Colorati,
con il marchio ben in vista, personalizzati, griffati da stilisti e
designer ; da ormai decine di anni i tappi a corona non costituiscono
più un semplice strumento utile a isolare le bevande dagli agenti
esterni, bensì rappresentano veri e propri oggetti da collezione,
capaci di catalizzare le attenzioni di migliaia di appassionati.
Il
crescente interesse e la facilità di reperimento, hanno contribuito
a creare un mercato che permette ai collezionisti di effettuare
scambi e compravendite anche intercontinentali, per importi che in
alcuni casi raggiungono le diverse centinaia di euro.
Perlopiù
tuttavia la valuta ufficiale con cui vengono scambiati sono i tappi
stessi. Il collezionista tedesco Bernard Rauscher lo conferma dicendo
: "Mi è capitato di farmi inviare dei tappi dal Sudamerica e di
retribuire il mittente - anche lui un appassionato - con uno stock di
tappi tedeschi, neanche troppo rari, di cui avevo la casa piena".
L'importanza
dello scambio viene confermata anche da Franco Ferretti,
collezionista italiano entrato nel Guinness dei primati nel 1983 con
una collezione di 45.700 tappi a corona, il quale dice : "Negli
anni 70' ho iniziato a effettuare scambi con diversi collezionisti,
ottenendo tappi rari provenienti anche da paesi lontani come
Danimarca e Argentina".
A
detta di molti il modo migliore per acquisire nuovi pezzi è quello
di comprare grandi quantità di tappi - solitamente pagandoli al
chilo come si usa nei mercati di quartiere - invece che acquistarne
uno solo raro ; così facendo si ottiene un discreto risparmio di
denaro e, cosa molto più importante, non ci si preclude la
possibilità di venire sorpresi da eventuali pezzi rari mischiati con
le altre centinaia di scarso valore. In alcuni casi, si riescono ad
acquisire intere collezioni da altri appassionati che, stanchi di
vedersi la casa subaffittata da tappi colorati, si vedono costretti a
cederle.
Il
tappo a corona, "crown cork" nella lingua originale, inizia
il suo cammino nel mondo dell'imbottigliamento nel lontano 1892,
quando l'inventore irlandese William Painter brevettò questo
innovativo sistema per soppiantare il sughero, che da secoli faceva
capolino dal collo della bottiglia salutando ogni avvenimento con il
suo caratteristico "pop".
Nel
corso degli anni anche i tappi si sono evoluti. La riduzione del
diametro delle bottiglie ha reso necessario un adattamento dei tappi,
che sono passati dai 24 denti di fine ottocento ai 21 attuali. Questa
diminuzione aveva anche una motivazione tecnica : un numero di denti
dispari conferiva maggiore rigidità, rendendo ancora più complicato
per l'ossigeno insinuarsi all'interno della bottiglia e corromperne
il contenuto. Questo porta i tappi a 24 denti a essere estremamente
rari e ricercati dai collezionisti, che sono disposti a spendere
anche cifre considerevoli pur di assicurarsene uno all'interno delle
proprie bacheche.
Il
valore di un tappo è fortemente influenzato dalle sue condizioni.
Tappi
ammaccati, arrugginiti o con litografie scolorite, vedono
decurtare il proprio valore in maniera esponenziale ; questa la
ragione per cui molti collezionisti intrattengono relazioni con i
principali produttori di bevande, come testimoniato da Ferretti: "La
mia passione mi ha portato a cercare di ottenere tappi direttamente
dalle fabbriche in cui venivano prodotti. Nel corso degli anni ho
visitato fabbriche in Europa occidentale, Africa e sud America,
stabilendo contatti che poi mi avrebbero permesso di ottenere tappi
rari e in condizioni eccellenti".
Il
valore dei tappi e prevalentemente legato al gusto personale : ad
esempio un appassionato del genere potrebbe arrivare a pagare anche
alcune centinaia di euro per ottenere dei tappi di bottiglie
messicane degli anni 50', mentre un altro collezionista potrebbe non
essere disposto a spendere neanche una decina di euro.
Interessante
e anche quanto affermato da Giuseppe Della Beffa, attualmente il
terzo collezionista di tappi a livello italiano, il quale conferma:
"Il valore del tappo è determinato dall'interesse del
collezionista ; ad esempio, se il collezionista volesse avere i tappi
di tutti i paesi del mondo, verrebbe fortemente attratto da quelli
provenienti da luoghi che oggigiorno non producono più nulla, come
Somalia, Ceuta e Gibilterra e per questi sarebbe disposto a
corrispondere cifre importanti".
Il
valore economico dei tappi a corona può aggirarsi anche intorno a
cifre considerevoli, sempre rimanendo nell'ordine delle centinaia di
euro. Il veterano Ferretti testimonia: "Nel 2006 mi capitò di
seguire delle vendite su eBay. Il prezzo che riscosse maggiore
successo fu un raro tappo di Pluto, che venne acquisito da un
collezionista per la cifra di 560 dollari. In Spagna, prima della
crisi attuale, si è avuto un vero e proprio boom, che ha fatto
lievitare il prezzo di alcuni di essi fino a cifre comprese tra i 200
e i 330 dollari".
Il
collezionista prosegue: "L'esperienza mi ha portato a non
acquistare mai tappi per importi superiori ai cinque dollari.
Tuttavia ho avuto la possibilità di realizzare una cinquantina di
vendite on-line, in cui il maggior ricavo da me conseguito si è
quantificato in 46 dollari, che mi sono stati pagati in cambio di un
raro tappo di San Marino".
Per
quanto i gusti personali possono influenzare il valore di un tappo
esistono anche dei criteri oggettivi. Per esempio, i collezionisti
sono continuamente alla ricerca di serie speciali - come quelle
prodotte dalle compagnie in occasione dei mondiali di calcio o delle
Olimpiadi - oppure di tappi contenenti errori di stampa nella
litografia o imperfezioni.
Un
posto di assoluto rilievo nelle collezioni più importanti, lo
ottengono i tappi a corona risalenti a più di cinquant'anni fa o
addirittura quelli prodotti precedentemente al 20º secolo.
L'Italia
rappresenta da molti decenni un punto di riferimento nel panorama del
collezionismo dei tappi a corona ; nella classifica mondiale dei
collezionisti, ( www.crowncaps.info ). Infatti, tra le prime 20 posizioni ben 7 sono ricoperte da
italiani. A guidare il gruppo dei collezionisti tricolore e Roberto
d'Agostino, capace di mettere assieme una collezione composta da
211.099 esemplari che, per quanto vasta, ancora non riesce a
intaccare il primato del tedesco Gunter Offermann, la cui casa
trabocca di ben 222.583 tappi.
Chissà
se in futuro d'Agostino riuscirà mai a raggiungere e superare
Offermann. Per non farsi cogliere impreparati e bene tenere una
bottiglia in fresco, pronta per i festeggiamenti. Chi terrà il
tappo?
Raduni
mondiali
i
collezionisti si incontrano anche a livello mondiale. L'evento più
importante è famoso è il "Crownvention", organizzato
dalla Crowncap Collectors Society International (CCSI), che si svolge
a Harrisburg in Pennsylvania, una volta all'anno, (
www.bottlecapclub.org ). Si segnalano raduni di "Capsaholic" anche in Germania e
nel corso degli ultimi anni, un crescente interesse è mostrato dagli
spagnoli, che organizzano incontri addirittura settimanali nelle
piazze di Barcellona.
Una
in particolar modo, Edoardo Longo, sedicente avvocato con studio in
Pordenone, V.le della Libertà 27 e residente a Codroipo in Via dei
Frassini 1/13. Avvocato ad intermittenza poichè spesso e volentieri viene sospeso dal consiglio dell'ordine.
Mi
rivolsi a lui nel 2004 su segnalazione di un pazzo, proprio perché a
detta di tale pazzo, ormai ex-amico, era economico ed efficiente e,
per uno come me, che i soldi non li trova sotto la foglia di cavolo,
quella dell’economicità è un particolare molto importante.
Volle
300€ per iniziare la pratica e io puntualmente glieli versai, ma a
fronte di questo versamento nulla vidi fare per lo svolgimento della
pratica stessa. Anzi mi sentii dire che lui quella pratica non voleva
proprio svolgerla, in quanto si trattava di una causa civile, e che
quindi l’avrebbe passata al fratello, anch’esso avvocato, che mi
sparò una parcella di oltre 1500€ come fondo spesa. Assurdo!
Inoltre Edoardo Longo mi richiese altri soldi, poiché affermava di
aver sostenuto della altre spese nello studio della pratica e aveva
ormai eroso quei 300€ dati precedentemente.
Altro
particolare degno di nota: durante uno dei nostri pochissimi incontri
Edoardo Longo mi fece scivolare sotto il naso un opuscoletto bianco e
nero al quanto scarno dal titolo “Ciao Europa” e mi disse
testualmente: “Sa Gallimberti, io scrivo
per questo giornalino e l’abbonamento cosa solo 20€”. E allora
che cosa avrei dovuto fare, se non dargli altri 20€ ed abbonarmi a
questo giornale, come lo chiama Longo? Cominciai a leggere questo
opuscolo e mi
si spalancò davanti un mondo che per me allora era quasi del tutto
sconosciuto! Certo avevo già sentito parlare dei revisionisti e dei
negazionisti storici, ma sempre in maniera molto superficiale e
succinta; è la prova inconfutabile di dove possa arrivare la follia
e la bestialità umana. Ed Edoardo Longo è un portavoce di questo
mondo poiché egli afferma che l’Olocausto non è esistito, il
diario di Anna Frank è un falso, così come pure le deportazioni, i
campi di concentramento e lo sterminio di 6 milioni di ebrei, che
egli, Edoardo
Longo, considera come la cancrena dell’umanità, esseri inferiori e
portatori di malattie.
Rimasi
esterrefatto! Mi chiedo come siano possibili tali affermazioni! Come
possano esistere tali personaggi! Negare l’esistenza
dell’olocausto! Negare l’esistenza delle camera a gas! Premetto
che Edoardo Longo si definisce intellettuale revisionista! Ma
intellettuale di che? Ecco così aprirsi questo mondo abominevole di
revisionisti e di negazionisti, personaggi che definire pazzi è
troppo poco!
Voglio
dire, inoltre, che il revisionismo e il negazionismo, cioè la
negazione storica della Shoah sono considerati
reato in tutti i paesi d’Europa; solamente in Italia non sono
considerati reato perché rientrano nella liberà espressione di
pensiero, ma ci rendiamo conto?! Ma in merito a queste cialtronerie
ritorneremo
dopo.
È
chiaro che il mio punto di vista sull'Edoardo Longo avvocato cambiò
radicalmente a fronte di tutto questo! Comunque, a fronte del
preventivo pazzesco che il fratello del Longo, anch’egli avvocato,
mi fece, telefonai al Longo chiedendo lumi su tale condotta. Per
tutta risposta mi buttò giù il telefono apostrofandomi in malo
modo. Al che decisi di recarmi presso lo studio di V.le della
Libertà 27 a Pordenone per parlargli di persona. Non l’avessi mai
fatto! Ci furono parolacce, attacchi fisici e bestemmie quando io
reclamai la restituzione dei 300€ versati. Inoltre lui blaterava
pensieri strampalati, dandomi del Sionista, dell’Ebreo legato al
denaro. Dopo di che, calmati relativamente gli animi, disse voler
andare a prendere un caffè, forse aveva bisogno di innervosirsi
ancora di più! Al bar successe il resto, al che, rendendomi conto di
aver a che fare con una persona fortemente disturbata, decisi di
andarmene.
Avevo
ormai dimenticato questo brutto episodio, considerando tra l’altro
i 300€
definitivamente persi e la causa ormai non più istruibile
quando un giorno del lontano 2007, a casa del mio
amico Marco, in maniera del tutto casuale, digitammo il mio nome sul
motore di ricerca vedendo tutto quello che c’è. Mi cadde il mondo
addosso. Mai avrei pensato di aver suscitato così tanto odio e
cattiveria in una mente malata, paranoica e perversa, ma d'altronde
un revisionista non può essere una persona normale. Può essere solo
un malato!
Inoltre
l’odio e la violenza di Edoardo Longo non si manifestavano
solamente col revisionismo ma anche nei confronti della Magistratura,
dei giornalisti e di tutti coloro insomma che, per una maniera o per
nell’altra, si erano scontrati con lui. È la tipica sindrome
paranoica, basta consultare il suo sito www.edoardolongo.blogspot.com
!
Da
quel giorno iniziò la mia battaglia giudiziaria contro
Edoardo Longo; poiché inizialmente lo stesso mi aveva denunciato
accusandomi di sequestro di persona e rapina, imputazioni aberranti
completamente annullate dal giudice di Pordenone e convertite nel più
lieve esercizio arbitrario delle proprie ragioni, poiché in un paese
come l’Italia se qualcuno ti ruba qualcosa e tu vai per farti
restituire il maltolto, magari alzando la voce, ti condannano per
esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Succede anche questo in
Italia, paese che Edoardo Longo dice tanto di disprezzare chiamandola
I-TA-L-Y-A sottomessa al giogo di Sion, ma che intanto gli consente
di professare le sue farneticazioni e di renderle pubbliche sulla
rete, mentre per quel che mi riguarda devo anche sentirmi condannato
per esercizio arbitrario delle proprie ragioni, anche se per Longo
rimangono ancora estorsione e rapina! Quei magistrati che tanto dice
di disprezzare gli hanno fatto dopo tutto un favore, forse anche
perché essendo dopotutto avvocato (anche se spesso e volentieri
viene sospeso dall’ordine, come è successo pure l’inizio di
quest’anno 2010) conosce tutti i sotterfugi e le scappatoie per
raggirare quella frittata scondita che
è la giustizia italiana. Ma anche per me è arrivato il momento di
condire questa frittata!
Avendo
denunciato a mia volta il Longo Edoardo per diffamazione e calunnia,
questo è già stato condannato
dal giudice di Pordenone a pagare 500€ di multa e poi dobbiamo
vederci in un ulteriore sentenza il 10 giugno 2010 in cui prevedo, a
meno di una rivoluzione del diritto, un’altra sonora condanna per
l’intellettuale revisionista. Il vero travaglio giudiziario è
stato la causa civile che ho impiantato per ottenere la cancellazione
dalla rete dei contenuti ingiuriosi nei miei confronti. Per questo
l’attuale magistratura non è ancora attrezzata. Numerose sentenze,
persino una perizia tecnica di un Ingegnere informatico non sono
bastate per ottenere la cancellazione di quell’obbrobrio che c’è
su Internet, perché subentra la così detta “libertà di
espressione e di pensiero”. È proprio in virtù di questa libertà
che sono costretto
io stesso a ricorrere alla rete per fare sentire anche la mia
versione, per far valere anche le mie ragioni. A tal proposito voglio
ribadire, contrariamente a quello che farnetica Edoardo Longo, che in
questa vicenda la politica non c’entra assolutamente. Io non sono
mai stato iscritto al movimento “Fascismo e libertà”, non
conosco le persone che il Longo cita nel blog, non faccio attività
politica di alcun tipo, non sono candidato in nessuna lista politica;
è tutta una gigantesca e tragica bugia che
scaturisce dalla mente del Longo che cerca, forse, di trovare uno
strano e quanto mai strampalato pretesto per
giustificare il suo odio non solo verso di me, fondamentalmente, ma
verso
tutti quelli che la pensano diversamente da lui.
E
d'altronde come si fa non pensare che Edoardo Longo sia un mistero
freudiano! In merito poi agli esseri viventi della cui compagnia si
vanta il Longo,
tale Ennio Carta e Fulvio Rossato, c’è da mettersi le mani nei
capelli. Il Carta è un picchiatore neo-nazista implicato nelle
indagini del giudice Casson di Venezia su nazismo e antisemitismo;
basta digitare il nome Ennio Carta sul motore di ricerca e si vedrà
tutto quello che appare. Su Fulvio Rossato poi che dire !? Persona
senza arte né
parte, fanatico filonazista, disoccupato, perennemente squattrinato,
io stesso lo aiutai in più di qualche occasione perché mi faceva
pena ed è lui che mi presentò il Longo ed ora che fa? Firma anche
una dichiarazione falsa,
che sicuramente
gli è stata dettata dal Longo stesso, dove asserisce che avrei
premeditato in sua presenza la visita nello studio di Longo
inquadrandola come “spedizione punitiva”. Ma quale spedizione?
Dulcis
in fundo vorrei
aggiungere che Rossato è stato persino ricoverato in TSO,
trattamento sanitario obbligatorio, nel reparto di psichiatria
dell’ospedale di Chioggia perché dieci anni fa cercò di
accoltellare la madre! Voglio
concludere parlando di Ennio Carta, anch’egli firmatario di una
dichiarazione in cui asserisce di avermi visto appostato nei pressi
dello studio di Longo, in V.le delle Libertà a Pordenone. Ma come
faceva Ennio Carta a conoscermi, se la prima volta che mi intravide
fù nel 2008 alla prima udienza civile?
Ecco,
questo sarebbe il pool testimoniale di Edoardo Longo, il quale, come
se non bastasse, ad ulteriore prova della
sua “autorevolezza”, come dice lui, indica a teste anche il
padre! Siamo veramente alla frutta! Ma si tratta di frutta amara
purtroppo,
anzi amarissima e mi rendo pienamente conto che chi legge solamente e
non vive sulla sua pelle vicende di questo tipo possa stentare
veramente a capire. Stenta a capire come possano maturare sentimenti,
azioni, comportamenti del genere e soprattutto come la legge e la
giustizia, alla quale noi tutti ci ispiriamo quotidianamente, possa
consentire cose del genere. Perlomeno in Italia, paese che continuo
ad amare e rispettare nonostante tutte le angherie che sto
attraversando.
È
doloroso, sapete, sentirsi accusato di sequestro di persona, di
rapina, di blasfemia, di tutte le peggiori nefandezze umane, primo
sapendosi innocente e secondo non avendo compiuto materialmente
nulla! E a tale dolore subentra l’incapacità di potersi difendere
adeguatamente, primo perché internet non è accessibile a tutti,
secondo perché la legge non ti ascolta e non ti difende.
Per
concludere questo passaggio, mi auguro che questo blog possa servire
anche come punto di incontro per tutte quelle persone che sono
disgustate dalla pratica del revisionismo e pensano che anche in
Italia, come tutti i paesi civili d'altronde, tale pratica sia da
rendere fuorilegge; è vero che la storia la scrivono i vincitori, ma
sulla veridicità della Shoah e
come minimo fuori luogo che ci siano state delle manipolazioni.
Accetto
anche critiche, annotazioni, accetto qualsiasi cosa, ma vorrei anche
farvi sapere con queste righe che ho fatto tutto quello che la legge
mi consentiva di fare; si tratta di un fatto vero, realmente accaduto
ad un cittadino italiano. Un fatto che magari un
giorno potrebbe capitare anche a voi! Io non ve lo augurerei nemmeno
se foste i miei peggiori nemici, anche se il mio concetto di nemico è
distante anni luce da quello di Edoardo Longo! Se
volete disgustarvi, consultate il suo sito www.edoardolongo.blogspot.com
Prossimamente
vorrei scrivere altrettanto sui
simpatici, aiutatemi
a farlo !
Un
piccolo aggiornamento di stato su Fulvio Rossato, in arte DJ Mello,
il cui nome, nell'estate del 2011, è stato anche associato alla
strage di Utoya, in Norvegia, in quanto in contatto mail,
(solamente?), con il criminale neo-nazista Anders Brejvik.
I
pezzi riportati sono tratti dai quotidiani il “Gazzettino”
nazionale e cronaca di Venezia, la “Nuova Venezia” e dal
settimanale “L'Espresso” o comunque basta andare su Google e
digitare – fulvio rossato utoya – oppure – fulvio rossato
cavarzere -, finché il “diritto all'oblio” lo consentirà.
CAVARZERE. Poco
prima di scatenare le sue stragi, Anders Behring Breivik, il 32enne
norvegese che il 22 luglio ha ucciso 76 persone tra Oslo e l’isola
di Utoya, aveva spedito un’e-mail con un appello a diffondere il
suo manifesto ideologico di 1.500 pagine anche a Cavarzere. E in
particolare al membro del gruppo neofascista «Gioventù nazionale»
Fulvio Rossato, 34 anni. Personaggio noto alle cronache giudiziarie
dopo l’attentato al tribunale di Venezia, quando venne indicato
quale responsabile di una serie di scritte antisemite e razziste.
«L’e-mail, con un messaggio introduttivo di 82 righe in inglese, è
stata inviata a un migliaio di indirizzi tra Europa e Nord America.
In Italia l’hanno ricevuta almeno 117 destinatari», ha rivelarlo
L’Espresso. MION A PAGINA 28
Mail a Cavarzere dell’autore della strage di
Oslo
12 agosto 2011 — pagina 28 sezione: Provincia
CAVARZERE. Poco
prima di scatenare le sue stragi, Anders Behring Breivik, il 32enne
norvegese che il 22 luglio ha ucciso 76 persone tra Oslo e l’isola
di Utoya, aveva spedito un’e-mail con un appello a diffondere il
suo manifesto ideologico di 1.500 pagine anche a Cavarzere. E in
particolare al membro del gruppo neofascista Gioventù nazionale»
Fulvio Rossato, 34 anni. Personaggio noto alle cronache giudiziarie
dopo l’attentato al tribunale di Venezia, quando venne indicato
quale responsabile di una serie di scritte antisemite e razziste.
«L’e-mail, con un messaggio introduttivo di 82 righe in inglese, è
stata inviata a un migliaio di indirizzi tra Europa e Nord America.
In Italia l’hanno ricevuta almeno 117 destinatari», ha rivelarlo
L’Espresso in un servizio che appare sull’edizione online del
settimanale e sul numero oggi in edicola. «Breivik scrive di averli
selezionati su Facebook tra i suoi amici o tra gli amici di un mio
amico», afferma il settimanale. L’espresso pubblica l’e-mail con
tutti gli indirizzi cercando inoltre di identificare gli italiani che
l’hanno ricevuta. L’Espresso sottolinea che «nessuno ricorda di
averlo mai conosciuto» e che «il fatto di ricevere un’e-mail da
uno sconosciuto non prova nulla. Tanto meno una complicità. La
gravità della strage, però, ha spinto le polizie di vari Stati,
coordinate da Europol, a indagare su possibili contatti all’estero».
«In Italia - scrive il settimanale - Anders mostra di avere una
spiccata predilezione per Forza Nuova... Il norvegese ha inviato il
suo proclama a varie sedi ufficiali del movimento neofascista, da
Roma a Milano, da Massa a Cavarzere, e a un plotone di militanti e
dirigenti», alcuni dei quali hanno denunciato alla magistratura
l’episodio. «Nutrita - si legge ancora - anche la pattuglia di
sostenitori delle altre anime dell’estremismo nero, dalla Destra di
Storace a Casa Pound, dalla Fiamma Tricolore a Patria Nostra».
Fulvio
Rossato è salito all’onore delle cronache quando l’allora pm
Felice Casson indagando sull’attentato al Tribunale di Venezia
scopre l’organizzazione di estrema destra «Gioventà Nazionale».
Le indagini della Digos iniziarono dopo l’esplosione della bomba
sotto il Tribunale nell’estate del 2001 e in seguito al
ritrovamento in casa di uno di loro, il mestrino Nardo, di un
mitragliatore con silenziatore. Erano sospettati di aver organizzato
senza riuscire a portarli a termine attentati al Ghetto ebraico e
alla sede statunitense delle «Wake Forest University» in Canal
Grande, di aver posseduto materiale informativo utile alla
costruzione di ordigni esplosivi, di aver distribuito volantini
razzisti. (c.m.)
«Ho ricevuto la mail ma non so il perchè»
13 agosto 2011 — pagina 26 sezione: Provincia
CAVARZERE. «Io
non c’entro nulla, non ho fatto nulla e non so nulla di quanto
successo in Norvegia», è categorico al telefono Fulvio Rossato, 38
anni, l’uomo che secondo un articolo apparso sul settimanale
L’Espresso ha ricevuto un’e-mail spedita, poco prima di scatenare
le sue stragi, da Anders Behring Breivik, il 32enne norvegese che il
22 luglio ha ucciso 76 persone tra Oslo e l’isola di
Utoya.
Nell’e-mail un appello a diffondere il suo manifesto
ideologico di 1.500 pagine anche a Cavarzere. «Io con questa storia
non ho nulla a che fare. Inoltre non sono legato al gruppo Gioventù
Nazionale e tanto meno a Forza Nuova, mi sono avvicinato a Fiamma
Tricolore», ribadisce Fulvio Rossato. Non smentisce di avere
ricevuto la mail ma sottolinea, riferendosi allo stragista norvegese:
«io questo non lo conosco. La storia mi sta mettendo in cattiva luce
e rischia di farmi perdere il posto di lavoro».
Personaggio noto
alle cronache giudiziarie dopo l’attentato al tribunale di Venezia,
quando venne indicato quale responsabile di una serie di scritte
antisemite e razziste Rossato ha ricevuto la mail come un altro
migliaio di persone tra Europa e Nord America. In Italia l’hanno
ricevuta almeno 117 destinatari». Molti di queste persone hanno già
sporto denuncia all’autorità giudiziaria appena ricevuta la mail.
Ed è già stato accertato che il terrorista norvegese ha inviato la
missiva anche a persone che con la destra non centrano nulla. Si
trovano proprio agli antipodi. Tra cui in Italia ci sono pure
un’erboristeria e una lesbica dichiarata e pacifista.
Da
verificare come sia riuscito a mettere assieme la mailing list usata
per inviare i messaggi farneticanti. Molto probabilmente ha
«smanettato» sui social network. (c.m )
Inchiesta.
Un filo nero tra Oslo e l'Italia
di Paolo Biondani e
Gigi Riva I retroscena della strage norvegese: dirigenti di
Forza Nuova, esponenti di Fiamma Tricolore, nostalgici e neonazisti.
Ma anche nomi a caso. Ecco la lista dei 117 a cui Breivik si è
rivolto(11 agosto 2011)Ci sono neonazisti, neofascisti, teste rasate,
razzisti, predicatori di odio contro islamici, rom ed ebrei. Ci sono
politici di estrema destra, giovani ultras delle curve e integralisti
religiosi che sognano nuove crociate cristiane. C'è un intero blocco
di militanti e dirigenti di Forza Nuova, dalle basi regionali alla
sede centrale. Ma c'è anche l'ignaro carrozziere di Sassuolo, la
negoziante di scarpe monzese, la scuola elementare di Bolzano o
l'esoterico allevatore di "blatte da pasto" per serpenti.
Poco prima di scatenare le sue stragi, Anders Behring Breivik, 32
anni, il terrorista di destra norvegese che nel pomeriggio del 22
luglio ha ucciso 76 innocenti tra Oslo e l'isola di Utoya, aveva
spedito un'e-mail con un appello a diffondere il suo manifesto
ideologico: un proclama di 1.500 pagine per combattere
«l'islamizzazione dell'Europa».
Il messaggio è partito dal suo
computer alle 14.08. Alle 15.25 la capitale norvegese veniva
squarciata dalle prime esplosioni, seguite dal massacro di decine di
giovani laburisti. Nell'allegato, Breivik teorizzava «l'uso del
terrorismo come mezzo per risvegliare le masse» e si aspettava di
passare alla storia come «il più grande mostro dopo la seconda
guerra mondiale».
L'e-mail, con un messaggio introduttivo di 82
righe in inglese, è stata inviata a un migliaio di indirizzi tra
Europa e Nord America. In Italia l'hanno ricevuta almeno 117
destinatari. Breivik scrive di averli selezionati su Facebook tra i
suoi «amici» o tra gli «amici di un mio amico». "L'Espresso"
ha recuperato l'e-mail con tutti gli indirizzi, rimasta accessibile
su un sito finlandese, e ne ha verificato l'autenticità, cercando di
identificare gli italiani che l'hanno ricevuta. E di capire con che
logica siano stati scelti. Nessuno ricorda di averlo mai conosciuto.
Il fatto di ricevere un'e-mail da uno sconosciuto non prova nulla.
Tanto meno una complicità. La gravità della strage, però, ha
spinto le polizie di vari Stati, coordinate da Europol, a indagare su
possibili contatti all'estero: firmandosi «comandante giustiziere
dei cavalieri templari europei» e «uno dei numerosi leader del
movimento di resistenza patriottica », infatti, il terrorista
sostiene di aver elaborato le sue teorie «con l'assistenza di
fratelli e sorelle in Inghilterra, Francia, Germania, Svezia,
Austria, Italia, Spagna, Finlandia, Belgio, Olanda, Danimarca, Stati
Uniti».
In Italia Anders mostra di avere una spiccata
predilezione per Forza Nuova, il partito di estrema destra fondato da
Roberto Fiore, l'ex cassiere di Terza Posizione, condannato per banda
armata, che non ha mai scontato la pena, vivendo da latitante a
Londra, dove è diventato un ricco imprenditore, fino alla
prescrizione. Il norvegese ha inviato il suo proclama a varie sedi
ufficiali del movimento neofascista, da Roma a Milano, da Massa a
Cavarzere, e a un plotone di militanti e dirigenti.
Il vertice
nazionale di Forza Nuova non ha pubblicizzato né commentato
l'evento, almeno ufficialmente. Dopo la strage, solo qualche
esponente locale ha denunciato alle autorità, «a titolo
individuale», di aver ricevuto l'e-mail. «Ho presentato un esposto
alla procura, che ha aperto un'inchiesta», conferma Massimiliano
Catanzaro, l'avvocato civilista che fino a un mese fa guidava Forza
Nuova a Catania: «Non ho mai conosciuto Breivik, ovviamente condanno
le sue stragi, e non so come né da chi ha avuto il mio nome».
Lo
stragista di Oslo sembra aver ottenuto un indirizzario di Forza Nuova
: pensa che gliel' abbia passato qualche italiano? «Non lo so. Posso
immaginarlo, ma non voglio interferire con le indagini». L' e-mail
dell'orrore è stata spedita a molti altri esponenti di Forza Nuova,
come il coordinatore per il Sud Giuseppe Bonanno Conti, la dirigente
veneta Diletta Carlesso, già candidata a Vicenza, un militante
anti-rom di Pavia e un fascistello di Cavarzere, che apre il suo
profilo Facebook con frasi come "Dux mea lux" e "Sieg
Heil".
Nutrita anche la pattuglia di sostenitori delle altre
anime dell'estremismo nero, dalla Destra di Storace a CasaPound,
dalla Fiamma Tricolore a Patria Nostra. L'ha ricevuta, ed è andato a
segnalarlo alla Digos e alla polizia postale, anche Alberto Ferretti,
50 anni, coordinatore regionale per l'Emilia Romagna del movimento
Progetto nazionale e figlio di Carlo, uno dei fondatori del Msi.
Ferretti è stato collaboratore del centro culturale Lepanto, (la
battaglia che vide contrapposte nel 1571 la flotta ottomana e quella
della Lega Santa cristiana). Dell' e-mail dice: «L'ho trovata dopo
qualche giorno, era finita nello spam. Gli inquirenti hanno già
fatto la mappatura del mio computer e la magistratura di Bologna ha
aperto un'indagine conoscitiva». Non conosce Breivik e «naturalmente
non ne condivido le idee. Quel documento non è circolato negli
ambiti della destra politica e non c'è una ratio nella scelta degli
interlocutori da parte del terrorista». Però sono quasi tutti di
estrema destra.
C'è persino un
parlamentare belga, Tanguy Veys, di Vlaams Belang, Interesse
fiammingo, formazione razzista e xenofoba. Il quale ha preso carta e
penna e ha scritto una lettera all'ambasciatore norvegese per dare
solidarietà e negare ogni rapporto con Breivik. Per tornare in
Italia, la posta elettronica è arrivata anche a Cuneo, all'indirizzo
di Giacomo Fantini, ex segretario provinciale da poco uscito da
Fiamma Tricolore. Non se ne era accorto e sostiene di aver scoperto
la scottante e-mail solo grazie a "l'Espresso". “Adesso,
aggiunge, cercherò di capire qual è l'amico di Facebook che è il
tramite col norvegese “. Nel suo profilo sul social network, le
cose che «gli piacciono», appartengono tutte all'immaginario della
destra estrema, da Mishima a Céline, al libro "Militia" di
Léon Degrelle.
Tra gli "amici" c'è Adriano Tilgher,
oltre al sito ufficiale del partito radicale serbo,
ultranazionalista, il cui leader Vojislav Seselj è sotto processo
all'Aja per crimini contro l'umanità. L'area balcanica è molto
rappresentata nella lista di Anders. Ci sono anche miliziani emigrati
in Italia che postano video ustascia.
Molte e-mail sono intestate
a nomi di fantasia, come legionario_83, enigmista85, maledetto_500,
che però riportano a contatti Internet di persone riconoscibili. Gli
indirizzi più sospetti, tra quelli italiani (col suffisso .it), sono
una quindicina: sui motori di ricerca compaiono una sola volta,
soltanto nell' e-mail di Breivik, come se fossero un recapito
clandestino da usare per contatti riservati. Con nome e cognome c'è
Guglielmo Rinaldini, che nel suo blog si presenta come dirigente
della "polizia parallela" di Gaetano Saya, vanta legami con
i servizi segreti e pubblica presunti messaggi di ringraziamento
attribuiti a Berlusconi e Castelli. Anche Simone Balestro, un giovane
sostenitore di CasaPound, pubblica sul blog le sue foto con i leader
della destra : nell'ordine, «io e Storace» e poi Buontempo, Fiore e
il ministro La Russa. Nel sottobosco in cui Anders sognava di
reclutare patrioti italiani, dominano i profili di appassionati di
armi, arti marziali, culturismo, ma anche di skinhead veneti, ultras
romani o piemontesi, metallari patiti delle band di estrema destra.
I riferimenti culturali spaziano dall'esoterismo al neopaganesimo, ma
i chiodi fissi sono la difesa dell'Europa cristiana e lo stop
all'islam. Qualche indirizzo richiama il nome di Mussolini o il
nazionalsocialismo. Mentre le cifra 14 e 88, unite o separate,
alludono al fondatore del Ku Klux Klan e allo slogan Heil Hitler.
Nella lista di Breivik compaiono anche i recapiti di una decina tra
negozi, aziende, studi professionali. Un'impresa edile, in effetti,
è gestita da un militante di Forza Nuova.
Così come un
indirizzo rimanda alla palestra romana di Lucifero Pipero Panaccione,
pugile romano degli anni 1920-30, ed eroe del fascismo. Ma nel
passaggio agli «amici degli amici», il terrorista nordico sembra
aver preso qualche cantonata. Tanto da spedire il suo proclama a
un'erborista pacifista, una lesbica esplicita, un'associazione
letteraria e (pochi) altri indirizzi senza alcun contatto estremista.
Il più sorpreso è un carrozziere di Sassuolo, M. M.: «Ora capisco
cos'era quella roba. Io non so neanche l'inglese, l'avevo buttata
via». Qualche idea sul tramite con Anders? «Sono un tiratore
sportivo, ma sparo solo con amici carabinieri e poliziotti. E ho un
cugino di Forza Nuova. Ma non sono mica un terrorista: ho votato
centrodestra, però mio nonno era partigiano».
Ora le indagini e
una domanda che buona parte dei destinatari della mail, al di là
delle responsabilità penali, si deve pur porre : dove finisce
quell'area grigia che delimita la propaganda razzista e dove comincia
quel terreno di consenso che Anders Breivik si è sentito attorno?
Questo pezzo
merita attenzione se non altro per l'autorevole firma e l'originalità
della “lettera scritta ad un figlio che deve nascere”. Ma non ne
condivido il tenore, e cioè il fatto che una donna sbagli a
prescindere nella sua scelta di fare hard. E' uno strascico della
catto-cultura itagliota al quale tanti intellettuali nostrani
stentano a staccarsi. Fare hard non è un “mestiere” come gli
altri, ma è pur sempre un modo per tirare avanti, e può essere
estremamente più piacevole che non lavorare in fabbrica. Una donna
che decide di farlo, lo fa consapevolmente. Basta con la questione
dello sfruttamento, della necessità per denaro, della mancanza di
cultura. Sono motivi che non funzionavano quarant'anni fa e oggi,
2014, benchè meno. A parte questa parentesi, la lettura è
interessante.
Sdraiata
sul lettino dell'ecografo, la gelatina fredda spalmata sulla lieve
protuberanza della pancia, Aurora vide, e ascoltò, per la prima
volta, il battito del cuore del bambino che portava dentro.
Fu
in quel momento che Aurora vide scorrere su quel monitor, insieme con
il nebuloso profilo del figlio, il film del proprio passato. Un film
di porno hard. Perché lei, Aurora
Snow,
è stata una stella del cosiddetto "cinema per adulti" e le
foto, le clip, i lungometraggi del suo lavoro sono disponibili
ovunque, dalle stanze d'albergo ad ogni tablet o smartphone.
Nei
primi anni 2000 aveva vinto premi per il porno nella categoria
"Migliore sesso a tre" e "Migliore orgia", con
altre sottocategorie più dettagliate che vi lascio immaginare.
È
stato allora, uscendo dallo studio di radiologia in settembre, che si
rese conto che quel bambino, diventato ragazzo, si sarebbe
inevitabilmente imbattuto anche senza volerlo nel lavoro della sua
mamma, perché nella memoria totale di Internet, tutto esisterà per
sempre e nessun peccato potrà mai essere perdonato.
Decise
allora di giocare d'anticipo e di scrivere a quel futuro uomo : la
lettera al figlio di una pornostar. "Caro figlio, voglio che tu
sappia da me, e non da amici o per caso, che cosa e chi sia stata tua
madre".
"A
18 anni ero una brava studentessa all'Università della California a
Irvine, ma non avevo un centesimo. Mi ero indebitata per la retta e
per mantenermi, perché i tuoi nomi erano poveri. Quando vidi
l'annuncio su un giornale che offriva 2000 dollari al giorno per
posare nuda, corsi ai provini. Mi spaventava soltanto il timore di
non essere abbastanza sexy, in mezzo a tutte quelle stupende ragazze,
perché ero sempre insicura, ma piacqui".
I
2000 al giorno per foto di nudo diventarono 5000 al giorno quando
accettò di fare sesso davanti a una cinepresa. Aveva 19 anni nel
2000 e nessun altra occupazione avrebbe potuto pagare cifre del
genere senza saper fare nulla, se non quello che più o meno bene
tutti sappiamo fare. "Mi sentivo padrona del mondo, libera, e il
pensiero di avere figli e una famiglia mi faceva ridere".
Ma
qualche anno dopo il premio per "Migliore attrice protagonista
in un'orgia" del 2003, accadde un episodio apparentemente
lontano da lei. Uno zio ebbe un gravissimo incidente in moto che lo
mise fuori uso, fra ospedale e riabilitazione, per tre anni. Lo zio
era vedovo, aveva due figli piccoli e in famiglia non c'era nessun
altro che avesse i soldi per mantenere quei bambini. Così Aurora, la
regina delle ammucchiate, la stella del porno, si scoprì a zompare
dai materassi degli studios ai compiti a casa, ai gemiti artificiali
ai pianti per le coliche vere, agli incontri con gli insegnanti, alle
corse dal pediatra, per curarsi di due bambini.
"Scoprii
allora - scrive al figlio non ancora nato - che non soltanto non mi
pesava quella vita da madre di famiglia, ma che mi piaceva e mi
appassionava molto di più di quello che facevo nel mio lavoro.
Sentii che avrei voluto più di ogni altra cosa diventare io stessa
madre, avere una famiglia, un amore mio, non da film.
Ma
chi avrebbe mai voluto una donna di ormai quasi trent'anni, con più
di 10 anni di porno hard alle spalle e le sequenze di lei in ogni
posa e porcheria immaginabile, visibile a tutti in ogni stanza
d'albergo e in ogni computer ?".
Lo
trovò. Era un ragazzo di campagna, arrivato a Los Angeles per
studiare e che si era buttato nell'industria del porno non come
attore, ma come assistente e uomo di fatica.
Lui
le disse semplicemente: "Devi soltanto smettere. Pigia il
bottone di eject, come i piloti negli aerei e io ti raccoglierò
mentre cadi".
"Sarebbe
troppo facile e ipocrita per me dirti adesso che ho sbagliato, ma ti
dico una cosa diversa, figlio mio. Nella tua vita farai le tue
scelte, come io feci le mie, ma non perderai mai il mio amore come io
non persi quello di tua nonna, quando un conoscente le portò una
videocassetta con un mio film. Però devi sapere che ogni scelta ha
conseguenze, che le tue decisioni ti seguiranno per tutta la vita e
che la strada più facile che hai davanti e spesso la più sbagliata.
Ma che è possibile, se lo vuoi davvero, ricominciare. I love you".
L'espressione
è di origine romanesca ma entra nel lessico nazionale, e indica una
condizione fisica o mentale per cui si è avviliti, affranti, giù di
morale. Ispiratore della frase è ovviamente l'abbacchio,
l'agnellino da latte da circa 6-7 chili che si macella entro il primo
mese di vita. L'origine del termine sarebbe da cercare nel latino
ad baculum,
(vicino al bastone), per l'uso di legare l'animale a un bastone
conficcato in terra per costringere la madre a rimanere nei pressi.
Proprio l'infausta prospettiva che attende questi agnellini, cioè
l'essere precocemente abbattuti, dà spunto alla definizione.
Si
dice . . . “ canta che ti passa “
L'espressione
“canta che ti passa”, non di rado formulata in chiave ironica, è
un invito a superare noia, timori o preoccupazioni incombenti
attraverso il canto. L'espressione pare sia stata incisa sulla
parete di una trincea durante la Prima Guerra Mondiale e riportata da
un soldato il cui nome è ben noto : si tratta dell'ufficiale degli
alpini Piero Jahier, scrittore genovese che si arruolò volontario
nel 1916. Jahier, che al fronte curava il giornale di trincea
“L'Astico”,
la trascrisse come epigrafe di una raccolta : “Canti
del soldato”
curati con lo pseudonimo di Pietro Barba e pubblicati nel 1919.
Si
dice . . . “ acqua in bocca “
E'
il perentorio invito a mantenere un segreto, a non lasciarsi sfuggire
notizie riservate. Secondo una tradizione ripresa anche da alcuni
letterati, l'origine del motto si dovrebbe alla richiesta che una
donna, molto dedita alla maldicenza, ma anche devotissima, fece al
proprio confessore per porre rimedio al suo peccato. Il prelato,
vista l'inutilità delle penitenze, diede alla donna una boccetta
d'acqua raccomandandole di tenerla sempre con sé e di metterne
alcune gocce in bocca quando le veniva la tentazione di sparlare.
Il precetto ebbe successo.
Si
dice . . . “ avere sette vite come i gatti “
Dire
“avere sette vite come i gatti”, (nella cultura anglosassone si
parla di nove), indica la capacità di riprendersi da incidenti,
avversità o rovesci della malasorte con rapidità sorprendente. Il
paragone coi gatti deriva dalla credenza popolare di un potere
soprannaturale, (nel Medioevo la si pensava creatura del diavolo), di
questi felini per la loro capacità di sopravvivere a cadute anche da
luoghi elevati o a urti violenti spesso senza danni. Ciò per
l'agilità dei felini, l'elasticità delle ossa, i riflessi
prodigiosi, la capacità di cadere sempre in piedi e di riprendersi
rapidamente da ferite e traumi.
Si
dice . . . “ la moneta cattiva scaccia quella buona “
Il
detto “la moneta cattiva scaccia quella buona” deriva da una
legge economica formulata dal banchiere inglese Thomas Gresham nel
XVI secolo. In pratica essa definisce la tendenza da parte di chi
opera sul mercato a disfarsi delle monete meno pregiate mettendole in
circolazione, accantonando, (togliendole dunque dal mercato), invece
quelle di maggior valore intrinseco. Per estensione questo detto ha
assunto anche un significato morale : comportamenti e valori di alto
profilo vengono prima o poi contaminati e soppiantati da altri più
involuti e degradati.
Si
dice . . . “ lupus in fabula “
La
locuzione latina “lupus in fabula”, (il lupo nel discorso, nella
narrazione), viene usata quando una persona di cui si sta parlando in
quel momento compare all'improvviso, come per magia. L'espressione
deriva dalle credenze degli antichi secondo le quali il lupo, (che al
tempo rappresentava la malvagità, come in seguito il diavolo), aveva
il potere di comparire al solo essere evocato. Le favole di Fedro,
(20 a.C.-50 d.C.), derivate da quelle del favolista greco Esopo, (VI
sec. a. C.), sono efficace testimonianza di quella credenza :
l'apparizione del lupo, cioè del male, equivale in quelle storielle
al compimento stesso del fato.
Si
dice . . . “ ambasciator non porta pena “
Indica
chi debba comunicare senza colpe, ad altri, cose spiacevoli. E una
sorte di esorcismo verso la pessima sorte, che poteva un tempo
toccare a chi recasse cattive nuove. Nel 480 a.C. ad esempio, gli
spartani di Leonida, uccisero gli ambasciatori del re persiano Serse
che si avvicinava con le sue truppe alle città greche. E
l'abitudine continuò per secoli : nel VII secolo d.C. lo Scià di
Persia trucidò ambasciatori bizantini che proponevano un trattato
non gradito. Solo nel 1961 gli ambasciatori ottenerò l'immunità
diplomatica, ossia una salvaguardia internazionale che li tutela
completamente.
Si
dice . . . “ tornare con le pive nel sacco “
Vuol
dire rimanere delusi, scornati per aver fallito l'obbiettivo
previsto. L'origine della frase viene fatta risalire all'antica
usanza militare di suonare le trombe oppure “le pive” - che erano
strumenti musicali a fiato come pifferi, flauti e cornamuse, usati
anche in Italia fino alla seconda guerra mondiale – per
accompagnare le marce di trionfo dopo la vittoria. In caso di
sconfitta o di ritirata, invece, questi strumenti venivano messi
dentro gli zaini dei soldati, i sacchi, perché l'esercito si
ritirava in silenzio.
Si
dice . . . “ andare in tilt “
L'espressione
indica situazioni in cui una persona perde per qualche tempo lucidità
mentale e capacità di ragionare per stanchezza, stress o forti
emozioni. Il detto è giunto dagli Stati Uniti insieme al gioco del
flipper, una sorta di biliardino elettrico che fu molto diffuso a
partire dagli anni 50', specie nei bar e locali pubblici. Il gioco,
attivato con una moneta, consiste nel colpire una biglia d'acciaio
mirando a bersagli posti su un piano inclinato e dotati di sensore.
L'abilità sta nel colpire il maggior numero di volte possibile per
aumentare il punteggio. Ma se il giocatore esagera con gli scossoni
per colpire più volte i bersagli, il flipper va in “tilt”, cioè
si blocca e il gioco si interrompe.
Si
dice . . . “ avere il sangue blu “
Significa
vantare ascendenze nobili, di alto rango. L'origine della frase sta
probabilmente nell'espressione spagnola sangre
azul
che prende piede nel tardo Medio Evo, al tempo del riconoscimento
delle classi sociali come nobiltà e clero, commercianti e popolo
contadino. L'immagine fa riferimento alla pelle dei nobili,
diafana, diversamente da quella dei contadini che era bruciata dal
sole dei campi. Una pelle così chiara lasciava intravedere le vene
dei polsi e di altre parti del corpo, che hanno un apparente colorito
bluastro-violaceo causato dallo spessore dell'epidermide. Da qui la
credenza.
L'avevo
sempre considerata un'attività un po' perversa. Di quelle fatte
apposta per chi ha qualcosa da espiare, per chi deve punirsi, per chi
ha dei buchi neri nell'anima e si illude di poterli seminare dandosi
alla fuga, per chi, con la testa, e forse anche con il corpo, non è
tanto a posto.
Avevo
sempre pensato che fosse un'insana occupazione dei masochisti, per
fanatici, per americani cresciuti con un'alimentazione geneticamente
modificata, per androidi, che volevano far credere di essere come
noi.
Probabilmente
l'origine delle mie convinzioni e dei miei pregiudizi risale ad una
torrida domenica di luglio del 1979, sull'isola di Ponza. Ero in
vacanza con mia madre e una sua amica. "Corsa podistica non
competitiva", avevamo letto su un manifesto.
"Corsa
podistica" mi sembrò un'espressione bellissima. L'oscurità del
suo significato era irrilevante al cospetto della musicalità di quel
binomio. "Qualsiasi cosa sia, voglio partecipare",
dichiarai. "Sono sei km di corsa", osservò mia madre. "Sei
è un numero piccolo", replicai, senza sapere. L'amica si offrì
di accompagnarmi e mi ritrovai così sulla linea di partenza, ignara
dei miei limiti ma consapevole dell'estrema eleganza di una pettorina
numerata.
Pronti,
partenza, pum, uno sparo, via. Su e giù a perdifiato, una salita,
una discesa, un tornante, un'altra salita, un altro tornante. E poi,
intorno a me, tifo, voci, risate, urla, piccoli, grandi, uomini,
donne, bambini, tutti eleganti quanto me, ma molto, molto più
veloci, resistenti, allegri, incuranti del caldo, del fiatone, del
cuore che scoppia.
Al
terzo tornante, non più di cinquecento metri dal via, capii che ero
fatta di una pasta friabile, che la corsa podistica nasconde, dietro
un bel nome, una pura follia, che un numero stampato sul petto non fa
di te un androide masochista. Mi fermai, mi strappai di dosso la
stupida pettorina, la lanciai rabbiosamente sull'asfalto e lasciai
che l'orda festante di alieni, ne facesse brandelli calpestandola.
Promisi
a me stessa, quella domenica di luglio, che mai più mi sarei
sottoposta a quella pratica sfinente e tribale, mai più avrei
chiesto alla mia pasta friabile di farsi quello che non era, mai più
avrei ceduto alle lusinghe di un binomio eufonico.
Mantenni
la parola data fino ad un'altra domenica di luglio di 31 anni dopo,
durante una vacanza negli Stati Uniti, a seguito del marito
workaholic.
Avevo, allora, un figlio di sette anni, uno di quattro,uno dei sei
mesi e soprattutto, una vicina di casa di nome Brenda, single,
ipercinetica e dotata di tricipiti d'acciaio.
"Vado
a fare jogging. Perché non vieni?" "Jogging ? Vuoi dire
correre ? Preferisco vivere, grazie". "Dai, su. Non vado
veloce. E non corro mai oltre un'ora". "Un'ora ? No,
grazie, Brenda. Io vengo da un altro continente, da un'altra cultura,
un'altra alimentazione. Non credo di ...".
Vinse
Brenda che mi prese per mano e mi trascinò con sé in quello che
consideravo il lato oscuro del fitness.
Da
allora corro sempre, con costanza maniacale, in estate in inverno,
con voluttà e passione, con la musica nelle orecchie, una ridicola
coda di cavallo e un look sciatto e inguardabile perché, nella mia
personale visione di questo amore tardivo, si tratta di pura sostanza
e niente forma.
Corro
generalmente vicino a casa, lungo un Naviglio. Incrocio papere,
nutrie, se sono fortunata anche qualche ratto, e altri tizi come me,
generalmente meglio vestiti e senza coda di cavallo, ma con lo stesso
sguardo estatico e assente.
Perché,
ho scoperto, correre dà dipendenza come il fumo, l'alcol, il
cioccolato bianco e la metanfetamina. Perché regala euforia, sprazzi
di onnipotenza e una certa resistenza fisica che nella vita viene
sempre utile. Perché fa bene, dicono. Consente di pensare ai fatti
propri, di isolarsi, di transitare dentro una bolla.
E,
soprattutto, è una fantastica via di fuga, quando non basta
chiudersi a chiave in bagno.
Anche
i sentimenti si ereditano, se è vero che la gelosia è, almeno in
parte, scritta nei nostri geni. Secondo uno studio pubblicato su Twin
Research and Human Genetics,
rivista scientifica dell'Università di Cambridge e realizzato da un
team di ricercatori svedesi, la Sindrome
di Otello
è per circa un terzo questione di ereditarietà, e ha due facce, una
maschile e una femminile.
Lo
studio è stato condotto su 3197 coppie di gemelli, di cui un gruppo
era di monozigoti, nati cioè con un identico patrimonio genetico, e
per questo spesso osservati dalla scienza per tentare di stabilire,
quanto l'ambiente influisca sullo sviluppo del comportamento di una
persona e quanto si è invece determinato per via genetica.
I
ricercatori hanno chiesto ai gemelli quanto si sentissero disturbati,
in una scala da 1 a 10, dall'idea che il proprio partner avesse avuto
una scappatella di una sola notte, oppure si fosse invaghito di
un'altra persona.
Risultato
: gli uomini più delle donne erano infastiditi dall'idea che il
proprio partner avesse fatto sesso con un'altra persona, anche solo
per una volta. "Lo studio evidenzia che gli uomini provano un
maggior grado di gelosia sessuale rispetto alle donne",
sottolinea Hasse Walum, ricercatore dell'Università medica
Karolinska Institutet e primo firmatario dello studio, in cui sono
state fornite anche le stime del grado di ereditàbilità dei due
tipi di gelosia : "Si deve ai geni il 32% dei fattori relativi
alla gelosia di tipo sessuale, mentre per quella sentimentale i geni
influiscono per un 26%", spiega Walum.
Supponendo
che i condizionamenti familiari abbiano agito in modo simile in tutti
i gruppi di gemelli, una maggiore concordanza di risposte nel gruppo
degli omozigoti, è stata considerata come un effetto dei geni.
Il
risultato dello studio sembra confermare l'interpretazione
evoluzionista, secondo cui la gelosia ha aspetti "sessuati",
perché negli uomini agirebbe la volontà di assicurarsi la
trasmissione dei propri geni, mentre sulle donne, non tormentate
dalla stessa incertezza riproduttiva, (Mater
semper certa,
dicevano i latini), peserebbe di più l'intenzione di garantire per
il futuro cure e risorse per la prole.
Certo
l'ambiente, inteso come contesto socio-culturale, è comunque il
principale "veicolo di diffusione" della gelosia, che però
sembra avere anche solide basi biologiche, se si pensa che in alcune
patologie come morbo di Parkinson e schizofrenia, sono comuni forti
manifestazioni di gelosia. Che si origina in una specifica area del
cervello, secondo una ricerca dell'Università di Pisa : "Principale
indiziato per la generazione delle forme più acute di gelosia, è
uno squilibrio dei circuiti di serotonina e dopamina nella corteccia
pre-frontale", spiega Liliana Dell'Osso, direttore della clinica
psichiatrica dell'Università di Pisa e coautrice dello studio.
"Ma
i geni non sono il destino", specifica la docente, "avere
nel proprio DNA determinati geni, non significa che automaticamente
si svilupperà una patologia, tanto meno un determinato
comportamento. La componente genetica viene innescata da fattori
scatenanti, che possono essere dei più vari, tant'è che per
analogia al concetto di genoma, (l'intero patrimonio genetico), si
parla di "esposoma", per indicare l'insieme dei
condizionamenti ambientali a cui si è esposti nel corso della vita,
dallo stress lavorativo familiare alla risposta immunitaria, dall'uso
di alcol e droghe alle sostanze chimiche con cui si entra in contatto
attraverso aria, acqua, alimentazione, fumo, droghe, farmaci
eccetera".
Ma
è anche un fatto di misure : "Una dose minima di gelosia è
considerata fisiologica e un po' afrodisiaca", sostiene Roberto
Bernorio, sessuologo dell'associazione Aispa. "Ma attenzione a
non cadere nella sindrome di Sherlok Holmes", avverte lo
specialista, "oggi la tecnologia da un'inedita capacità di
controllo : possiamo vedere la cronologia dei siti visitati,
sbirciare la posta del partner o i suoi SMS, gli scambi di battute su
una chat. Tutto ciò può indurre o amplificare un circuito di
pensiero ossessivo", osserva Bernorio.
Quando
però si supera il limite di una condizione considerata normale "si
riscontra una caratteristica : l'incoercibilità, cioè
l'impossibilità di convincere, nonostante le evidenze, che la
percezione di essere traditi è infondata".