro di sovranità operato dall’Ue, senza la quale avremmo fatto la fine della Jugoslavia.
E, a proposito di originalità, la prima parte? Il gioiello di architettura sociale che il mondo dovrebbe invidiarci (mai letta, al riguardo la Costituzione della Bundsrepublik di Bonn, elaborata da giuristi di ben altro spessore)? Non vi puzza un po’ di “copia e incolla” dalla Carta del Lavoro fascista oppure, per andare a ritroso, della Carta del Carnaro di dannunziana memoria (anche se in realtà la elaborò Alceste De Ambris, il fondatore della Uil)?
Non amo troppo i nostri Padri della Patria Repubblicana. Grigi, più astuti che brillanti, incapaci come cattolici, spesso inetti come laici. Ma di sicuro più colti, dotati e sensibili di chi, a partire dagli anni ’60, la fortuna ci diede in sorte.
Questa Costituzione va riformata seriamente e il no, che voterò, ci farebbe restare ostaggi di una classe dirigente locale, regionale e nazionale becera, ignorante e scadente. Ma il sì sarebbe peggio: consentirebbe a una parte di questa stessa classe dirigente di chiudersi la porta dietro le spalle e, da ostaggi, diventeremmo prigionieri. Non sono costoro, buoni più a lanciare slogan che a pensare, che possono darci un esecutivo autorevole, aggiornare il welfare e ristrutturare i poteri pubblici. Non loro che sono espressione, in buona parte, di lobby non disposte a mettersi in discussione e di un parlamento illegittimo costituzionalmente e autore di una legge elettorale, l’Italicum, al setaccio della Corte Costituzionale (che, passasse la riforma, lorsignori lottizzerebbero senza troppi complimenti). Dico no per questo. Però non nutro troppa fiducia in quell’Armata Brancaleone che è il fronte del no. Li aiuteremo a farla franca se riusciremo a bocciare questa riforma. Spero che con loro l’appuntamento sia solo rinviato.


Saverio Paletta