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mercoledì 24 luglio 2013

Essere grati a Dolce&Gabbana. di Oscar Giannino

Si deve gratitudine, a Domenico Dolce e Stefano Gabbana. Non solo per quello che fanno genialmente da tanti anni, nella moda. Si deve loro gratitudine proprio per l’eclatante durezza con cui hanno protestato, quando l’assessore milanese D’Alfonso ha affermato che Milano non doveva dar loro spazio, perché evasori. Le due pagine che Dolce e Gabbana hanno pagato sui giornali per esporre le loro ragioni rappresentato non solo la loro personale protesta, ma un atto d’accusa pubblico contro errori, orrori e scempio che purtroppo caratterizzano sempre più ordinamento e contenzioso tributario italiani.
Sono tanti, i paradossi del caso Dolce e Gabbana. Continua a valere per loro la maxi multa di 400 milioni stabilita a marzo dalla Commissione tributaria di primo grado. Eppure a giugno, in Tribunale – da noi vige il doppio rito, penale e tributario, viva il giustizialismo – il giudice ha dovuto riconoscere che l’accusa di dichiarazione infedele nei loro personali confronti era infondata, li ha assolti perché il fatto non sussiste. Il Tribunale ha inoltre dovuto riconoscere che era infondato che lo Stato chiedesse come imposta il doppio dei redditi conseguiti e dichiarati per la cessione dei marchi,eppure lo Stato lo aveva chiesto. Mentre il Tribunale nulla può sul fatto che le leggi applicate siano retroattive rispetto agli anni d’imposta contestati, perché la retroattività è prassi ordinaria fiscale italiana anche se proibita dal calpestatissimo Statuto del contribuente.
Ecco, tutto questo naturalmente lo hanno ignorato, i giustizialisti che hanno solidarizzato con D’Alfonso. Compreso il sindaco Pisapia, che ci ha messo giorni prima di capire la malaparata e tendere una mano. La lotta contro un fisco che attribuisce a sé poteri illegali in ogni altro ordinamento liberale ha bisogno di proteste esplicite. E di eroi, tanto meglio se noti e conosciuti come Dolce e Gabbana. Non hanno fatto come tanti altri vip, che pagano e tacciono. Hanno dato voce alla libertà. Per questo chi è libero sta con loro, non con l’oppressore.
Oscar Giannino

Leggi QUI l'articolo originale.

domenica 21 luglio 2013

Ma dove vai "Italia" in bicicletta ...

Complice la crisi, una spasmodica cura per il corpo e un sempre più attento occhio di riguardo al pianeta, la bicicletta è diventata il mezzo di trasporto più utilizzato dagli italiani.
A testimoniarlo è una ricerca condotta dal Censis che rileva il cambiamento di rotta : 1.750.000 le biciclette vendute contro 1.748.143 di automobili immatricolate. Il dato non solo è il frutto dei tempi che cambiano, ma sottolinea una rivoluzione nello stile di vita dell'italiano medio. Era dal dopoguerra che le quattro ruote non perdevano la sfida delle vendite, con il mezzo di trasporto più economico della categoria.
A dado tratto, l'Osservatorio Linear dei Servizi ha cercato di capire meglio le nuove abitudini del cittadino e ha scoperto che la mountain bike è il modello di bicicletta prediletto da ben il 43% degli intervistati. Il motivo ? Manco a farlo apposta ha a che fare con il prezzo, ma non solo … la robustezza e la funzionalità sono le qualità che spingono l'acquirente verso quest'acquisto.
Grazie alla sua agilità e al peso contenuto, la city bike si aggiudica il 38% delle preferenze, mentre la classica bicicletta dal sapore retrò del nonno, si piazza sul gradino più basso del podio.
Quella tra automobilisti e ciclisti è una guerra senza fine : i primi non sopportano i gruppi di ciclisti che circolano in modo affiancato occupando più della metà della carreggiata, 55%, mentre gli altri non digeriscono la non curanza dell'aprire la portiera della macchina, senza fare attenzione alla loro possibile presenza, 53%.
Al secondo posto, entrambi i gruppi si rinfacciano la mancata segnalazione del cambio di direzione, 51 e 43%, mentre al terzo posto i ciclisti rimproverano agli automobilisti il parcheggio in doppia fila, 44% ; viceversa invece il peggior difetto è quello di non accendere mai le luci di posizione, 34%.
Discordia anche sul campo della sicurezza, i motivi principali ? Il 27% dei ciclisti indica negli automobilisti indisciplinati, il 12% si lamenta delle piste ciclabili, troppo poche o addirittura inesistenti, il 9% degli intervistati invece mette in evidenza lo stato delle strade, dissestate e prive di manutenzione.


giovedì 11 luglio 2013

Economia domestica. I gesti che fanno risparmiare.

Ottimizzare il consumo di energia elettrica e di gas è il sogno di molti italiani, MCE – Mostra Convegno Expocomfort ci svela tutti i segreti per farlo. Alla base del risparmio ci sono alcuni semplici accorgimenti da adottare e scelte precise da fare al momento dell'acquisto.
Ma andiamo con ordine. Partendo dalle accortezze legate ai gesti quotidiani, possiamo garantirci un risparmio che supera il 50% della spesa. Ecco come :
- Ricordatevi di regolare il termostato dello scaldabagno : non utilizzare temperature superiori ai 40°C durante il periodo estivo e ai 60°C durante il periodo invernale. Inoltre è conveniente installare sull'apparecchio un timer per fissare l'orario di accensione e di spegnimento.
- Applicare il frangigetto su tutti i rubinetti del vostro appartamento, vi permetterà di ridurre il consumo dell'acqua fino al 50%, mantenendo inalterata l'efficacia e il comfort. Montarli è semplicissimo : è sufficiente svitare a mano il filtro del rubinetto e inserire il riduttore. Stesso discorso per quanto riguarda la doccia.
- Spesso si usa l'acqua solo per pochi secondi, ecco perchè è una buona abitudine quella di regolare il rubinetto su “freddo”, così facendo si evita di far partire la caldaia, e quindi consumare, inutilmente.
- Non lasciate scorrere l'acqua senza utilità quando, ad esempio, vi lavate i denti o vi radete la barba : durante queste operazioni vi sono molti intervalli in cui l'acqua non viene utilizzata, causando un dispendio calcolato intorno ai 2000 litri l'anno.
- Preferite la doccia al bagno : facendo la doccia in media si consumano dai 30 ai 50 litri d'acqua, mentre con l'uso della vasca da bagno le quantità vanno triplicate.
- Applicare un regolatore di scarico alla cassetta del water : forse non tutti sanno che il 30% dell'acqua consumata complessivamente in un appartamento, finisce nello scarico del water. Normalmente le cassette di scarico hanno una capacità che si aggira attorno ai 12 litri. Questi litri d'acqua vengono completamente rilasciati ad ogni scarico, magari anche solo per un piccolo pezzo di carta. Il consiglio è di installare un sistema in grado di erogare la quantità di acqua strettamente necessaria. Questa precauzione può farvi risparmiare fino a 26.000 litri d'acqua l'anno.
- Gli elettrodomestici come la lavatrice e la lavastoviglie vanno messi in funzione solo quando sono a pieno carico. La quantità di acqua e di energia elettrica utilizzata è sempre la stessa, indipendentemente dal carico utilizzato. Questo accorgimento può farvi risparmiare fino a 8.000 litri di acqua potabile.
- Utilizzate la domotica : oggigiorno in commercio sono in vendita pratici ed economici dispositivi, in grado di permettervi di gestire in modo intelligente il consumo di energia dell'abitazione, risparmiando notevolmente sui costi d'illuminazione, riscaldamento, condizionamento.
- Durante l'estate accendete il condizionatore tenendo conto di una differenza di massimo 8°C, rispetto alla temperatura esterna. Soldi e salute vi ringrazieranno. Non dimenticatevi di controllare i filtri, la serpentina di evaporazione e il canale di scarico. In inverno invece, è opportuno mantenere in casa una temperatura di 20°C e lasciare respirare i caloriferi. Via quindi tende o mobili vari che trattengono il calore. Oltre a ciò ricordatevi di eliminare l'aria dai caloriferi.
Passiamo ora al momento dell'acquisto. In questi casi il detto “chi più spende meno spende” casca proprio a fagiolo.
La spesa di un elettrodomestico di classe energetica alta, comporta si una maggiore spesa iniziale, ma anche un risparmio sulla bolletta elettrica, che consente di ripagarsi la spesa già dalla seconda bolletta. Visto che andiamo incontro alla bella stagione, ipotizziamo l'acquisto di un condizionatore : quello di classe A rispetto ad uno di classe C, permette di risparmiare circa il 30% annuo sui consumi di elettricità e quindi di ridurre del 30% anche le emissioni e di anidride carbonica. Non male.
Per ottenere un risparmio di energia che va dal 40 al 60% nel riscaldamento invernale rispetto ai sistemi tradizionali, il consiglio è quello di utilizzare la pompa di calore per riscaldare anche l'acqua sanitaria. Installati a parete o a pavimento, (assomigliano alle classiche caldaie), utilizzano pochissima energia elettrica in quanto assorbono il calore direttamente dall'aria esterna tanto da arrivare, grazie ad alcuni modelli ad alta efficienza, a garantire un risparmio del 75% rispetto ai sistemi tradizionali.
Le valvole termostatiche installate sui caloriferi, invece, permettono di regolare il consumo di acqua calda per il riscaldamento. Per ogni radiatore si sostituisce la valvola manuale con una valvola termostatica, che regola automaticamente l'afflusso di acqua calda in base alla temperatura scelta, deviando l'acqua calda verso altre utenze o diminuendone la portata complessiva.
Con l'installazione di quest'ultime si arriva a risparmiare circa il 10-15% delle spese di riscaldamento. L'utilizzo di acqua calda in casa è spesso sottovalutato. Tenendo in considerazione che adoperare acqua calda, significa anche adoperare gas oppure, nei casi in cui si utilizzi uno scaldabagno, si traduce nel consumare energia elettrica, è raccomandabile utilizzare caldaie a condensazione ad alta efficienza. I modelli oggi sul mercato, grazie alle nuove tecnologie, consentono un risparmio energetico fino al 35% rispetto ad una caldaia di vecchia generazione, eliminando gli sprechi, (di energia), e permettendo di ottenere rendimenti termici superiori alle caldaie convenzionali.
Il risparmio non finisce qui : il decreto ministeriale 28/12/12, decreto conto Termico, e il decreto ministeriale 05/07/12, quinto conto energia, prevedono una serie di incentivi molto interessanti.
Informarsi conviene.

sabato 6 luglio 2013

PDL deposita ddl "Ammazza blog" per chiudere il blog di Grillo.

Che la nuova legge Ammazza Blog sia pensata in primis per il blog di Beppe Grillo lo fa pensare lo stesso firmatario del disegno di legge, Salvo Torrisi del Pdl, quando spiega che “non c’è nessuna censura nei confronti dei 5 stelle. Ma internet non può continuare a essere il luogo virtuale dell’impunità”. E quindi, è chiaro che si è pensato ai commenti che si trovano sul sito di riferimento del Movimento 5 Stelle nel momento in cui si è scritto questo ddl.

Una nuova proposta per equiparare i blog (termine generico, sarebbe meglio parlare di testate online non registrate come giornalistiche) alla carta stampata, e in cui il proprietario del sito fa le funzioni del direttore responsabile. Una proposta che segue di pochi giorni quella arrivati dai banchi di Scelta Civica. Di che si parla?
Per farla breve, il reato di omesso controllo (Sallusti ne sa qualcosa), fino a questo momento limitato alle testate giornalistiche e al loro direttore (o vicedirettore) responsabile, sarebbe esteso a tutte le testate online, prendendo in considerazione anche i commenti a piede di ogni articolo o post. Proprio questo esplicito riferimento ai commenti fa pensare al blog di Grillo, visto che più di una volta ci sono state polemiche per gli insulti - anche al Capo dello Stato - che contenevano.
Omesso controllo, dicevamo. E quindi, secondo il ddl, la responsabilità penale sarebbe a carico del gestore del sito o blog che non cancella entro 24 ore i commenti che possono “configurare la commissione di reati”. Ovviamente, soprattutto per i siti molto seguiti (com’è appunto quello di Grillo), è un lavoro praticamente impossibile, o che comunque aumenterebbe a dismisura l’impegno per chi si occupa del sito. Basti pensare che, ogni giorno, ogni singolo post che appare sul blog di Beppe Grillo ha centinaia se non migliaia di commenti.
Ma quali sono i reati che si possono compiere solo scrivendo un commento? Fondamentalmente due: diffamazione e vilipendio (quando a essere insultato è il Capo dello Stato, la bandiera, la nazione o altro). Le obiezioni a una legge del genere sono tantissime, e se anche è vero che a riguardo c’è “un vuoto normativo” non si può pensare di equiparare l’informazione su internet a un quotidiano di carta stampata; e nemmeno un blog a un giornale online.

Obiezioni alle quali Torrisi risponde così: “In rete scritti tali da configurare la commissione di reati possono essere pubblicati tanto sui normali siti internet quanto sui blog, spazi web per i quali, a differenza dei primi, non è prevista la registrazione presso il Centro nazionale ricerche di Pisa e per i quali risalire ai responsabili è ancora più difficile e, praticamente, possibile solo attraverso indagini della polizia postale”. Si può anche pensare, se proprio c’è bisogno, a una regolamentazione di quanto si scrive sul web, ma punire il titolare di un sito per quanto scritto nei commenti è concepibile solo da chi il web non lo conosce.
Leggi QUI l'articolo originale.

giovedì 4 luglio 2013

Orizzonte rosa. Voglio vivere single.

Nel 2001, ha 28 anni, ho lasciato Allan. Stavamo insieme da tre anni, e non c'era una valida ragione per finirla. Lui era, (ed è ancora), una persona eccezionale, intelligente, attraente, fedele, gentile. I miei amici rimasero sconcertati, e anche io. Sentivo semplicemente che mancasse qualcosa.
In più non ero pronta a mettere su famiglia. Il periodo che seguì fu terribile. Avevo commesso il più grave errore della mia vita ? Oggi ho 39 anni, troppi ex fidanzati alle spalle e davanti a me, almeno così mi sento dire, due opzioni entrambe deprimenti : rimanere single, oppure accontentarmi di un compagno "abbastanza giusto". A questo punto è chiaro che innamorarsi e sposarsi siano questione, più che di scelta, di fortuna. Dieci anni fa, il pensiero della fortuna non mi sfiorava neppure. Ma 10 anni fa c'erano tante altre cose che non sapevo. La decisione di porre fine a una relazione stabile per ragioni astratte anziché concrete, è in linea con una mentalità da babyboomers, per cui l'appagamento emotivo vale più di ogni altra cosa. E privilegiare l'indipendenza rispetto alla coppia è un'idea da femminismo di seconda ondata ereditata da mia madre. Sono stata la sua prima e unica recluta, quella che in terza elementare andava a scuola indossando minuscole magliette verdi o blu che sentenziavano: "una donna senza un uomo è come un pesce senza bicicletta".
All'università ho passato molti pomeriggi a discutere con le amiche i vantaggi del depilarsi le gambe, e se avremmo preso o meno il cognome del marito. Era scontato che avremmo passato il decennio tra i 20 e i 30 anni a cercare noi stesse, posticipando il matrimonio fino a quando avessimo terminato il master o il dottorato e avviato una carriera. Il fatto che ci saremmo sposate, e che ci sarebbero sempre stati uomini che avremmo voluto sposare, era un atto di fede. Come era possibile il contrario ? Uno dei motivi per cui le nostre vite differivano da quelli delle nostre mamme, era la varietà di rapporti con gli uomini. I maschi erano compagni di classe e colleghi, capi e docenti, e col tempo sarebbero diventati anche nostri allievi e dipendenti: un intero universo di potenziali amici, fidanzati, amici con cui fare sesso, e addirittura ex fidanzati divenuti amici.
Col tempo, le donne sono salite sempre più in alto, e gli uomini hanno cominciato a rimanere indietro. Siamo arrivate in cima alla scala solo per scoprirvi una stanza grande e vuota, come negli ultimi istanti di una festa, quando la maggior parte degli uomini se ne è andata, e alcuni non si sono neppure presentati ; i pochi rimasti ti lanciano sguardi libidinosi dal tavolo degli stuzzichini, oppure sono quelli che, diciamocelo, non frequenteresti mai.
Nei 90' Stephanie Coontz, docente di storia sociale alla Evergreen State College di Washington, autrice di “Marriage, a History”, notò che giornalisti e pubblico le chiedevano sempre più spesso, se l'istituzione del matrimonio stesse crollando. A suo avviso non era così, ma tutti erano convinti che fosse esistita una mitica età dell'oro matrimoniale, e vedevano l'aumento dei divorzi come una prova del declino di quel passato idilliaco. L'estate scorsa, ho telefonato alla Coontz per parlare con lei di questa rivoluzione.
"Ci troviamo senza dubbio nel mezzo di un'inversione di tendenza straordinaria", mi ha detto. "Una trasformazione importante, immensamente liberatoria e insieme spaventosa. Per quanto riguarda ciò che la gente desidera e si aspetta dal matrimonio e dalla relazione, e il modo in cui organizza la sua vita sessuale amorosa, tutte le vecchie regole sono saltate".
Tanto per cominciare posticipiamo il matrimonio. Nel 1960, l'età media in cui ci si sposava, era di 23 anni per i maschi e 20 per le femmine. Oggi è salita a 28 e 26. È in generale ci sposiamo meno, un cambiamento, questo, avvenuto negli ultimi 15 anni. Nel 1997 era sposato il 29% di chi come me apparteneva alla generazione X. Nel nuovo millennio, il dato è precipitato al 22% ; nel 1960 era il 50%.
Cosa ancor più importante, per fare figli non siamo più tenute ad avere un marito, così come non siamo tenute ad avere figli sé non ci va. Per chi desidera un figlio biologico e non ha trovato l'uomo giusto, questo è un momento molto fortunato. In una famiglia nucleare, la gravidanza non deve più necessariamente essere il fine ultimo, nonché il capolinea della vita di una donna, e infatti lo è sempre meno. Oggi il 40% dei bambini nasce da madri single. Questo non vuol dire che tutte le donne in questione lo abbiano scelto, ma il fatto che ce ne siano tante delle classi medio alte, (anche gay e lesbiche), è che anche le più anziane possano avere figli, mediante l'adozione della fecondazione artificiale - ha contribuito a ridurre lo stigma.
Se da un lato avere un figlio da single non è più motivo d'infamia, dall'altro la maternità in sé è vista sempre meno come un obbligo. Dal 1976 a oggi, la percentuale di donne over 40 senza figli e quasi raddoppiata. E io? Voglio dei figli? Non lo so. Ma, a un certo punto della vita, ho deciso che non sarebbe stata la biologia a guidare la mia vita sentimentale.
Sono consapevole che così restringo ulteriormente il mio ventaglio di possibilità? Si. Così come mi rendo perfettamente conto, che divento sempre meno attraente per i coetanei, i quali possono scegliere da un ampio parco di donne più giovani. I progressi culturali e tecnologici, che hanno formato il mio punto di vista sulla maternità, basterebbero da soli a ridefinire il nostro concetto di famiglia.
Purtroppo, però, devono fare i conti con un'altra serie di mutamenti che potremmo riassumere nella definizione : il deterioramento della condizione maschile. Qui le implicazioni si fanno straordinarie. Se in tutti i settori della società le donne sono in ascesa, questo significa che il matrimonio inteso come regime basato sullo strapotere economico del maschio, potrebbe essere destinato a sparire.
La mia grandissima amica B. avrebbe potuto sposare un giocatore di basket professionista, ma ha scelto il tizio con cui può passare la notte a parlare: un grafico che le arriva alla spalla. C., editor di successo, è una Venere con un fidanzato di 14 anni più giovane. Quando Gloria Steinem disse "stiamo diventando gli uomini che avremmo voluto sposare", dubito che si rendesse conto della sua preveggenza. Ma se l'ascesa delle donne è stata un bene per tutti, il declino dei maschi è un male. Per loro in primis, ma anche per il matrimonio. Le donne non si sono mai trovate di fronte a un bacino così ristretto di quelli che tradizionalmente vengono considerati "buoni partiti" : uomini con un'istruzione migliore e guadagni più alti dei loro. Per cui oggi le donne devono vedersela con questa nuova "scarsità". Che significa per il futuro della famiglia? Nel loro libro del 1983 “Too Many Women ? The Sex Ratio Question” due psicologi elaborarono quella che è diventata celebre come teoria Guttentag-Secord, secondo cui gli appartenenti al genere meno numeroso, sono meno dipendenti dal partner in quanto dispongono di un maggior numero di alternative. Posseggono quindi meno "potere diadico" degli appartenenti al sesso in eccesso. Le conseguenze però variano drasticamente da un sesso all'altro.
Nella società in cui gli uomini sono in maggioranza rispetto alle donne, queste ultime sono ritenute preziose, vengono trattate con deferenza e rispetto, e sfruttano il loro alto potere diadico per creare coi partner, legami improntati all'affetto e all'impegno. Nelle società a prevalenza femminile, invece, gli uomini diventano promiscui e meno disposti a impegnarsi in una relazione. Se gli uomini cominciano a sfruttare la varietà di potenziali partner disponibili, i ruoli femminili tradizionali perdono di valore, e dal momento che queste donne non possono contare sul fatto che i partners rimangano al loro fianco, un numero sempre maggiore ripiega su ambizioni extra familiari come l'istruzione e la carriera.
Nel 1988, i sociologi Scott J. South e Katherine Trent, si riproposero di testare la teoria Guttentag-Secord analizzando dati provenienti da 117 paesi. Molti aspetti della teoria furono confermati in tutti i paesi presi in esame ; a un maggior numero di uomini corrispondevano più donne sposate, meno divorzi, e meno forza lavoro femminile. Inoltre le dinamiche illustrate dalla Guttentag-Secord, apparivano più marcate nei paesi sviluppati : in altre parole gli uomini capitalisti sono dei porci. Scherzo! Anche se, avendo investigato i comportamenti dei maschi cubani americani di ceto alto, ho scoperto che si, in molti casi, se un uomo ha successo è meno interessato a impegnarsi. Come il direttore di una rivista che al nostro primo appuntamento ha dichiarato di voler "rimanere sulla piazza", almeno fino ai 40 anni. O l'accademico che alla quinta cena, ha annunciato di non volere una relazione emotiva fissa, ma che era molto interessato ad averne una fisica. E questi sono quelli sinceri.
Se conoscere persone e trovare potenziali partner costituisce un mercato, oggi dobbiamo vedercela con un "gap delle aspettative", per cui donne interessate al matrimonio si trovano sempre più spesso ad avere a che fare con cialtroni e Don Giovanni. A riprova di ciò, qui negli Usa, abbiamo un esempio nei campus universitari dove i primi 90 hanno visto la nascita della "cultura del rimorchio". Gli studenti, in preda alla vertigine della libertà, si sono gettati a capofitto in un turbinio di storie di una notte. Questo, a seconda dei punti di vista, ha fatto sì che le ragazze smettessero di vergognarsi dei loro bisogni sessuali, o le ha costrette a una promiscuità di cui non sentivano il bisogno. I ragazzi, a quanto pare, non aspettavano altro.
Secondo Robert H. Frank, economista della Cornell University, che ha trattato il tema della domanda e dell'offerta nel mercato matrimoniale, la cosa non dovrebbe stupire. Quando il numero di donne disponibili e significativamente superiore a quello degli uomini, come in molti campus, "i comportamenti del corteggiamento mutano nella direzione voluta dagli uomini". Se ci sono molte più donne che uomini, le norme sociali contrarie al sesso occasionale si affievoliscono. Certo Frank specifica che "esisteranno sempre alcuni uomini e donne particolarmente richiesti come partner. Pensiamo a Penelope Cruz e George Clooney". Ma le probabilità "che anche una donna molto desiderata si dedichi al sesso occasionale, pur avendo sufficiente potere di mercato da permetterle di sfidare la norma imperante" aumentano. Se il fenomeno interessa perfino Penelope Cruz, noi cosa dovremmo fare?
Questa tendenza sta prendendo sempre più piede, almeno nei campus universitari americani, dove il rapporto tra donne e uomini è di 57 a 43. Su questo fenomeno, nel 2010, il New York Times ha pubblicato un articolo molto discusso. "Se un maschio non ottiene ciò che vuole, può rapidamente rivolgersi alla femmina successiva. Siamo così tante ", dichiarava la studentessa di un college.
A questo punto, sarebbe forse il caso di affrontare la questione di cosa significhi davvero essere una single, visto che oggi un numero sempre maggiore di donne e uomini, da un capo all'altro dello spettro economico, trascorre da single più anni della vita adulta che in qualsiasi altro periodo storico.
Le cifre sono impressionanti. Il Census Bureau nel 2010 ha riportato che il numero di famiglie sposate ha toccato il minimo storico: 48%. Quando mi sono trasferita a New York - a proposito di stereotipi tipo Sex & The City - non cercavo un fidanzato. Cercavo la mia strada e la mia indipendenza. Una volta, mentre mio padre tentava di consolarmi perché in amore ero stata così sfortunata, sono andata su tutte le furie. Avevo conosciuto così tanti uomini interessanti, vissuto così tante esperienze. Non era una fortuna anche quella? Tutto questo per dire che una donna single, raramente viene vista per ciò che è davvero. Bella De-Paulo, psicologa sociale della University of California, è la studiosa che in America ha più riflettuto e scritto sull'esperienza dell'essere single. Nelle 2005 coniò il neologismo singlism, "singlismo", ovvero "La stigmatizzazione dei single".
Nel suo libro “Singled Out”, sostiene che le complessità della vita moderna, unite alla fragilità dell'istituzione matrimoniale, abbiano dato vita a un'esaltazione del legame di coppia senza precedenti. La "matrimoniomania" predica che l'unica via alla felicità consiste nel trovare un partner, in grado di soddisfare ogni nostro bisogno emotivo e sociale. Chi non ci riesce va compatito. Pranzando al ristorante, De-Paulo mi ha spiegato che l'ossessione culturale per la coppia, ci impedisce di vedere la rete di rapporti che ci sostiene quotidianamente nel suo complesso.
Noi siamo molto più della persona con la quale siamo, (o non siamo), sposati: siamo anche amici, nonni, colleghi, cugini……… Ignorare la profondità e la complessità di queste reti, significa limitare la pienezza della nostra esperienza emotiva. C'è addirittura chi crede che il legame di coppia, anziché rafforzare la comunità, la indebolisca : la coppia sposata, assorbita dalla sua minuscola nazione a due, finirebbe per non curarsi più di altro. Nel 2006, le sociologhe Naomi Gerstel e Natalia Sarkisian, sono giunte alla conclusione che, a differenza dei single, gli sposati dedicano meno tempo a mantenere i contatti e ad aiutare i loro amici e parenti. Le studiose li definiscono "matrimoni ingordi". Capisco come mai le coppie formino "nazioni isolate", ma perché continuiamo a valorizzarle ?
Ora che le donne sono economicamente indipendenti, e che il matrimonio si è trasformato da necessità in opzione, siamo libere di perseguire quella che il sociologo Anthony Giddens ha chiamato "relazione pura", in cui l'intimità viene ricercata in quanto tale, e non solo a scopo riproduttivo. Certo è che, in un mondo dove le donne possono costruirsi da sole la loro posizione sociale, l'idea che mediante il matrimonio, un individuo possa migliorare o peggiorare la sua condizione si dissolve, al punto che l'importanza dei criteri convenzionali come l'età e la statura, sostiene Step Coontz, negli Stati Uniti ha toccato il suo minimo storico.
Ovunque mi giri, vedo coppie che ribaltano le regole. La mia amica M., regista di successo, si è innamorata del dogsitter, un uomo di 12 anni più giovane ; sono stati insieme tre anni, e oggi sono amici. A una festa, lo scorso settembre, un uomo più giovane di 11 anni mi ha invitato a cena. Non l'ho preso sul serio eppure mi sono ritrovata su un'auto diretta a casa dei suoi per Natale.
Il mio livello di appagamento tuttavia è decisamente aumentato, da quando ho cominciato ad approfondire le amicizie con donne single come me. Si tratta di quella che mio fratello definisce la nostra "catena umana" : l'abitudine delle mie amiche di aiutarsi reciprocamente.
Sono state loro a ospitarmi mentre mi documentavano su questo articolo. Deb mi ha prestato il suo bell'appartamento a Chelsea, mentre era fuori città. Catherine mi ha sistemato nella sua casa estiva di Cape Cod. E quando Courtney ha avuto bisogno di qualcuno che le stesse accanto durante un'operazione, per quattro giorni ho scritto fra un cambio di bende e l'altro. Allora, ispirata da visioni del Barbizon Hotel, il residence newyorkese "per sole donne", ho convinto la mia amica Willamain a trasferirsi nel mio palazzo a Brooklyn. Ci conosciamo da quando avevamo cinque anni e ho pensato che sarebbe stato di conforto per entrambe. Funziona.
Quando occorre ci ritiriamo a vicenda la posta, ci prestiamo le stoviglie, ci assistiamo quando siamo malate, intavolando discussioni nei momenti più inaspettati. Insomma : tutti i vantaggi di uno studentato, ma senza i bagni sporchi.
Ciascuna con il suo spazio. Uno spazio dove due donne single possono vivere e crescere rimanendo se stesse.

Kate Bolick

martedì 2 luglio 2013

Il fanciullo che è in noi e la sindrome di Peter Pan.

Lui, Peter Pan, da protagonista di una favola per bambini, il ragazzino che non voleva crescere, oggi si è trasformato in un uomo immaturo, centrato su se stesso, incapace di assumersi delle responsabilità, ma anche ipersensibile, idealista, sognatore.
Molti uomini, e donne, rifiutano di mettersi la fede al dito, scegliendo un eccitante vita di facili avventure ; ma è solo sindrome di Peter Pan ?
Senza un'adeguata preparazione, il fanciullino scopre da solo l'amara verità e lo shock è così forte da provocare un blocco della crescita. Si innesca un meccanismo regressivo che lo porta a “riavvolgere il nastro” della sua vita, per tornare al periodo favoloso dell'infanzia, in cui tutto era perfetto.
Le cose brutte, che fanno soffrire o sono troppo complicate, vengono rimosse per dare spazio solo a ciò che dà piacere, è ottenibile senza sforzi e soddisfa i sensi. Quando, però, un evento doloroso o spiacevole gli si presenta comunque, oppure i suoi bisogni gli vengono negati, il Peter Pan reagisce con rabbia, frustrazione o rifiuto, esattamente come farebbe un bambino.
Questi individui possono anche sposarsi, avere figli e trovare un buon posto di lavoro, ma ricadranno nella loro problematica ogni qual volta la vita li costringerà ad assumersi delle responsabilità.
Come diceva Pascoli, il fanciullino che è in noi non deve mai scomparire del tutto. Nell'immaginario comune infatti, Peter Pan è un personaggio positivo : ha bontà d'animo, sensibilità e la capacità di cogliere le emozioni e il lato più autentico delle persone, tutti aspetti che oggi andrebbero rivalutati.
Alcune qualità, come la leggerezza, la capacità di sdrammatizzare, di trasformare tutto in gioco o di parlare la stessa lingua dei bambini, spiegano il talento di tante persone che lavorano con i più piccoli.
Secondo il poeta italiano, il fanciullino è la voce interiore di ciascun uomo, la parte più istintiva e “umana” della persona, quella che si pone in contatto con il mondo attraverso l'immaginazione e la sensibilità. Dare ascolto a questo lato nascosto della coscienza, consente di scoprire aspetti affascinanti e meravigliosi del mondo, che sfuggono alla ragione e al pensiero logico.
Il "Piccolo Principe", il famosissimo personaggio inventato da Antoine Saint-Exupery, vuole trasmettere lo stesso messaggio : non dimenticare mai di essere stati bambini. L'importante è che la dimensione fanciullesca sia inserita in una mentalità e in un approccio alla vita adulti, maturi e consapevoli. In Peter Pan, invece, è presente solo il bambino.
Il fanciullino rifugge quindi dalle situazioni che non riesce a gestire. Così, di fronte a una donna che vuole “redimere” la sua esuberanza e inchiodarlo alle sue responsabilità, scappa.
Dalla sindrome di Peter Pan si esce solo se la relazione riesce a passare dalla fase iniziale dell'innamoramento, in cui tutti sono disposti a rinunciare a parti di sé pur di compiacere l'altro, a quella dell'amore maturo, quando la promessa di sacrificio e impegno nei confronti dell'amato deve essere continuamente rinnovata. Il sentimento deve essere così forte per il Peter Pan, da farli superare la sua dimensione individuale per aprirsi all'altro.
E' un processo interiore su cui il partner non può influire molto. Ogni forzatura ha l'effetto opposto di incentivare il fanciullino alla fuga. Il Peter Pan infatti, non vuole essere cambiato, perchè vive bene nel suo mondo dorato, l'unico nel quale si sente veramente al sicuro, e non concepisce la possibilità di condurre un'esistenza diversa. Il fatto che questa sua presunzione provochi dolore e dispiacere agli altri, non è un problema per lui, dal momento che il suo unico interesse è la propria felicità.
L'eterno bambino non sa che il suo rifugiarsi in una dimensione infantile e troppo semplicistica della vita, non può essere di giovamento per lui. Non riesce a vedere gli effetti negativi dei suoi comportamenti su se stesso e sugli altri. Chi gli sta intorno può aiutarlo ad aprire gli occhi, ma deve essere un lavoro di squadra. Se lo scontro è individuale, infatti, (con la fidanzata di turno, la mamma o un caro amico), non sortirà alcun effetto positivo. Il Peter Pan abbandona le relazioni in cui si sente messo in discussione.
Se, però, la famiglia e il partner chiedono l'aiuto degli amici, e magari di uno psicoterapeuta, le possibilità di uscirne sono maggiori. Il passo più difficile è dare al Peter Pan una motivazione per farsi aiutare, dato che egli non riconosce di avere un problema.
Resta fondamentale il lavoro di educazione e di formazione svolto dalle famiglie di origine. Le mamme, (ma anche i papà, le maestre, i nonni), devono favorire il più possibile la crescita dei bambini, intraprendendo con loro, fin da piccoli, un processo di responsabilizzazione a tappe e poi, una volta diventati adulti, non ostacolando il loro impulso a svincolarsi dalla famiglia.
Bisogna promuovere valori come l'altruismo, il coraggio, l'indipendenza già dall'infanzia, affinchè il fanciullino trovi gratificazione nell'autonomia e nella responsabilità, trasformandosi in uomo.

R.C.