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martedì 8 novembre 2016

Sul tesoro di Alarico non mi ci fico.

Con la statua di Alarico il nostro provincialismo ha di che pascersi. Soprattutto, quello degli storici dilettanti che si baloccano con la leggenda del re barbaro distruttore sol perché, grazie alla morte del re visigoto, Cosenza è stata lambita dalla Grande Storia. E, Grazie a questa statua, sono sicuro, torneranno alla carica anche gli archeologi improvvisati, ansiosi di far trivellare ben bene il letto del Busento per
cercare il favoloso tesoro su cui, da Giordane in avanti, hanno fantasticato in tanti. Comunque ringrazio il sindaco Occhiuto per questo marketing germanizzante. Non perché creda nella sua iniziativa, ma perché, grazie a questa trovata, ho avuto almeno la possibilità di conoscere il professor Luttwak, di cui sono lettore e ammiratore, quando, nell’estate del 2014, venne a Cosenza per sponsorizzare l’iniziativa. Tuttavia, questa ricerca è roba di basso profilo, da cui gli storici e gli archeologi veri si tengono a distanza di sicurezza. E fanno bene, perché nessuno di questi avventurosi Indiana Jones alla sardella sa o ha mostrato di sapere chi fosse Alarico. Né lo ha spiegato il Comune di Cosenza, a dispetto del popò di brochures stampate due anni fa. E c’è da pensare che neppure l’amministrazione Occhiuto 2.0 non brillerà per divulgazione.
È il caso, anche sulla scia di recenti polemiche, di ricordare chi fosse davvero Alarico e, soprattutto, chi fossero i suoi goti tervingi (il nome tribale dei visigoti). Dunque, Alarico Amal (questo è il suo nome goto) era qualcosa di meno di un legionario e molto di più di un mercenario. Non a caso, figura nella “Notitia Dignitatum” col nome di Flavius Alaricus e col titolo di magister militum per Illyricum, cioè generale di corpo d’armata della Dalmazia. Nulla di strano in un’epoca in cui l’esercito imperiale era barbarizzato e i vari capi tribù diventavano sistematicamente alti ufficiali. Per carità, comandavano la loro gente e chi li seguiva, di cui erano re, e l’Impero, a corto di soldati, si limitava a sanzionarne lo status nella speranza di addomesticarli. Barbaro distruttore? Invasore? Proprio no. Quando mise Roma a sacco, Alarico si comportò come un creditore che cercava di attuare un “decreto ingiuntivo” per recuperare il soldo, proprio e della propria truppa. In alternativa, aveva chiesto la “terza”, cioè il diritto di sfruttamento di un terzo di quei latifondi italici su cui, fino a due generazioni prima, i goti come lui si erano spaccati la schiena come schiavi. Il rifiuto di pagare o di concedere le terre fece scattare il “sacco”, che poi, a rileggere le fonti, non fu quel granché. 
Nulla di paragonabile a quel che avevano fatto Silla o, peggio, Antonio e Augusto alla fine della Repubblica. Ma Alarico, per quanto romanizzato, era considerato un “barbaro”. Per di più era cristiano ariano (cioè seguace dell’eresia del prete bizantino Ario, le teorie naziste non c’entrano). Per tutti questi motivi non godette di “buona stampa”, visto che gli intellettuali tardoromani erano cattolici o pagani e, comunque, un po’ razzisti. Lui, più semplicemente, fu il capo di un popolo che non voleva distruggere un bel nulla, ma solo far parte dell’Impero e del suo benessere. La “crisi gotica”, che portò al collasso il mondo romano, fu perciò una crisi da mancata integrazione, tra l’altro strana in un sistema che si era costruito nei secoli integrando popoli diversi. Si pensi a quel che era accaduto coi celti, così romanizzati da tramandare la romanità a impero già finito. Perché la stessa cosa non accadde coi goti, che tra l’altro non chiedevano di meglio che romanizzarsi?
È di questo Alarico, molto più suggestivo e vero dello stuprafanciulle della leggenda, che avrei voluto sentir parlare. Con buona pace di chi, in nome del marketing, si appresta a un altro abuso pubblico della storia. Ho capito che la politica è impegnativa e amministrare una città non facile come Cosenza prende tempo. Ma, visto che i consulenti non mancano, perché non pagarli affinché leggano qualche libro serio? Magari ci avrebbero evitato figuracce e si sarebbero resi utili.


Saverio Paletta

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