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domenica 27 luglio 2014

I gioielli "a corona". Il collezionismo dei tappi a corona.

Colorati, con il marchio ben in vista, personalizzati, griffati da stilisti e
designer ; da ormai decine di anni i tappi a corona non costituiscono più un semplice strumento utile a isolare le bevande dagli agenti esterni, bensì rappresentano veri e propri oggetti da collezione, capaci di catalizzare le attenzioni di migliaia di appassionati.
Il crescente interesse e la facilità di reperimento, hanno contribuito a creare un mercato che permette ai collezionisti di effettuare scambi e compravendite anche intercontinentali, per importi che in alcuni casi raggiungono le diverse centinaia di euro.
Perlopiù tuttavia la valuta ufficiale con cui vengono scambiati sono i tappi stessi. Il collezionista tedesco Bernard Rauscher lo conferma dicendo : "Mi è capitato di farmi inviare dei tappi dal Sudamerica e di retribuire il mittente - anche lui un appassionato - con uno stock di tappi tedeschi, neanche troppo rari, di cui avevo la casa piena".
L'importanza dello scambio viene confermata anche da Franco Ferretti, collezionista italiano entrato nel Guinness dei primati nel 1983 con una collezione di 45.700 tappi a corona, il quale dice : "Negli anni 70' ho iniziato a effettuare scambi con diversi collezionisti, ottenendo tappi rari provenienti anche da paesi lontani come Danimarca e Argentina".
A detta di molti il modo migliore per acquisire nuovi pezzi è quello di comprare grandi quantità di tappi - solitamente pagandoli al chilo come si usa nei mercati di quartiere - invece che acquistarne uno solo raro ; così facendo si ottiene un discreto risparmio di denaro e, cosa molto più importante, non ci si preclude la possibilità di venire sorpresi da eventuali pezzi rari mischiati con le altre centinaia di scarso valore. In alcuni casi, si riescono ad acquisire intere collezioni da altri appassionati che, stanchi di vedersi la casa subaffittata da tappi colorati, si vedono costretti a cederle.
Il tappo a corona, "crown cork" nella lingua originale, inizia il suo cammino nel mondo dell'imbottigliamento nel lontano 1892, quando l'inventore irlandese William Painter brevettò questo innovativo sistema per soppiantare il sughero, che da secoli faceva capolino dal collo della bottiglia salutando ogni avvenimento con il suo caratteristico "pop".
Nel corso degli anni anche i tappi si sono evoluti. La riduzione del diametro delle bottiglie ha reso necessario un adattamento dei tappi, che sono passati dai 24 denti di fine ottocento ai 21 attuali. Questa diminuzione aveva anche una motivazione tecnica : un numero di denti dispari conferiva maggiore rigidità, rendendo ancora più complicato per l'ossigeno insinuarsi all'interno della bottiglia e corromperne il contenuto. Questo porta i tappi a 24 denti a essere estremamente rari e ricercati dai collezionisti, che sono disposti a spendere anche cifre considerevoli pur di assicurarsene uno all'interno delle proprie bacheche.
Il valore di un tappo è fortemente influenzato dalle sue condizioni. Tappi
ammaccati, arrugginiti o con litografie scolorite, vedono decurtare il proprio valore in maniera esponenziale ; questa la ragione per cui molti collezionisti intrattengono relazioni con i principali produttori di bevande, come testimoniato da Ferretti: "La mia passione mi ha portato a cercare di ottenere tappi direttamente dalle fabbriche in cui venivano prodotti. Nel corso degli anni ho visitato fabbriche in Europa occidentale, Africa e sud America, stabilendo contatti che poi mi avrebbero permesso di ottenere tappi rari e in condizioni eccellenti".
Il valore dei tappi e prevalentemente legato al gusto personale : ad esempio un appassionato del genere potrebbe arrivare a pagare anche alcune centinaia di euro per ottenere dei tappi di bottiglie messicane degli anni 50', mentre un altro collezionista potrebbe non essere disposto a spendere neanche una decina di euro.
Interessante e anche quanto affermato da Giuseppe Della Beffa, attualmente il terzo collezionista di tappi a livello italiano, il quale conferma: "Il valore del tappo è determinato dall'interesse del collezionista ; ad esempio, se il collezionista volesse avere i tappi di tutti i paesi del mondo, verrebbe fortemente attratto da quelli provenienti da luoghi che oggigiorno non producono più nulla, come Somalia, Ceuta e Gibilterra e per questi sarebbe disposto a corrispondere cifre importanti".
Il valore economico dei tappi a corona può aggirarsi anche intorno a cifre considerevoli, sempre rimanendo nell'ordine delle centinaia di euro. Il veterano Ferretti testimonia: "Nel 2006 mi capitò di seguire delle vendite su eBay. Il prezzo che riscosse maggiore successo fu un raro tappo di Pluto, che venne acquisito da un collezionista per la cifra di 560 dollari. In Spagna, prima della crisi attuale, si è avuto un vero e proprio boom, che ha fatto lievitare il prezzo di alcuni di essi fino a cifre comprese tra i 200 e i 330 dollari".
Il collezionista prosegue: "L'esperienza mi ha portato a non acquistare mai tappi per importi superiori ai cinque dollari. Tuttavia ho avuto la possibilità di realizzare una cinquantina di vendite on-line, in cui il maggior ricavo da me conseguito si è quantificato in 46 dollari, che mi sono stati pagati in cambio di un raro tappo di San Marino".
Per quanto i gusti personali possono influenzare il valore di un tappo esistono anche dei criteri oggettivi. Per esempio, i collezionisti sono continuamente alla ricerca di serie speciali - come quelle prodotte dalle compagnie in occasione dei mondiali di calcio o delle Olimpiadi - oppure di tappi contenenti errori di stampa nella litografia o imperfezioni.
Un posto di assoluto rilievo nelle collezioni più importanti, lo ottengono i tappi a corona risalenti a più di cinquant'anni fa o addirittura quelli prodotti precedentemente al 20º secolo.
L'Italia rappresenta da molti decenni un punto di riferimento nel panorama del collezionismo dei tappi a corona ; nella classifica mondiale dei collezionisti, ( www.crowncaps.info ). Infatti, tra le prime 20 posizioni ben 7 sono ricoperte da italiani. A guidare il gruppo dei collezionisti tricolore e Roberto d'Agostino, capace di mettere assieme una collezione composta da 211.099 esemplari che, per quanto vasta, ancora non riesce a intaccare il primato del tedesco Gunter Offermann, la cui casa trabocca di ben 222.583 tappi.
Chissà se in futuro d'Agostino riuscirà mai a raggiungere e superare Offermann. Per non farsi cogliere impreparati e bene tenere una bottiglia in fresco, pronta per i festeggiamenti. Chi terrà il tappo?

Raduni mondiali
i collezionisti si incontrano anche a livello mondiale. L'evento più importante è famoso è il "Crownvention", organizzato dalla Crowncap Collectors Society International (CCSI), che si svolge a Harrisburg in Pennsylvania, una volta all'anno, ( www.bottlecapclub.org ). Si segnalano raduni di "Capsaholic" anche in Germania e nel corso degli ultimi anni, un crescente interesse è mostrato dagli spagnoli, che organizzano incontri addirittura settimanali nelle piazze di Barcellona.


martedì 22 luglio 2014

Gli antipatici : Edoardo Longo il neo-nazista, avvocato ad intermittenza.

Una in particolar modo, Edoardo Longo, sedicente avvocato con studio in Pordenone, V.le della Libertà 27 e residente a Codroipo in Via dei Frassini 1/13. Avvocato ad intermittenza poichè spesso e volentieri viene sospeso dal consiglio dell'ordine.
Mi rivolsi a lui nel 2004 su segnalazione di un pazzo, proprio perché a detta di tale pazzo, ormai ex-amico, era economico ed efficiente e, per uno come me, che i soldi non li trova sotto la foglia di cavolo, quella dell’economicità è un particolare molto importante.
Volle 300€ per iniziare la pratica e io puntualmente glieli versai, ma a fronte di questo versamento nulla vidi fare per lo svolgimento della pratica stessa. Anzi mi sentii dire che lui quella pratica non voleva proprio svolgerla, in quanto si trattava di una causa civile, e che quindi l’avrebbe passata al fratello, anch’esso avvocato, che mi sparò una parcella di oltre 1500€ come fondo spesa. Assurdo! Inoltre Edoardo Longo mi richiese altri soldi, poiché affermava di aver sostenuto della altre spese nello studio della pratica e aveva ormai eroso quei 300€ dati precedentemente.
Altro particolare degno di nota: durante uno dei nostri pochissimi incontri Edoardo Longo mi fece scivolare sotto il naso un opuscoletto bianco e nero al quanto scarno dal titolo “Ciao Europa” e mi disse testualmente: “Sa Gallimberti, io scrivo per questo giornalino e l’abbonamento cosa solo 20€”. E allora che cosa avrei dovuto fare, se non dargli altri 20€ ed abbonarmi a questo giornale, come lo chiama Longo? Cominciai a leggere questo opuscolo e mi si spalancò davanti un mondo che per me allora era quasi del tutto sconosciuto! Certo avevo già sentito parlare dei revisionisti e dei negazionisti storici, ma sempre in maniera molto superficiale e succinta; è la prova inconfutabile di dove possa arrivare la follia e la bestialità umana. Ed Edoardo Longo è un portavoce di questo mondo poiché egli afferma che l’Olocausto non è esistito, il diario di Anna Frank è un falso, così come pure le deportazioni, i campi di concentramento e lo sterminio di 6 milioni di ebrei, che egli, Edoardo Longo, considera come la cancrena dell’umanità, esseri inferiori e portatori di malattie.
Rimasi esterrefatto! Mi chiedo come siano possibili tali affermazioni! Come possano esistere tali personaggi! Negare l’esistenza dell’olocausto! Negare l’esistenza delle camera a gas! Premetto che Edoardo Longo si definisce intellettuale revisionista! Ma intellettuale di che? Ecco così aprirsi questo mondo abominevole di revisionisti e di negazionisti, personaggi che definire pazzi è troppo poco!
Voglio dire, inoltre, che il revisionismo e il negazionismo, cioè la negazione storica della Shoah sono considerati reato in tutti i paesi d’Europa; solamente in Italia non sono considerati reato perché rientrano nella liberà espressione di pensiero, ma ci rendiamo conto?! Ma in merito a queste cialtronerie ritorneremo dopo.
È chiaro che il mio punto di vista sull'Edoardo Longo avvocato cambiò radicalmente a fronte di tutto questo! Comunque, a fronte del preventivo pazzesco che il fratello del Longo, anch’egli avvocato, mi fece, telefonai al Longo chiedendo lumi su tale condotta. Per tutta risposta mi buttò giù il telefono apostrofandomi in malo modo. Al che decisi di recarmi presso lo studio di V.le della Libertà 27 a Pordenone per parlargli di persona. Non l’avessi mai fatto! Ci furono parolacce, attacchi fisici e bestemmie quando io reclamai la restituzione dei 300€ versati. Inoltre lui blaterava pensieri strampalati, dandomi del Sionista, dell’Ebreo legato al denaro. Dopo di che, calmati relativamente gli animi, disse voler andare a prendere un caffè, forse aveva bisogno di innervosirsi ancora di più! Al bar successe il resto, al che, rendendomi conto di aver a che fare con una persona fortemente disturbata, decisi di andarmene.

Avevo ormai dimenticato questo brutto episodio, considerando tra l’altro i 300€
definitivamente persi e la causa ormai non più istruibile quando un giorno del lontano 2007, a casa del mio amico Marco, in maniera del tutto casuale, digitammo il mio nome sul motore di ricerca vedendo tutto quello che c’è. Mi cadde il mondo addosso. Mai avrei pensato di aver suscitato così tanto odio e cattiveria in una mente malata, paranoica e perversa, ma d'altronde un revisionista non può essere una persona normale. Può essere solo un malato!
Inoltre l’odio e la violenza di Edoardo Longo non si manifestavano solamente col revisionismo ma anche nei confronti della Magistratura, dei giornalisti e di tutti coloro insomma che, per una maniera o per nell’altra, si erano scontrati con lui. È la tipica sindrome paranoica, basta consultare il suo sito www.edoardolongo.blogspot.com !
Da quel giorno iniziò la mia battaglia giudiziaria contro Edoardo Longo; poiché inizialmente lo stesso mi aveva denunciato accusandomi di sequestro di persona e rapina, imputazioni aberranti completamente annullate dal giudice di Pordenone e convertite nel più lieve esercizio arbitrario delle proprie ragioni, poiché in un paese come l’Italia se qualcuno ti ruba qualcosa e tu vai per farti restituire il maltolto, magari alzando la voce, ti condannano per esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Succede anche questo in Italia, paese che Edoardo Longo dice tanto di disprezzare chiamandola I-TA-L-Y-A sottomessa al giogo di Sion, ma che intanto gli consente di professare le sue farneticazioni e di renderle pubbliche sulla rete, mentre per quel che mi riguarda devo anche sentirmi condannato per esercizio arbitrario delle proprie ragioni, anche se per Longo rimangono ancora estorsione e rapina! Quei magistrati che tanto dice di disprezzare gli hanno fatto dopo tutto un favore, forse anche perché essendo dopotutto avvocato (anche se spesso e volentieri viene sospeso dall’ordine, come è successo pure l’inizio di quest’anno 2010) conosce tutti i sotterfugi e le scappatoie per raggirare quella frittata scondita che è la giustizia italiana. Ma anche per me è arrivato il momento di condire questa frittata!
Avendo denunciato a mia volta il Longo Edoardo per diffamazione e calunnia, questo è già stato condannato dal giudice di Pordenone a pagare 500€ di multa e poi dobbiamo vederci in un ulteriore sentenza il 10 giugno 2010 in cui prevedo, a meno di una rivoluzione del diritto, un’altra sonora condanna per l’intellettuale revisionista. Il vero travaglio giudiziario è stato la causa civile che ho impiantato per ottenere la cancellazione dalla rete dei contenuti ingiuriosi nei miei confronti. Per questo l’attuale magistratura non è ancora attrezzata. Numerose sentenze, persino una perizia tecnica di un Ingegnere informatico non sono bastate per ottenere la cancellazione di quell’obbrobrio che c’è su Internet, perché subentra la così detta “libertà di espressione e di pensiero”. È proprio in virtù di questa libertà che sono costretto io stesso a ricorrere alla rete per fare sentire anche la mia versione, per far valere anche le mie ragioni. A tal proposito voglio ribadire, contrariamente a quello che farnetica Edoardo Longo, che in questa vicenda la politica non c’entra assolutamente. Io non sono mai stato iscritto al movimento “Fascismo e libertà”, non conosco le persone che il Longo cita nel blog, non faccio attività politica di alcun tipo, non sono candidato in nessuna lista politica; è tutta una gigantesca e tragica bugia che scaturisce dalla mente del Longo che cerca, forse, di trovare uno strano e quanto mai strampalato pretesto per giustificare il suo odio non solo verso di me, fondamentalmente, ma verso tutti quelli che la pensano diversamente da lui.
E d'altronde come si fa non pensare che Edoardo Longo sia un mistero freudiano! In merito poi agli esseri viventi della cui compagnia si vanta il Longo, tale Ennio Carta e Fulvio Rossato, c’è da mettersi le mani nei capelli. Il Carta è un picchiatore neo-nazista implicato nelle indagini del giudice Casson di Venezia su nazismo e antisemitismo; basta digitare il nome Ennio Carta sul motore di ricerca e si vedrà tutto quello che appare. Su Fulvio Rossato poi che dire !? Persona senza arte né parte, fanatico filonazista, disoccupato, perennemente squattrinato, io stesso lo aiutai in più di qualche occasione perché mi faceva pena ed è lui che mi presentò il Longo ed ora che fa? Firma anche una dichiarazione falsa, che sicuramente gli è stata dettata dal Longo stesso, dove asserisce che avrei premeditato in sua presenza la visita nello studio di Longo inquadrandola come “spedizione punitiva”. Ma quale spedizione? Dulcis in fundo vorrei aggiungere che Rossato è stato persino ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Chioggia perché dieci anni fa cercò di accoltellare la madre! Voglio concludere parlando di Ennio Carta, anch’egli firmatario di una dichiarazione in cui asserisce di avermi visto appostato nei pressi dello studio di Longo, in V.le delle Libertà a Pordenone. Ma come faceva Ennio Carta a conoscermi, se la prima volta che mi intravide fù nel 2008 alla prima udienza civile?
Ecco, questo sarebbe il pool testimoniale di Edoardo Longo, il quale, come se non bastasse, ad ulteriore prova della sua “autorevolezza”, come dice lui, indica a teste anche il padre! Siamo veramente alla frutta! Ma si tratta di frutta amara purtroppo, anzi amarissima e mi rendo pienamente conto che chi legge solamente e non vive sulla sua pelle vicende di questo tipo possa stentare veramente a capire. Stenta a capire come possano maturare sentimenti, azioni, comportamenti del genere e soprattutto come la legge e la giustizia, alla quale noi tutti ci ispiriamo quotidianamente, possa consentire cose del genere. Perlomeno in Italia, paese che continuo ad amare e rispettare nonostante tutte le angherie che sto attraversando.
È doloroso, sapete, sentirsi accusato di sequestro di persona, di rapina, di blasfemia, di tutte le peggiori nefandezze umane, primo sapendosi innocente e secondo non avendo compiuto materialmente nulla! E a tale dolore subentra l’incapacità di potersi difendere adeguatamente, primo perché internet non è accessibile a tutti, secondo perché la legge non ti ascolta e non ti difende.
Per concludere questo passaggio, mi auguro che questo blog possa servire anche come punto di incontro per tutte quelle persone che sono disgustate dalla pratica del revisionismo e pensano che anche in Italia, come tutti i paesi civili d'altronde, tale pratica sia da rendere fuorilegge; è vero che la storia la scrivono i vincitori, ma sulla veridicità della Shoah e come minimo fuori luogo che ci siano state delle manipolazioni. Accetto anche critiche, annotazioni, accetto qualsiasi cosa, ma vorrei anche farvi sapere con queste righe che ho fatto tutto quello che la legge mi consentiva di fare; si tratta di un fatto vero, realmente accaduto ad un cittadino italiano. Un fatto che magari un giorno potrebbe capitare anche a voi! Io non ve lo augurerei nemmeno se foste i miei peggiori nemici, anche se il mio concetto di nemico è distante anni luce da quello di Edoardo Longo! Se volete disgustarvi, consultate il suo sito www.edoardolongo.blogspot.com


Prossimamente vorrei scrivere altrettanto sui simpatici, aiutatemi a farlo !






Un piccolo aggiornamento di stato su Fulvio Rossato, in arte DJ Mello, il cui nome, nell'estate del 2011, è stato anche associato alla strage di Utoya, in Norvegia, in quanto in contatto mail, (solamente?), con il criminale neo-nazista Anders Brejvik.
I pezzi riportati sono tratti dai quotidiani il “Gazzettino” nazionale e cronaca di Venezia, la “Nuova Venezia” e dal settimanale “L'Espresso” o comunque basta andare su Google e digitare – fulvio rossato utoya – oppure – fulvio rossato cavarzere -, finché il “diritto all'oblio” lo consentirà.
Anche questo mi sembra un link interessante, “Adria, Fulvio Rossato distrugge l'autovelox” :  http://www.comuni.it/servizi/forumbb/viewtopic.php?t=57963&sid=0fae5c2eec2ca1d108370a00930b261d

Fulvio Rossato in una suo foto d'autore.

Strage di Utoya annunciata a Cavarzere

12 agosto 2011 — pagina 01 sezione: Prima
CAVARZERE. Poco prima di scatenare le sue stragi, Anders Behring Breivik, il 32enne norvegese che il 22 luglio ha ucciso 76 persone tra Oslo e l’isola di Utoya, aveva spedito un’e-mail con un appello a diffondere il suo manifesto ideologico di 1.500 pagine anche a Cavarzere. E in particolare al membro del gruppo neofascista «Gioventù nazionale» Fulvio Rossato, 34 anni. Personaggio noto alle cronache giudiziarie dopo l’attentato al tribunale di Venezia, quando venne indicato quale responsabile di una serie di scritte antisemite e razziste. «L’e-mail, con un messaggio introduttivo di 82 righe in inglese, è stata inviata a un migliaio di indirizzi tra Europa e Nord America. In Italia l’hanno ricevuta almeno 117 destinatari», ha rivelarlo L’Espresso.
MION A PAGINA 28

Mail a Cavarzere dell’autore della strage di Oslo

12 agosto 2011 — pagina 28 sezione: Provincia
CAVARZERE. Poco prima di scatenare le sue stragi, Anders Behring Breivik, il 32enne norvegese che il 22 luglio ha ucciso 76 persone tra Oslo e l’isola di Utoya, aveva spedito un’e-mail con un appello a diffondere il suo manifesto ideologico di 1.500 pagine anche a Cavarzere. E in particolare al membro del gruppo neofascista Gioventù nazionale» Fulvio Rossato, 34 anni. Personaggio noto alle cronache giudiziarie dopo l’attentato al tribunale di Venezia, quando venne indicato quale responsabile di una serie di scritte antisemite e razziste. «L’e-mail, con un messaggio introduttivo di 82 righe in inglese, è stata inviata a un migliaio di indirizzi tra Europa e Nord America. In Italia l’hanno ricevuta almeno 117 destinatari», ha rivelarlo L’Espresso in un servizio che appare sull’edizione online del settimanale e sul numero oggi in edicola. «Breivik scrive di averli selezionati su Facebook tra i suoi amici o tra gli amici di un mio amico», afferma il settimanale. L’espresso pubblica l’e-mail con tutti gli indirizzi cercando inoltre di identificare gli italiani che l’hanno ricevuta. L’Espresso sottolinea che «nessuno ricorda di averlo mai conosciuto» e che «il fatto di ricevere un’e-mail da uno sconosciuto non prova nulla. Tanto meno una complicità. La gravità della strage, però, ha spinto le polizie di vari Stati, coordinate da Europol, a indagare su possibili contatti all’estero». «In Italia - scrive il settimanale - Anders mostra di avere una spiccata predilezione per Forza Nuova... Il norvegese ha inviato il suo proclama a varie sedi ufficiali del movimento neofascista, da Roma a Milano, da Massa a Cavarzere, e a un plotone di militanti e dirigenti», alcuni dei quali hanno denunciato alla magistratura l’episodio. «Nutrita - si legge ancora - anche la pattuglia di sostenitori delle altre anime dell’estremismo nero, dalla Destra di Storace a Casa Pound, dalla Fiamma Tricolore a Patria Nostra».
Fulvio Rossato è salito all’onore delle cronache quando l’allora pm Felice Casson indagando sull’attentato al Tribunale di Venezia scopre l’organizzazione di estrema destra «Gioventà Nazionale». Le indagini della Digos iniziarono dopo l’esplosione della bomba sotto il Tribunale nell’estate del 2001 e in seguito al ritrovamento in casa di uno di loro, il mestrino Nardo, di un mitragliatore con silenziatore. Erano sospettati di aver organizzato senza riuscire a portarli a termine attentati al Ghetto ebraico e alla sede statunitense delle «Wake Forest University» in Canal Grande, di aver posseduto materiale informativo utile alla costruzione di ordigni esplosivi, di aver distribuito volantini razzisti. (c.m.)

«Ho ricevuto la mail ma non so il perchè»

13 agosto 2011 — pagina 26 sezione: Provincia
CAVARZERE. «Io non c’entro nulla, non ho fatto nulla e non so nulla di quanto successo in Norvegia», è categorico al telefono Fulvio Rossato, 38 anni, l’uomo che secondo un articolo apparso sul settimanale L’Espresso ha ricevuto un’e-mail spedita, poco prima di scatenare le sue stragi, da Anders Behring Breivik, il 32enne norvegese che il 22 luglio ha ucciso 76 persone tra Oslo e l’isola di Utoya.
Nell’e-mail un appello a diffondere il suo manifesto ideologico di 1.500 pagine anche a Cavarzere. «Io con questa storia non ho nulla a che fare. Inoltre non sono legato al gruppo Gioventù Nazionale e tanto meno a Forza Nuova, mi sono avvicinato a Fiamma Tricolore», ribadisce Fulvio Rossato. Non smentisce di avere ricevuto la mail ma sottolinea, riferendosi allo stragista norvegese: «io questo non lo conosco. La storia mi sta mettendo in cattiva luce e rischia di farmi perdere il posto di lavoro».
Personaggio noto alle cronache giudiziarie dopo l’attentato al tribunale di Venezia, quando venne indicato quale responsabile di una serie di scritte antisemite e razziste Rossato ha ricevuto la mail come un altro migliaio di persone tra Europa e Nord America. In Italia l’hanno ricevuta almeno 117 destinatari». Molti di queste persone hanno già sporto denuncia all’autorità giudiziaria appena ricevuta la mail. Ed è già stato accertato che il terrorista norvegese ha inviato la missiva anche a persone che con la destra non centrano nulla. Si trovano proprio agli antipodi. Tra cui in Italia ci sono pure un’erboristeria e una lesbica dichiarata e pacifista.
Da verificare come sia riuscito a mettere assieme la mailing list usata per inviare i messaggi farneticanti. Molto probabilmente ha «smanettato» sui social network. (c.m )

Inchiesta. Un filo nero tra Oslo e l'Italia
di Paolo Biondani e Gigi Riva I retroscena della strage norvegese: dirigenti di Forza Nuova, esponenti di Fiamma Tricolore, nostalgici e neonazisti. Ma anche nomi a caso. Ecco la lista dei 117 a cui Breivik si è rivolto(11 agosto 2011)Ci sono neonazisti, neofascisti, teste rasate, razzisti, predicatori di odio contro islamici, rom ed ebrei. Ci sono politici di estrema destra, giovani ultras delle curve e integralisti religiosi che sognano nuove crociate cristiane. C'è un intero blocco di militanti e dirigenti di Forza Nuova, dalle basi regionali alla sede centrale. Ma c'è anche l'ignaro carrozziere di Sassuolo, la negoziante di scarpe monzese, la scuola elementare di Bolzano o l'esoterico allevatore di "blatte da pasto" per serpenti. Poco prima di scatenare le sue stragi, Anders Behring Breivik, 32 anni, il terrorista di destra norvegese che nel pomeriggio del 22 luglio ha ucciso 76 innocenti tra Oslo e l'isola di Utoya, aveva spedito un'e-mail con un appello a diffondere il suo manifesto ideologico: un proclama di 1.500 pagine per combattere «l'islamizzazione dell'Europa».
Il messaggio è partito dal suo computer alle 14.08. Alle 15.25 la capitale norvegese veniva squarciata dalle prime esplosioni, seguite dal massacro di decine di giovani laburisti. Nell'allegato, Breivik teorizzava «l'uso del terrorismo come mezzo per risvegliare le masse» e si aspettava di passare alla storia come «il più grande mostro dopo la seconda guerra mondiale».
L'e-mail, con un messaggio introduttivo di 82 righe in inglese, è stata inviata a un migliaio di indirizzi tra Europa e Nord America. In Italia l'hanno ricevuta almeno 117 destinatari. Breivik scrive di averli selezionati su Facebook tra i suoi «amici» o tra gli «amici di un mio amico». "L'Espresso" ha recuperato l'e-mail con tutti gli indirizzi, rimasta accessibile su un sito finlandese, e ne ha verificato l'autenticità, cercando di identificare gli italiani che l'hanno ricevuta. E di capire con che logica siano stati scelti. Nessuno ricorda di averlo mai conosciuto. Il fatto di ricevere un'e-mail da uno sconosciuto non prova nulla. Tanto meno una complicità. La gravità della strage, però, ha spinto le polizie di vari Stati, coordinate da Europol, a indagare su possibili contatti all'estero: firmandosi «comandante giustiziere dei cavalieri templari europei» e «uno dei numerosi leader del movimento di resistenza patriottica », infatti, il terrorista sostiene di aver elaborato le sue teorie «con l'assistenza di fratelli e sorelle in Inghilterra, Francia, Germania, Svezia, Austria, Italia, Spagna, Finlandia, Belgio, Olanda, Danimarca, Stati Uniti».
In Italia Anders mostra di avere una spiccata predilezione per Forza Nuova, il partito di estrema destra fondato da Roberto Fiore, l'ex cassiere di Terza Posizione, condannato per banda armata, che non ha mai scontato la pena, vivendo da latitante a Londra, dove è diventato un ricco imprenditore, fino alla prescrizione. Il norvegese ha inviato il suo proclama a varie sedi ufficiali del movimento neofascista, da Roma a Milano, da Massa a Cavarzere, e a un plotone di militanti e dirigenti.
Il vertice nazionale di Forza Nuova non ha pubblicizzato né commentato l'evento, almeno ufficialmente. Dopo la strage, solo qualche esponente locale ha denunciato alle autorità, «a titolo individuale», di aver ricevuto l'e-mail. «Ho presentato un esposto alla procura, che ha aperto un'inchiesta», conferma Massimiliano Catanzaro, l'avvocato civilista che fino a un mese fa guidava Forza Nuova a Catania: «Non ho mai conosciuto Breivik, ovviamente condanno le sue stragi, e non so come né da chi ha avuto il mio nome».
Lo stragista di Oslo sembra aver ottenuto un indirizzario di Forza Nuova : pensa che gliel' abbia passato qualche italiano? «Non lo so. Posso immaginarlo, ma non voglio interferire con le indagini». L' e-mail dell'orrore è stata spedita a molti altri esponenti di Forza Nuova, come il coordinatore per il Sud Giuseppe Bonanno Conti, la dirigente veneta Diletta Carlesso, già candidata a Vicenza, un militante anti-rom di Pavia e un fascistello di Cavarzere, che apre il suo profilo Facebook con frasi come "Dux mea lux" e "Sieg Heil".
Nutrita anche la pattuglia di sostenitori delle altre anime dell'estremismo nero, dalla Destra di Storace a CasaPound, dalla Fiamma Tricolore a Patria Nostra. L'ha ricevuta, ed è andato a segnalarlo alla Digos e alla polizia postale, anche Alberto Ferretti, 50 anni, coordinatore regionale per l'Emilia Romagna del movimento Progetto nazionale e figlio di Carlo, uno dei fondatori del Msi. Ferretti è stato collaboratore del centro culturale Lepanto, (la battaglia che vide contrapposte nel 1571 la flotta ottomana e quella della Lega Santa cristiana). Dell' e-mail dice: «L'ho trovata dopo qualche giorno, era finita nello spam. Gli inquirenti hanno già fatto la mappatura del mio computer e la magistratura di Bologna ha aperto un'indagine conoscitiva». Non conosce Breivik e «naturalmente non ne condivido le idee. Quel documento non è circolato negli ambiti della destra politica e non c'è una ratio nella scelta degli interlocutori da parte del terrorista». Però sono quasi tutti di estrema destra.
C'è persino un parlamentare belga, Tanguy Veys, di Vlaams Belang, Interesse fiammingo, formazione razzista e xenofoba. Il quale ha preso carta e penna e ha scritto una lettera all'ambasciatore norvegese per dare solidarietà e negare ogni rapporto con Breivik. Per tornare in Italia, la posta elettronica è arrivata anche a Cuneo, all'indirizzo di Giacomo Fantini, ex segretario provinciale da poco uscito da Fiamma Tricolore. Non se ne era accorto e sostiene di aver scoperto la scottante e-mail solo grazie a "l'Espresso". “Adesso, aggiunge, cercherò di capire qual è l'amico di Facebook che è il tramite col norvegese “. Nel suo profilo sul social network, le cose che «gli piacciono», appartengono tutte all'immaginario della destra estrema, da Mishima a Céline, al libro "Militia" di Léon Degrelle.
Tra gli "amici" c'è Adriano Tilgher, oltre al sito ufficiale del partito radicale serbo, ultranazionalista, il cui leader Vojislav Seselj è sotto processo all'Aja per crimini contro l'umanità. L'area balcanica è molto rappresentata nella lista di Anders. Ci sono anche miliziani emigrati in Italia che postano video ustascia.
Molte e-mail sono intestate a nomi di fantasia, come legionario_83, enigmista85, maledetto_500, che però riportano a contatti Internet di persone riconoscibili. Gli indirizzi più sospetti, tra quelli italiani (col suffisso .it), sono una quindicina: sui motori di ricerca compaiono una sola volta, soltanto nell' e-mail di Breivik, come se fossero un recapito clandestino da usare per contatti riservati. Con nome e cognome c'è Guglielmo Rinaldini, che nel suo blog si presenta come dirigente della "polizia parallela" di Gaetano Saya, vanta legami con i servizi segreti e pubblica presunti messaggi di ringraziamento attribuiti a Berlusconi e Castelli. Anche Simone Balestro, un giovane sostenitore di CasaPound, pubblica sul blog le sue foto con i leader della destra : nell'ordine, «io e Storace» e poi Buontempo, Fiore e il ministro La Russa. Nel sottobosco in cui Anders sognava di reclutare patrioti italiani, dominano i profili di appassionati di armi, arti marziali, culturismo, ma anche di skinhead veneti, ultras romani o piemontesi, metallari patiti delle band di estrema destra. I riferimenti culturali spaziano dall'esoterismo al neopaganesimo, ma i chiodi fissi sono la difesa dell'Europa cristiana e lo stop all'islam. Qualche indirizzo richiama il nome di Mussolini o il nazionalsocialismo. Mentre le cifra 14 e 88, unite o separate, alludono al fondatore del Ku Klux Klan e allo slogan Heil Hitler. Nella lista di Breivik compaiono anche i recapiti di una decina tra negozi, aziende, studi professionali. Un'impresa edile, in effetti, è gestita da un militante di Forza Nuova.
Così come un indirizzo rimanda alla palestra romana di Lucifero Pipero Panaccione, pugile romano degli anni 1920-30, ed eroe del fascismo. Ma nel passaggio agli «amici degli amici», il terrorista nordico sembra aver preso qualche cantonata. Tanto da spedire il suo proclama a un'erborista pacifista, una lesbica esplicita, un'associazione letteraria e (pochi) altri indirizzi senza alcun contatto estremista. Il più sorpreso è un carrozziere di Sassuolo, M. M.: «Ora capisco cos'era quella roba. Io non so neanche l'inglese, l'avevo buttata via». Qualche idea sul tramite con Anders? «Sono un tiratore sportivo, ma sparo solo con amici carabinieri e poliziotti. E ho un cugino di Forza Nuova. Ma non sono mica un terrorista: ho votato centrodestra, però mio nonno era partigiano».
Ora le indagini e una domanda che buona parte dei destinatari della mail, al di là delle responsabilità penali, si deve pur porre : dove finisce quell'area grigia che delimita la propaganda razzista e dove comincia quel terreno di consenso che Anders Breivik si è sentito attorno?

domenica 20 luglio 2014

Lettera di una porno-mamma ad un figlio che deve nascere.

Questo pezzo merita attenzione se non altro per l'autorevole firma e l'originalità della “lettera scritta ad un figlio che deve nascere”. Ma non ne condivido il tenore, e cioè il fatto che una donna sbagli a prescindere nella sua scelta di fare hard. E' uno strascico della catto-cultura itagliota al quale tanti intellettuali nostrani stentano a staccarsi. Fare hard non è un “mestiere” come gli altri, ma è pur sempre un modo per tirare avanti, e può essere estremamente più piacevole che non lavorare in fabbrica. Una donna che decide di farlo, lo fa consapevolmente. Basta con la questione dello sfruttamento, della necessità per denaro, della mancanza di cultura. Sono motivi che non funzionavano quarant'anni fa e oggi, 2014, benchè meno. A parte questa parentesi, la lettura è interessante.


Sdraiata sul lettino dell'ecografo, la gelatina fredda spalmata sulla lieve protuberanza della pancia, Aurora vide, e ascoltò, per la prima volta, il battito del cuore del bambino che portava dentro.
Fu in quel momento che Aurora vide scorrere su quel monitor, insieme con il nebuloso profilo del figlio, il film del proprio passato. Un film di porno hard. Perché lei, Aurora Snow, è stata una stella del cosiddetto "cinema per adulti" e le foto, le clip, i lungometraggi del suo lavoro sono disponibili ovunque, dalle stanze d'albergo ad ogni tablet o smartphone.
Nei primi anni 2000 aveva vinto premi per il porno nella categoria "Migliore sesso a tre" e "Migliore orgia", con altre sottocategorie più dettagliate che vi lascio immaginare.
È stato allora, uscendo dallo studio di radiologia in settembre, che si rese conto che quel bambino, diventato ragazzo, si sarebbe inevitabilmente imbattuto anche senza volerlo nel lavoro della sua mamma, perché nella memoria totale di Internet, tutto esisterà per sempre e nessun peccato potrà mai essere perdonato.
Decise allora di giocare d'anticipo e di scrivere a quel futuro uomo : la lettera al figlio di una pornostar. "Caro figlio, voglio che tu sappia da me, e non da amici o per caso, che cosa e chi sia stata tua madre".
"A 18 anni ero una brava studentessa all'Università della California a Irvine, ma non avevo un centesimo. Mi ero indebitata per la retta e per mantenermi, perché i tuoi nomi erano poveri. Quando vidi l'annuncio su un giornale che offriva 2000 dollari al giorno per posare nuda, corsi ai provini. Mi spaventava soltanto il timore di non essere abbastanza sexy, in mezzo a tutte quelle stupende ragazze, perché ero sempre insicura, ma piacqui".
I 2000 al giorno per foto di nudo diventarono 5000 al giorno quando accettò di fare sesso davanti a una cinepresa. Aveva 19 anni nel 2000 e nessun altra occupazione avrebbe potuto pagare cifre del genere senza saper fare nulla, se non quello che più o meno bene tutti sappiamo fare. "Mi sentivo padrona del mondo, libera, e il pensiero di avere figli e una famiglia mi faceva ridere".
Ma qualche anno dopo il premio per "Migliore attrice protagonista in un'orgia" del 2003, accadde un episodio apparentemente lontano da lei. Uno zio ebbe un gravissimo incidente in moto che lo mise fuori uso, fra ospedale e riabilitazione, per tre anni. Lo zio era vedovo, aveva due figli piccoli e in famiglia non c'era nessun altro che avesse i soldi per mantenere quei bambini. Così Aurora, la regina delle ammucchiate, la stella del porno, si scoprì a zompare dai materassi degli studios ai compiti a casa, ai gemiti artificiali ai pianti per le coliche vere, agli incontri con gli insegnanti, alle corse dal pediatra, per curarsi di due bambini.
"Scoprii allora - scrive al figlio non ancora nato - che non soltanto non mi pesava quella vita da madre di famiglia, ma che mi piaceva e mi appassionava molto di più di quello che facevo nel mio lavoro. Sentii che avrei voluto più di ogni altra cosa diventare io stessa madre, avere una famiglia, un amore mio, non da film.
Ma chi avrebbe mai voluto una donna di ormai quasi trent'anni, con più di 10 anni di porno hard alle spalle e le sequenze di lei in ogni posa e porcheria immaginabile, visibile a tutti in ogni stanza d'albergo e in ogni computer ?".
Lo trovò. Era un ragazzo di campagna, arrivato a Los Angeles per
studiare e che si era buttato nell'industria del porno non come attore, ma come assistente e uomo di fatica.
Lui le disse semplicemente: "Devi soltanto smettere. Pigia il bottone di eject, come i piloti negli aerei e io ti raccoglierò mentre cadi".
"Sarebbe troppo facile e ipocrita per me dirti adesso che ho sbagliato, ma ti dico una cosa diversa, figlio mio. Nella tua vita farai le tue scelte, come io feci le mie, ma non perderai mai il mio amore come io non persi quello di tua nonna, quando un conoscente le portò una videocassetta con un mio film. Però devi sapere che ogni scelta ha conseguenze, che le tue decisioni ti seguiranno per tutta la vita e che la strada più facile che hai davanti e spesso la più sbagliata. Ma che è possibile, se lo vuoi davvero, ricominciare. I love you".
Il bambino nascerà il prossimo dicembre.

Vittorio Zucconi

giovedì 17 luglio 2014

Modi di dire 21


Si dice . . . “ essere abbacchiato “

L'espressione è di origine romanesca ma entra nel lessico nazionale, e indica una condizione fisica o mentale per cui si è avviliti, affranti, giù di morale. Ispiratore della frase è ovviamente l'abbacchio, l'agnellino da latte da circa 6-7 chili che si macella entro il primo mese di vita. L'origine del termine sarebbe da cercare nel latino ad baculum, (vicino al bastone), per l'uso di legare l'animale a un bastone conficcato in terra per costringere la madre a rimanere nei pressi. Proprio l'infausta prospettiva che attende questi agnellini, cioè l'essere precocemente abbattuti, dà spunto alla definizione.


Si dice . . . “ canta che ti passa “

L'espressione “canta che ti passa”, non di rado formulata in chiave ironica, è un invito a superare noia, timori o preoccupazioni incombenti attraverso il canto. L'espressione pare sia stata incisa sulla parete di una trincea durante la Prima Guerra Mondiale e riportata da un soldato il cui nome è ben noto : si tratta dell'ufficiale degli alpini Piero Jahier, scrittore genovese che si arruolò volontario nel 1916. Jahier, che al fronte curava il giornale di trincea “L'Astico”, la trascrisse come epigrafe di una raccolta : “Canti del soldato” curati con lo pseudonimo di Pietro Barba e pubblicati nel 1919.


Si dice . . . “ acqua in bocca “

E' il perentorio invito a mantenere un segreto, a non lasciarsi sfuggire notizie riservate. Secondo una tradizione ripresa anche da alcuni letterati, l'origine del motto si dovrebbe alla richiesta che una donna, molto dedita alla maldicenza, ma anche devotissima, fece al proprio confessore per porre rimedio al suo peccato. Il prelato, vista l'inutilità delle penitenze, diede alla donna una boccetta d'acqua raccomandandole di tenerla sempre con sé e di metterne alcune gocce in bocca quando le veniva la tentazione di sparlare. Il precetto ebbe successo.

Si dice . . . “ avere sette vite come i gatti “

Dire “avere sette vite come i gatti”, (nella cultura anglosassone si parla di nove), indica la capacità di riprendersi da incidenti, avversità o rovesci della malasorte con rapidità sorprendente. Il paragone coi gatti deriva dalla credenza popolare di un potere soprannaturale, (nel Medioevo la si pensava creatura del diavolo), di questi felini per la loro capacità di sopravvivere a cadute anche da luoghi elevati o a urti violenti spesso senza danni. Ciò per l'agilità dei felini, l'elasticità delle ossa, i riflessi prodigiosi, la capacità di cadere sempre in piedi e di riprendersi rapidamente da ferite e traumi.


Si dice . . . “ la moneta cattiva scaccia quella buona “

Il detto “la moneta cattiva scaccia quella buona” deriva da una legge economica formulata dal banchiere inglese Thomas Gresham nel XVI secolo. In pratica essa definisce la tendenza da parte di chi opera sul mercato a disfarsi delle monete meno pregiate mettendole in circolazione, accantonando, (togliendole dunque dal mercato), invece quelle di maggior valore intrinseco. Per estensione questo detto ha assunto anche un significato morale : comportamenti e valori di alto profilo vengono prima o poi contaminati e soppiantati da altri più involuti e degradati.


Si dice . . . “ lupus in fabula “

La locuzione latina “lupus in fabula”, (il lupo nel discorso, nella narrazione), viene usata quando una persona di cui si sta parlando in quel momento compare all'improvviso, come per magia. L'espressione deriva dalle credenze degli antichi secondo le quali il lupo, (che al tempo rappresentava la malvagità, come in seguito il diavolo), aveva il potere di comparire al solo essere evocato. Le favole di Fedro, (20 a.C.-50 d.C.), derivate da quelle del favolista greco Esopo, (VI sec. a. C.), sono efficace testimonianza di quella credenza : l'apparizione del lupo, cioè del male, equivale in quelle storielle al compimento stesso del fato.


Si dice . . . “ ambasciator non porta pena “

Indica chi debba comunicare senza colpe, ad altri, cose spiacevoli. E una sorte di esorcismo verso la pessima sorte, che poteva un tempo toccare a chi recasse cattive nuove. Nel 480 a.C. ad esempio, gli spartani di Leonida, uccisero gli ambasciatori del re persiano Serse che si avvicinava con le sue truppe alle città greche. E l'abitudine continuò per secoli : nel VII secolo d.C. lo Scià di Persia trucidò ambasciatori bizantini che proponevano un trattato non gradito. Solo nel 1961 gli ambasciatori ottenerò l'immunità diplomatica, ossia una salvaguardia internazionale che li tutela completamente.


Si dice . . . “ tornare con le pive nel sacco “

Vuol dire rimanere delusi, scornati per aver fallito l'obbiettivo previsto. L'origine della frase viene fatta risalire all'antica usanza militare di suonare le trombe oppure “le pive” - che erano strumenti musicali a fiato come pifferi, flauti e cornamuse, usati anche in Italia fino alla seconda guerra mondiale – per accompagnare le marce di trionfo dopo la vittoria. In caso di sconfitta o di ritirata, invece, questi strumenti venivano messi dentro gli zaini dei soldati, i sacchi, perché l'esercito si ritirava in silenzio.


Si dice . . . “ andare in tilt “

L'espressione indica situazioni in cui una persona perde per qualche tempo lucidità mentale e capacità di ragionare per stanchezza, stress o forti emozioni. Il detto è giunto dagli Stati Uniti insieme al gioco del flipper, una sorta di biliardino elettrico che fu molto diffuso a partire dagli anni 50', specie nei bar e locali pubblici. Il gioco, attivato con una moneta, consiste nel colpire una biglia d'acciaio mirando a bersagli posti su un piano inclinato e dotati di sensore. L'abilità sta nel colpire il maggior numero di volte possibile per aumentare il punteggio. Ma se il giocatore esagera con gli scossoni per colpire più volte i bersagli, il flipper va in “tilt”, cioè si blocca e il gioco si interrompe.


Si dice . . . “ avere il sangue blu “


Significa vantare ascendenze nobili, di alto rango. L'origine della frase sta probabilmente nell'espressione spagnola sangre azul che prende piede nel tardo Medio Evo, al tempo del riconoscimento delle classi sociali come nobiltà e clero, commercianti e popolo contadino. L'immagine fa riferimento alla pelle dei nobili, diafana, diversamente da quella dei contadini che era bruciata dal sole dei campi. Una pelle così chiara lasciava intravedere le vene dei polsi e di altre parti del corpo, che hanno un apparente colorito bluastro-violaceo causato dallo spessore dell'epidermide. Da qui la credenza.

sabato 12 luglio 2014

Ode allo jogging, fantastica "via" di fuga.

L'avevo sempre considerata un'attività un po' perversa. Di quelle fatte
apposta per chi ha qualcosa da espiare, per chi deve punirsi, per chi ha dei buchi neri nell'anima e si illude di poterli seminare dandosi alla fuga, per chi, con la testa, e forse anche con il corpo, non è tanto a posto.
Avevo sempre pensato che fosse un'insana occupazione dei masochisti, per fanatici, per americani cresciuti con un'alimentazione geneticamente modificata, per androidi, che volevano far credere di essere come noi.
Probabilmente l'origine delle mie convinzioni e dei miei pregiudizi risale ad una torrida domenica di luglio del 1979, sull'isola di Ponza. Ero in vacanza con mia madre e una sua amica. "Corsa podistica non competitiva", avevamo letto su un manifesto.
"Corsa podistica" mi sembrò un'espressione bellissima. L'oscurità del suo significato era irrilevante al cospetto della musicalità di quel binomio. "Qualsiasi cosa sia, voglio partecipare", dichiarai. "Sono sei km di corsa", osservò mia madre. "Sei è un numero piccolo", replicai, senza sapere. L'amica si offrì di accompagnarmi e mi ritrovai così sulla linea di partenza, ignara dei miei limiti ma consapevole dell'estrema eleganza di una pettorina numerata.
Pronti, partenza, pum, uno sparo, via. Su e giù a perdifiato, una salita, una discesa, un tornante, un'altra salita, un altro tornante. E poi, intorno a me, tifo, voci, risate, urla, piccoli, grandi, uomini, donne, bambini, tutti eleganti quanto me, ma molto, molto più veloci, resistenti, allegri, incuranti del caldo, del fiatone, del cuore che scoppia.
Al terzo tornante, non più di cinquecento metri dal via, capii che ero fatta di una pasta friabile, che la corsa podistica nasconde, dietro un bel nome, una pura follia, che un numero stampato sul petto non fa di te un androide masochista. Mi fermai, mi strappai di dosso la stupida pettorina, la lanciai rabbiosamente sull'asfalto e lasciai che l'orda festante di alieni, ne facesse brandelli calpestandola.
Promisi a me stessa, quella domenica di luglio, che mai più mi sarei sottoposta a quella pratica sfinente e tribale, mai più avrei chiesto alla mia pasta friabile di farsi quello che non era, mai più avrei ceduto alle lusinghe di un binomio eufonico.
Mantenni la parola data fino ad un'altra domenica di luglio di 31 anni dopo, durante una vacanza negli Stati Uniti, a seguito del marito workaholic. Avevo, allora, un figlio di sette anni, uno di quattro,uno dei sei mesi e soprattutto, una vicina di casa di nome Brenda, single, ipercinetica e dotata di tricipiti d'acciaio.
"Vado a fare jogging. Perché non vieni?" "Jogging ? Vuoi dire correre ? Preferisco vivere, grazie". "Dai, su. Non vado veloce. E non corro mai oltre un'ora". "Un'ora ? No, grazie, Brenda. Io vengo da un altro continente, da un'altra cultura, un'altra alimentazione. Non credo di ...".
Vinse Brenda che mi prese per mano e mi trascinò con sé in quello che
consideravo il lato oscuro del fitness.
Da allora corro sempre, con costanza maniacale, in estate in inverno, con voluttà e passione, con la musica nelle orecchie, una ridicola coda di cavallo e un look sciatto e inguardabile perché, nella mia personale visione di questo amore tardivo, si tratta di pura sostanza e niente forma.
Corro generalmente vicino a casa, lungo un Naviglio. Incrocio papere, nutrie, se sono fortunata anche qualche ratto, e altri tizi come me, generalmente meglio vestiti e senza coda di cavallo, ma con lo stesso sguardo estatico e assente.
Perché, ho scoperto, correre dà dipendenza come il fumo, l'alcol, il cioccolato bianco e la metanfetamina. Perché regala euforia, sprazzi di onnipotenza e una certa resistenza fisica che nella vita viene sempre utile. Perché fa bene, dicono. Consente di pensare ai fatti propri, di isolarsi, di transitare dentro una bolla.
E, soprattutto, è una fantastica via di fuga, quando non basta chiudersi a chiave in bagno.



Claudia “Elasti” De Lillo

domenica 6 luglio 2014

Quella strana e pericolosa gelosia : la Sindrome di Otello.

Anche i sentimenti si ereditano, se è vero che la gelosia è, almeno in parte, scritta nei nostri geni. Secondo uno studio pubblicato su Twin Research and Human Genetics, rivista scientifica dell'Università di Cambridge e realizzato da un team di ricercatori svedesi, la Sindrome di Otello è per circa un terzo questione di ereditarietà, e ha due facce, una maschile e una femminile.
Lo studio è stato condotto su 3197 coppie di gemelli, di cui un gruppo era di monozigoti, nati cioè con un identico patrimonio genetico, e per questo spesso osservati dalla scienza per tentare di stabilire, quanto l'ambiente influisca sullo sviluppo del comportamento di una persona e quanto si è invece determinato per via genetica.
I ricercatori hanno chiesto ai gemelli quanto si sentissero disturbati, in una scala da 1 a 10, dall'idea che il proprio partner avesse avuto una scappatella di una sola notte, oppure si fosse invaghito di un'altra persona.
Risultato : gli uomini più delle donne erano infastiditi dall'idea che il
proprio partner avesse fatto sesso con un'altra persona, anche solo per una volta. "Lo studio evidenzia che gli uomini provano un maggior grado di gelosia sessuale rispetto alle donne", sottolinea Hasse Walum, ricercatore dell'Università medica Karolinska Institutet e primo firmatario dello studio, in cui sono state fornite anche le stime del grado di ereditàbilità dei due tipi di gelosia : "Si deve ai geni il 32% dei fattori relativi alla gelosia di tipo sessuale, mentre per quella sentimentale i geni influiscono per un 26%", spiega Walum.
Supponendo che i condizionamenti familiari abbiano agito in modo simile in tutti i gruppi di gemelli, una maggiore concordanza di risposte nel gruppo degli omozigoti, è stata considerata come un effetto dei geni.
Il risultato dello studio sembra confermare l'interpretazione evoluzionista, secondo cui la gelosia ha aspetti "sessuati", perché negli uomini agirebbe la volontà di assicurarsi la trasmissione dei propri geni, mentre sulle donne, non tormentate dalla stessa incertezza riproduttiva, (Mater semper certa, dicevano i latini), peserebbe di più l'intenzione di garantire per il futuro cure e risorse per la prole.
Certo l'ambiente, inteso come contesto socio-culturale, è comunque il principale "veicolo di diffusione" della gelosia, che però sembra avere anche solide basi biologiche, se si pensa che in alcune patologie come morbo di Parkinson e schizofrenia, sono comuni forti manifestazioni di gelosia. Che si origina in una specifica area del cervello, secondo una ricerca dell'Università di Pisa : "Principale indiziato per la generazione delle forme più acute di gelosia, è uno squilibrio dei circuiti di serotonina e dopamina nella corteccia pre-frontale", spiega Liliana Dell'Osso, direttore della clinica psichiatrica dell'Università di Pisa e coautrice dello studio.
"Ma i geni non sono il destino", specifica la docente, "avere nel proprio DNA determinati geni, non significa che automaticamente si svilupperà una patologia, tanto meno un determinato comportamento. La componente genetica viene innescata da fattori scatenanti, che possono essere dei più vari, tant'è che per analogia al concetto di genoma, (l'intero patrimonio genetico), si parla di "esposoma", per indicare l'insieme dei condizionamenti ambientali a cui si è esposti nel corso della vita, dallo stress lavorativo familiare alla risposta immunitaria, dall'uso di alcol e droghe alle sostanze chimiche con cui si entra in contatto attraverso aria, acqua, alimentazione, fumo, droghe, farmaci eccetera".
Ma è anche un fatto di misure : "Una dose minima di gelosia è considerata fisiologica e un po' afrodisiaca", sostiene Roberto Bernorio, sessuologo dell'associazione Aispa. "Ma attenzione a non cadere nella sindrome di Sherlok Holmes", avverte lo specialista, "oggi la tecnologia da un'inedita capacità di controllo : possiamo vedere la cronologia dei siti visitati, sbirciare la posta del partner o i suoi SMS, gli scambi di battute su una chat. Tutto ciò può indurre o amplificare un circuito di pensiero ossessivo", osserva Bernorio.
Quando però si supera il limite di una condizione considerata normale "si riscontra una caratteristica : l'incoercibilità, cioè l'impossibilità di convincere, nonostante le evidenze, che la percezione di essere traditi è infondata".


Gina Pavone