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Il primo portale dedicato all'investitore italiano in Rep. Ceca e Slovacchia

sabato 27 febbraio 2016

Orizzonte rosa. Auguri e figli maschi, anzi no, femmine.

Le persone, me compresa, spendono un sacco di tempo a lamentarsi degli aspetti più tristi e sbagliati di essere una ragazzina, una giovane donna, una donna di mezza età o un'anziana signora, in questo 21º secolo. Le cose stanno così : le spine nel fianco di noi donne sono moltissime e stiamo semplicemente tentando di liberarcene.
Tuttavia, ultimamente, mi capita spesso di chiedermi che fine fanno, in questo scenario, i maschi, giovani e meno giovani. E qualcosa mi dice che alcune di voi in questo momento stanno pensando : e chi se ne frega?
Sono i maschi a guidare il mondo. Fateci caso, nessuno fa commenti sulla loro scollatura mentre, a 13 anni, camminano per strada. Nessuno li fa sentire in pericolo un giorno sì e l'altro pure. Non sono loro a sviluppare disagi e disturbi alimentari o a fare a pezzi il proprio corpo per un ideale di perfezione estetica. Loro stanno bene.
E se, invece, non fosse così? A volte ho la sensazione che i maschi non vengano mai inclusi nella categoria di chi ha problemi. Finché un giorno, senza preavviso, un evento drammatico ci sbatte in faccia una realtà, che non avevamo nemmeno lontanamente preso in considerazione.
Quello che posso dire, è che ho incontrato dozzine di quindicenni in pieno rito di passaggio fissati con l'hard rock e i videogames, ragazzi - avete presente gli emo? - immersi in quel confortante senso di isolamento tipico dell'adolescenza. Se avete intorno a voi un teenager, saprete quanto possa essere disconnesso dalla realtà, introspettivo, introverso, un po' perso, specie mentre arranca dietro le ragazze cercando di costruirsi un'identità sociale. Non è esattamente un modello di autostima.
La mia domanda è : di loro chi si occupa? Essere il genitore di un adolescente è un lavoro incredibilmente duro, essere una madre single di un adolescente e ancora più complicato. Rimane per me un mistero il fatto che riviste e siti Web siano colmi di consigli su come rapportarsi a un neonato, (tenete il piccolo al sicuro, al caldo, all'asciutto, nutritelo e giocate con lui, dategli molti baci, punto), e poi, quando cresce, siete disperatamente alla ricerca di informazioni di supporto, il nulla.
"Sei grande", dicono gli adulti a un ragazzo adolescente. "Sei in seconda liceo ora, vero?", e niente più di questo. Solo tu, da genitore, puoi pensare che sarà anche già in seconda liceo, ma ha comunque solo 15 anni, e non posso lasciarlo continuamente in balia dei suoi dispositivi elettronici.
Ma come faccio a mettere dei confini "credibili" se lui a) si fa già la barba e b) è già una spanna più alto di me?
In realtà, con le ragazze è tutto più semplice. Per tutti quei motivi che ho elencato poco fa, abbiamo costantemente un occhio vigile su di loro. Fateci caso, se vostra figlia di 15 anni dice, "Esco, torno domani", la vostra risposta sarà qualcosa tipo : "Ehi ehi, non credo proprio, signorina". Se a dirlo, invece, è un quindicenne, voi - un istante prima che si chiuda la porta alle spalle - gli direte: "Okay, ma tiene il telefono acceso, per favore".
Sono profondamente dispiaciuta per i maschi. I ragazzi vivono on-line per ore e ore, interi fine settimana a volte. Avete idea di cosa fanno durante tutto quel tempo oltre a giocare e guardare dei porno? A quali giochi giocano? Che tipo di video porno guardano? Con chi parlano? Cosa digitano sulle loro tastiere? Cosa acquistano sui siti pirata che vendono qualsiasi cosa? A essere sinceri non ci preoccupiamo mai di scoprirlo, in fondo siamo già grati che i nostri ragazzi si trovino al sicuro sotto il nostro tetto e no strafatti a ballare sopra il tetto di qualcun altro.
"Che vuoi farci, sono adolescenti", diciamo noi adulti con un sorriso. "Dio solo sa cosa combinano lassù, ha ha!" - Si sa come sono fatti i ragazzini.
Di solito tutto si risolve nel migliore dei modi e come per magia, a un certo punto, i nostri maschi adolescenti riemergono dalle loro tane impolverate. Osservandoli, ci danno l'impressione di aver fatto un salto evolutivo dalla sera alla mattina, ci ritroviamo in cucina a parlare e ridere con loro ed è tutto ok.
Verrebbe da dire che è un processo naturale, organico, ma non è sempre così : richiede fatica, sforzo e la forza di volontà di lasciarsi trattare da bersaglio umano, per tutti gli anni di cui di fatto fai il poliziotto di casa. E riuscirci non è da tutti.


India Knight

lunedì 22 febbraio 2016

Cà Garzoni ad Adria strada fuorilegge e pericolosa.

Francesco Pantano, l'ex comandante dei Vigili Urbani di Adria, è diventato ormai collaboratore a tempo pieno del mio blog. In queste poche ma significative righe, ci da una sua probabile spiegazione sull'incidente mortale occorso a Giovanni Marcello, nel gennaio del 2016, in una strada pericolosissima e palesemente fuorilegge che è sita nel comune di Adria: via Cà Garzoni, stretta strada arginale tra un canale e un burrone.
Troppo velocemente si è catalogata la morte di Marcello come malore o colpo di sonno, ma se non fosse stato così? Se fosse stato urtato da un altro veicolo e a seguito dell'urto avesse perso il controllo? E lo stato, obbligato per legge, che cosa fa per rendere il più sicure possibili le nostre strade? Non può certo giustificare l'inadeguatezza dei suoi interventi con il solito “Non ci sono soldi”. E i soldi del bollo auto? E i soldi delle tasse? Oppure dobbiamo rassegnarci a pagare le tasse senza avere nulla in cambio? Leggiamo Francesco Pantano.

Il premier Matteo Renzi ha detto: "Chi sa di leggi violate non abbia paura e lo denunci". Cosa questa che vado facendo da trent'anni.
Il Ministro dei Lavori Pubblici Nesi nel 2000 e Zaia nel 2011: "Troppi morti per troppi incidenti, per troppi punti critici, per troppe strade inadeguate, per troppi segnali irregolari o mancanti".
Il 19 gennaio 2016, martedì, alle 18:30, in via Cà Garzoni, proprietà del Comune di Adria, muore Marcello Giovanni, 59 anni, su una Fiat Seicento uscita di strada con più ribaltamenti, clicca QUI: strada pericolosissima, un po' in trincea, un po' in rilevato.
Malore o colpo di sonno? Può essere. Ma le cause possono essere altre relativamente al tipo di strada di cui stiamo parlando:
1) manca la striscia assiale, che separi il doppio senso, facoltativa nel '59 (DPR 420 del 30/06/59), oggi obbligatoria.
2) mancano del tutto o quasi i delineatori di margine, che visualizzano l'andamento stradale, necessari vista la particolare planimetria.
3) poche le barriere di sicurezza ...
Si noti che strade e segnaletica sono cosa seria, trattata con sufficienza in ogni aspetto e a tutti i livelli. Così non si garantisce la sicurezza delle persone che deve essere la finalità primaria dello Stato e non si riducono altresì il numero e gli effetti di incidenti stradali.
E' dal'85 che scrivo di fatti analoghi purtroppo.

Francesco Pantano


Pubblico un estratto dalla direttiva a firma Ministro dei Lavori Pubblici Nerio Nesi del 24/10/2000 n.6688, (registrata a Corte dei Conti il 7/12/2000, registro n.3 LLPP foglio n.70) clicca QUI:

<< In linea di principio deve affermarsi la responsabilità dell'ente proprietario in caso di incidente e comunque è riconducibile alla proprietà se tale carenza segnaletica induce l'utente a comportamenti scorretti, che non avrebbe tenuto in presenza di idonea segnaletica. La carenza di segnali stradali comporta inevitabilmente responsabilità sia per la Pubblica Amministrazione sia per i funzionari preposti a specifico settore >>

Da leggere anche Cassazione Civile sez.III 06/04/82 n.2131:

<< Può esserci nesso di casualità tra condotta colposa omissiva o
commissiva dell'ente proprietario e danni subiti dagli utenti. Può esserci responsabilità di amministratori e dipendenti dell'ente sia di carattere penale, per lesioni, sia di natura civile; nel qual caso la responsabilità fa carico in via solidale ad ambedue i suddetti soggetti >>

A rileggerci prossimamente con altri post di Francesco Pantano.

sabato 20 febbraio 2016

Il dottor Landrum visita in macchina.

La fila nel parcheggio si estende per decine di metri e la formano soprattutto persone anziane e molte donne con bambini in braccio o a rimorchio. Sembra finire nel nulla del grande spiazzo asfaltato e arrestarsi davanti a una vecchia automobile ferma nel nulla, con un vecchio al volante e il motore spento.
La gente si avvicina al finestrino aperto e li confida i propri guai. Il vecchio ascolta, qualche volta si estrae dall'auto con fatica, perché i suoi 89 anni pesano e l'artrosi fa scricchiolare le ossa e cantare i nervi.
Se gli porgono bambini, li sdraia sul sedile posteriore ed estrae gli arnesi del mestiere. Se sono vecchi o donne, li fa sedere accanto, al posto del passeggero, chiudendo le portiere con i vetri affumicati. Per fortuna di tutti non fa mai freddo, in quell'angolo caldo di Mississipi chiamato Edwards, 1200 abitanti e un solo negozio degno di questo nome, il Dollar Store, che vende merce un dollaro.
E non ha ospedali, cliniche, ambulatori, farmaci o medici nel raggio di 100 km. Tranne uno. Lui, il vecchio contorto dell'artrosi dentro la Toyota grigia, il dottor Carroll Landrum.
A quasi novant'anni, senza soldi né voglia di riaprire lo studio dove la moglie gli aveva fatto da infermiera prima di andarsene tre anni or sono, Landrum è tutto quello che la sanità americana, la più avanzata, tecnologica, ricca e costosa del mondo possa offrire ai residenti di Edwards, Mississipi.
Più che visite, le sue sono conversazioni, consolazioni, ascolto dei pazienti. Ma quello che non ha in strumenti, limitati a uno stetoscopio e al martelletto di gomma, il dottor Landrum possiede in esperienza e conoscenza. In quel paese è nato nel 1926 e quasi tutti gli adulti li ha fatti venire al mondo lui, con l'aiuto della moglie. Conosce personalmente quasi tutte quelle persone che fanno la fila al parcheggio.
La maggior parte di loro, come sa ogni medico di famiglia, ha più ansie che malattie serie, soprattutto i bambini. Spesso basta una buona parola alle madri, un po' di sceneggiata medica, respira, spingi, ti fa male qui. Nei casi in cui i suoi 65 anni di esperienza, compresi 3 a ricucire feriti nelle isole del Pacifico in guerra, non bastino, li manda a farsi vedere da colleghi lontani e attrezzati, dei quali si fida perché sa che non considerano il paziente un cliente.
Naturalmente non si fa pagare e di assicurazioni non sa che farsene. Molti lo rimborsano in natura, con alimenti che gira alla mensa della Chiesa. Chi se lo può permettere gli da soldi, pochi o tanti, senza tariffario, necessari per acquistare medicinali che prescrive, gratis, ai pazienti.
"Loro credono che io sia una specie di missionario e che li salvi la vita, ma non sanno che sono loro a tenere me in vita", ride a fatica perché ogni risata fa risuonare qualche parte del corpo che gli duole, quelle parti del corpo che soltanto da vecchi si scopre di avere, quando cominciano a far male.
Ma il dottor Landrum potrebbe averne ancora per poco. Il Medical Board, l'organismo dello Stato che controlla l'esercizio della medicina, ha aperto una procedura per togliergli la licenza. Lo accusano di "incompetenza", una parola che significa tutto e niente, e di non ricevere i pazienti in un "corretto ambiente sanitario".
I procedimenti e le indagini del Board sono notoriamente lunghissimi e a quasi novant'anni lui sospetta che prima della commissione sarà il tempo, a togliergli la licenza. Ma se anche lo stato del Mississipi, dovesse arrivare prima della fine, non sarebbe facile eseguire la sentenza.
A Edwards ci sono, secondo lo sceriffo, più armi da fuoco che abitanti e queste sono le terre dei "ribelli" sudisti, facili al grilletto. Ha fatto sapere al governatorato che se qualcuno arrivasse per arrestare il dottor Landrum, nel caso continuasse a esercitare senza licenza, "dovrà prepararsi a un conflitto a fuoco" e "anch'io sparerei".
Lo sceriffo fu salvato dal dottor Landrum a pochi minuti dalla morte, quando cadde in uno shock anafilattico dopo aver mangiato alimenti dei quali non sapeva di essere allergico.
"Lui ha dato la vita a me e io darei volentieri la mia per lui".
Le calde notti del dottor Landrum.


Vittorio Zucconi

domenica 14 febbraio 2016

Modi di dire 24

Si dice . . . “strani compagni di letto”

Questo modo di dire viene usato per sottolineare il formarsi di strane, inedite o paradossali alleanze dovute all'imprevedibile
accadere dei casi della vita. Il motto ha origine da un passo dell'opera teatrale La Tempesta, scritta da William Shakespeare nel 1611, che recita: “La sventura costringe l'uomo a fare la conoscenza di ben strani compagni di letto”. La popolarità della frase è stata rilanciata dal grande successo della commedia hollywoodiana che portava questo titolo, uscita nel 1965, diretta da Melvin Frank e interpretata da Gina Lollobrigida e Rock Hudson.


Si dice . . . “piantare grane”

L'espressione “piantare (oppure procurare o far scoppiare) grane” significa arrecare noie, seccature o anche più semplicemente sollevare questioni fastidiose da risolvere. Alla base di questo diffuso modo di dire starebbe un'insieme di due immagini diverse. La “grana” va intesa come una particella di sabbia o altra sostanza granulosa, cioè il classico corpuscolo che, infilato in un ingranaggio, lo fa inceppare. Il verbo “piantare” deriva dal latino planta, (inteso come pianta del piede), e si riferisce al gesto dei contadini che stando chini sulle piante dei piedi conficcano le piantine nel suolo. L'immagine evoca dunque un ostacolo che col tempo può diventare più grande.


Si dice . . . “ di punto in bianco”

La locuzione si usa per indicare un'azione che si svolge senza preparazione, all'improvviso, possibilmente generando un effetto sorpresa, (“così di punto in bianco non saprei che fare”). L'origine dell'espressione va cercata nel gergo militare e, in particolare, in quello della balistica. Anticamente infatti si definiva “tiro di punto in bianco” il tiro di artiglieria senza elevazione, con la linea di mira in orizzontale, senza impostare l'apparecchio di mira con alcun numero, ossia in bianco. Troviamo questo modo di dire persino in un passo del Dialogo sopra i due massimi sistemi di Galileo Galilei. Va osservato che anche in francese esiste un'analoga espressione, (de but en blanc, de pointe en blanc), in uso in letteratura, ad esempio in un passo di A la recherche du temps perdu di Marcel Proust.


Si dice . . . “essere amico del giaguaro”

Si riferisce ad un sedicente amico la cui lealtà e fedeltà è dubbia o tutta da dimostrare. L'espressione nasce da una vecchia barzelletta che racconta di un uomo che descrive una presunta battuta di caccia al giaguaro ad un amico, il quale però lo contraddice al tal punto che l'uomo, esasperato, chiede all'altro se sia più amico suo o del giaguaro. Nell'uso comune questa frase ironica è entrata grazie al varietà-quiz tv “L'amico del giaguaro ” condotto da Corrado con Gino Bramieri, Marisa Del Frate e Raffaele Pisu trasmesso alla Rai dal 1961 al 1964. Il titolo faceva a sua volta riferimento a un film del 1958 con Walter Chiari.


Si dice . . . “essere un re Tentenna”

L'espressione “essere un re Tentenna”, o anche un “sor Tentenna”, vuol dire essere una persona sempre insicura ed esitante, dubbiosa e indecisa nelle decisioni da prendere. L'epiteto ha origine negli anni del Risorgimento. Fu Domenico Carbone, scrittore e patriota piemontese, a definire così in uno scritto satirico del 1847 Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, a causa delle sue incertezze nel concedere le riforme richieste a gran voce dai moti liberali del tempo. Lo scritto, diffuso clandestinamente, divenne popolarissimo e costò l'arresto e in seguito l'esilio al suo autore, ma pare abbia avuto un ruolo importante nell'indurre il sovrano a concedere nel 1848 lo statuto detto poi Albertino, costituzione anche dell'Italia unita fino al 1948.


Si dice . . . “carità pelosa”

Fare una “carità pelosa” indica fare elargizioni e concessioni in apparenza caritatevoli, ma in realtà per proprio tornaconto. Secondo lo scrittore dell'800 Guerrazzi, l'espressione risale ad un aneddoto storico: il capo normanno Guglielmo il Bastardo, nel 1066 chiese l'appoggio di papa Alessandro II per conquistare il trono d'Inghilterra, su cui era seduto il sassone Aroldo. Il pontefice gli inviò lo stendardo di San Pietro da esibire in battaglia, nonché alcuni peli della barba del santo. Guglielmo vinse la guerra e ricompensò il pontefice con notevoli concessioni alla chiesa oltremanica. Secondo altri storici, invece, la locuzione viene da un'espressione assai popolare nell'Ottocento, anche in letteratura: “Avere il pelo sul cuore”. Ossia essere insensibile.


Si dice . . . “i giorni della merla”

Per “giorni della merla” si intendono il 29, 30 e 31 gennaio che, secondo antiche convinzioni, sarebbero i giorni più freddi dell'anno. Non è ben chiara l'origine di questa locuzione. La tradizione la attribuisce alla leggenda secondo la quale, per ripararsi dal gelo, una merla e i suoi pulcini, al tempo della livrea bianca, si rifugiarono in un comignolo per tutti i 3 giorni uscendone tutti neri a causa della fuliggine. E tali rimasero. Ma nel '700 era diffusa la convinzione che la “merla” in questione, fosse un grosso e pesante cannone che potè essere trasportato oltre un fiume soltanto in quei giorni perché il corso d'acqua era gelato. Inoltre, il fatto che nell'antico calendario romano gennaio avesse 29 giorni e che gli altri 2 siano stati aggiunti da Giulio Cesare, da a questi giorni un valore speciale.


Si dice . . . “essere male in arnese”

L'espressione “essere male in arnese”, oggi poco usata, vuol dire essere messi male sotto vari aspetti: trovarsi per esempio in cattive condizioni economiche, di salute, psicologiche ecc. Ma in origine, con questo modo di dire, ci si riferiva soltanto al modo di abbigliarsi, ossia essere malvestiti, mal equipaggiati ecc. “Arnese” era infatti un termine un tempo usato con il significato di indumento, veste, abbigliamento. E ciò è ben testimoniato da un passo de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni che descrive l'abbigliamento di Renzo Tramaglino: <<... in arnese da viaggio, con la sua cintura nascosta sotto il farsetto, e il coltellaccio nel taschino de' calzoni ...>>


Si dice . . . “andare a Patrasso”

La locuzione “andare a Patrasso”, un tempo molto usata, vuol dire finire male, fallire, andare in rovina. Ma la città greca citata nell'espressione non c'entra niente. In realtà la frase deriva dallo stravolgimento popolare della traduzione latina di una frase della Bibbia, “ire ad patres”, ossia “andare a raggiungere gli antenati”, insomma morire. Ma perché questa deformazione è finita su Patrasso? Per la popolarità che questa città, oggi la terza per popolazione della Grecia, ha avuto dalle nostre parti. Fu infatti colonia veneziana dal 1408 al 1458, quando venne presa dai turchi. Dopo numerosi tentativi di riconquista compiuti da veneziani e genovesi, Patrasso fu poi ripresa dalla Serenissima nel 1687 e mantenuta fino al 1715.


Si dice . . . “organizzare una tavola rotonda”


Organizzare (o tenere) una tavola rotonda” significa indire una riunione o una conferenza su un preciso tema, alla quale prendono parte esperti chiamati a confrontare opinioni diverse e in cui a nessuno dei partecipanti è riservata una posizione di privilegio. L'origine di questa immagine va ricercata nella tradizione della Tavola Rotonda, (Table Ronde), istituzione fondata da Re Artù, leggendario monarca dei Bretoni di cui si narra nei poemi cavallereschi francesi, a partire dalla metà del XII secolo. Nella mitica reggia di Camelot, i nobili cavalieri di Artù si disponevano intorno a una grande tavola di forma rotonda, simbolo di assoluta uguaglianza e di impegno per ciascun partecipante ad eccellere in ogni impresa d'arme.