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giovedì 7 settembre 2017

Modi di dire 30

Si dice . . . “mollare i pappafichi”

Indica un atteggiamento di resa, un cedere psicologicamente, un rassegnarsi agli eventi. Nel linguaggio sportivo, una squadra che “molla i pappafichi” non crede più nella vittoria o nella rimonta nei confronti dei rivali. L'espressione, mutuata dal gergo marinaresco, è stata lanciata da Gianni Brera, (1919-1992), celebre giornalista sportivo che ha coniato o ripreso moltissimi termini ed espressioni oggi nell'uso comune. Il termine pappafico, che deriva dallo spagnolo papahigos, indica nei velieri una vela minore usata di rinforzo, (detta anche di straglio), che si posiziona come seconda vela quadra più alta dell'albero di trinchetto. Mollarlo, ossia ammainarlo, ha il senso di adeguarsi a un'andatura più lenta.


Si dice . . . “scoprire gli altarini”

Il detto “scoprire gli altarini”, allude alla rivelazione di segreti imbarazzanti per chi li aveva gelosamente custoditi fino a quel momento. Per qualche linguista, l'espressione deriverebbe dalla liturgia della settimana della Passione, quando nelle chiese altari, tabernacoli ed immagini, vengono coperti da panni viola, ma prima o poi devono rivedere la luce. Per altri esperti invece, il motto ha un'origine molto antica e fa riferimento ai piccoli altari di case e cappelle private, o posti davanti a tabernacoli in strade o piazze. Questi altari sono da sempre ornati di rose e proprio alle rose, simbolo di segretezza fin dall'antichità, forse a causa della sua forma a petali sovrapposti intorno a un bocciolo sempre chiuso, si riferirebbe il senso ultimo del detto. Da notare che la frase equivalente in francese è “decouvrir le pot aux rose”: alla lettera, scoprire il vaso di rose.


Si dice . . . “essere una vecchia cariatide”

Dare della “vecchia cariatide” a qualcuno, vuol dire presentarlo come una persona molto vecchia e malridotta, o anche superata nel modo di agire e di pensare. Più anticamente “cariatide” indicava anche qualcuno che se ne stesse impalato e silenzioso senza muoversi o prendere iniziative. Il riferimento è a quelle figure femminili scolpite, che venivano usate con funzione di colonne o pilastri, a sostegno di parti architettoniche sovrastanti. Le più celebri sono quelle situate a fianco dell'Eretteo, sull'Acropoli ateniese. Il nome deriva dalle donne di Karya, antica città greca del Peloponneso, fatte schiave dagli ateniesi e forse in origine fanciulle danzanti. Il riferimento alle persone vecchie o superate, è riferito all'antichità delle sculture che sono del V secolo a.C.


Si dice . . . “da strapazzo”

La locuzione “da strapazzo”, (ad esempio: pittore da strapazzo, musicista da strapazzo, intellettuale da strapazzo ecc.), si riferisce a persone le cui attività vanno considerate di nessun valore. Questa definizione era un tempo più diffusa con riferimento a capi di abbigliamento vecchi, di basso costo o di scarsa eleganza, che vengono indossati per giardinaggio, lavori pesanti o altre situazioni in cui degli indumenti non si deve avere troppa cura: calzoni da strapazzo, giacca da strapazzo ecc. E' proprio quest'ultima accezione, il riferirsi cioè ad oggetti che essendo di poco o nessun valore possono essere stracciati e strapazzati, è quella che ha dato origine al senso figurato che abbiamo prima descritto.


Si dice . . . “uscire dai gangheri”

L'espressione figurata “uscire dai gangheri” o anche “essere (o andare) fuori dai gangheri”, ha il significato di perdere la pazienza, incollerirsi, agire e sbottare in modo sconsiderato. I gangheri a cui si fa riferimento, sono la parte del cardine costituita da un pezzo di ferro ripiegato a uncino, che forma il perno da inserire nell'occhio della bandella e che permette l'apertura e la chiusura dell'imposta di una porta, di una finestra o dello sportello di un armadio. In sostanza, è la parte del cardine fissata al telaio o al muro su cui si infila il battente, permettendo a quest'ultimo di girare, in equilibrio. Uscire dai gangheri è quindi, figurativamente, perdere l'equilibrio psichico e dunque la ragione.


Si dice . . . “avere voce in capitolo”

Vuol dire avere autorità e credito per poter intervenire in una discussione, o per prendere una decisione. All'origine del modo di dire vi è il Diritto Canonico. Avere voce in capitolo infatti, era riferito inizialmente agli ecclesiastici che nei capitoli, o collegi, ossia nelle riunioni degli addetti a un istituto religioso, avevano diritto di parola e voto. E' probabile che il termine capitolo cui si fa riferimento, si riferisca alla locuzione latina ire ad capitulum, ossia andare alla lettura di un capitolo delle Sacre Scritture. Va inoltre detto che l'espressione ha un equivalente nella locuzione francese avoir voix au chapitre, documentata in vari scritti.


Si dice . . . “avere mangiato le noci”

L'espressione ironica poco nota, ma di spessore storico e letterario, “aver mangiato le noci”, (“hai mangiato le noci oggi?”, “quello mangia noci ...”, ecc.), indica coloro che siano spesso mal disposti e di cattivo animo verso il prossimo, specie verso coloro che, viceversa, cercano di assecondargli in ogni modo. Chi “mangia noci” insomma, è colui che parla male di tutti in modo gratuito. L'espressione è una metafora: si riferisce infatti, in senso figurato, al fatto che l'ingestione eccessiva di noci può favorire l'alito cattivo e dunque rende di pessima qualità, anche le parole che escono dalla bocca. Non mancano passi letterari prestigiosi su questo tema, come quello del letterato fiorentino Emilio Cecchi: “Bè Crezia / Tu ti sei risentita in mal tempra; / Oh si, iersera tu mangiasti noci / Che t'anno fatto si cattiva lingua”.


Si dice . . . “fulmine a ciel sereno”

L'espressione segnala una notizia o un accadimento improvvisi, inattesi e spesso sconvolgenti. Ma cadono davvero i fulmini a ciel sereno? Il fulmine è una scarica elettrica che si crea in certe condizioni fisiche, all'interno dei cumulolembi, i nuvoloni grigi che portano i temporali. A determinarli è il campo elettrico che si crea nella nube a causa delle opposte cariche elettriche delle goccioline che la formano. Queste, in presenza di forte vento tropicale, si separano e la differenza di potenziale che si crea origina la scarica elettrica. Queste possono generarsi anche tra due nubi, o tra una nube e il suolo. In rarissimi casi i fulmini non partono dalla base della nube, ma dalla sua sommità e una parte di loro giunge al suolo fuori dal perimetro del temporale: sono i “fulmini positivi” che arrivano fino a 40km. Sono questi i fulmini a ciel sereno, ma c'è sempre in origine una nube …


Si dice . . . “essere un ammazzasette”

Dare dell'ammazzasette a qualcuno vuol dire attribuirgli patente di vanaglorioso, di millantatore di grandi prodezze. L'origine della definizione è una sarcastica fiaba dei fratelli Grimm: Il coraggioso piccolo sarto. Vi si narra di un giovane sarto, che torturato dalle mosche mentre mangia in una pausa di lavoro, con una stoffa ne uccide 7 in un colpo. Felice per questo, incide sulla cinta la frase “Sette in un colpo” e va in giro ripetendolo a tutti. Poichè chi lo incontra pensa che parli di nemici, il sarto viene ammirato e temuto. E in lui cresce talmente l'autostima da riuscire in imprese tanto mirabolanti, da divenire braccio destro del re, sposarne la figlia e infine diventare re egli stesso.



Si dice . . . “semel in anno”


La locuzione latina semel in anno licet insanire, (una volta all'anno è lecito fare pazzie), viene tuttora accennata, semel in anno, negli ambienti colti per scusare follie passeggere, in genere innocue, proprie o di altri, giustificandole col fatto che di tanto in tanto è ammesso per tutti contravvenire alle regole e alle convenzioni sociali. Il concetto fu espresso, sia pur con leggere varianti, da autori antichi come Seneca, Orazio e Sant'Agostino d'Ippona, (Tolerabile est semel anno insanire). L'espressione divenne proverbiale nel Medioevo e richiama antichissimi riti liberatori o preparatori ai periodi di penitenza, di cui abbiamo ancora viva testimonianza nella celebrazione del Carnevale, festa fole per eccellenza.