est consulting

est consulting
Il primo portale dedicato all'investitore italiano in Rep. Ceca e Slovacchia

martedì 18 marzo 2014

L'investimento pedala !

Josef Eschlinger aggrotta le sopracciglia, come fa sempre quando è preoccupato. Il pensionato vive vicino al Giardino Inglese di Monaco, dove tutti i giorni va a pedalare. Da 20 anni usa sempre la stessa bicicletta e nessuno l'aveva mai guardata con particolare interesse, ma negli ultimi anni molti si sono avvicinati congratulandosi per la bellezza del mezzo e chiedendogli se fosse interessato a venderla.
Oggi è infatti quasi un gioiello : verniciata di nero, risale al periodo prebellico e dopo averla fatta riparare il suo valore, affettivo e non solo, continua a crescere col tempo. Questi pezzi di storia hanno un fascino completamente diverso dai nuovi modelli, almeno così la pensano i collezionisti, che pertanto sono disposti a pagare anche cifre notevoli per questi cimeli.
L'inizio della storia della bicicletta è legato al nome del barone Karl Von Drais : questi era solito lavorare come guardia forestale, ma nel tempo libero si dedicava alla sua vera vocazione, lo sviluppo di innovazioni meccaniche. Quando terminò il suo servizio nel 1811, riesce finalmente a dare libero sfogo al suo ingegno e presto fu in grado di presentare un prototipo di bicicletta, costituita da una ruota anteriore sterzante che permetteva di tenersi in equilibrio.
Una cornice di legno tra le due ruote, fungeva poi da sedile per il conducente, che doveva spingere con i piedi per poter procedere ; la velocità massima raggiungibile era però di appena 15 km all'ora.
I pedali furono aggiunti solo nel 1839 da un fabbro scozzese, Kirkpatrick Macmillan, con un sistema complesso che li collegava alla ruota posteriore. Il francese Ernest Michaux li perfezionò legandoli alla ruota anteriore, che era leggermente più grande.
Gli inglesi James Starley e William Hillman vi aggiunsero
successivamente maggiore velocità con una ruota molto alta e costruendo l'intera struttura del telaio, i cerchi e i raggi, in acciaio con pneumatici di gomma. La vera rivoluzione però arrivò nel 1885 con John Kemp Starley Rover ; le ruote diventarono della stessa dimensione.
Da allora la struttura della bicicletta è rimasta fondamentalmente la stessa. La maggior parte dei collezionisti di oggi, non si focalizza però su queste conquiste storiche di ingegneria, in quanto tali biciclette hanno prezzi decisamente troppo alti, perlopiù superiori ai 100.000 euro, nonostante non siano più in buone condizioni.
Il potenziale di apprezzamento maggiore lo hanno le bici dei primi del novecento, se acquistate a prezzi convenienti. In quel periodo la produzione delle due ruote rallentò bruscamente, per lasciare spazio ad automobili e motocicli. Da allora la domanda di biciclette è notevolmente diminuita, così come i prezzi. Solo durante la prima guerra mondiale tornarono brevemente di moda.
I singoli esemplari sopravvissuti fino ad oggi, mostrano ovviamente i segni del tempo, ma usura e abrasioni non ne riducono il valore, anzi tra i collezionisti sono ancora più apprezzate, perché autentiche nel raccontare la loro storia.
Un ruolo importante per i collezionisti è rappresentato dall'età, dalla rarità, dal design, dai dettagli tecnici e dalla storia : è incredibile quello che si può scoprire su una bicicletta e sul suo proprietario.
Spesso le ricevute di acquisto sono ancora disponibili e con un po' di ricerca si può risalire a dettagli entusiasmanti, che possono perfino impattare il valore dell'oggetto. Vi sono stati addirittura casi in cui la stessa bicicletta venduta all'asta per 4000 euro è stata poi rivenduta poco dopo a 25.000 euro : d'altronde, spesso il valore di tali oggetti è assolutamente soggettivo.
Margini di profitto più ampi possono essere raggiunti invece in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove i prezzi di vendita possono essere più interessanti grazie a una scarsa offerta. In Europa il livello dei prezzi è ancora con i piedi per terra, ma vi è un buon potenziale di apprezzamento per le bici risalenti agli anni dal 1930 al 1950.
Acquistando gli esemplari tra i 500 e i 700 euro, sarà poi possibile avere buone possibilità di guadagno. Per avere un supporto nella valutazione di tali mezzi d'epoca è meglio rivolgersi ai negozi specializzati. Fino agli anni 60' le biciclette risalenti all'anteguerra, erano acquistate restaurate solo nei circoli degli appassionati.
Ora però vi sono anche numerose fiere, luoghi di incontro, aste o mercatini. Spesso vale la pena rispolverare i garage dei propri antenati, dove si potrebbe ancora trovare qualche bici d'epoca da poter rivalutare.

On Line

www.bicidepoca.com , sito dedicato agli appassionati di bici d'epoca e non solo ;

www.biciclassiche.com , il sito offre guide per il restauro, accessori e un calendario con tutti i mercatini e le mostre scambio ;

www.oldbici.it , sito dedicato alla restauro di bici d'epoca, telaio, fotografie, curiosità.





mercoledì 12 marzo 2014

Quella strana solitudine dei giapponesi.

Il Giappone, nonostante la lunga crisi economica, l'emergenza energetica innescata dal collasso atomico di Fukushima, e la tragedia
umana prodotta dallo tsunami, continua a destare una sensazione di straordinario benessere. Ogni cosa appare perfetta, tecnologicamente avanzata e organizzata in modo esemplare. Nessun altro luogo al mondo può competere per qualità dei servizi pubblici, pulizia e cura degli spazi collettivi. Nelle metropoli, negozi e ristoranti offrono il meglio che un consumatore possa trovare. L'attenzione ai dettagli e ossessiva. Nelle biglietterie dello Shinkansen, il treno-missile che ogni pochi minuti collega tutta la nazione, sul banco della biglietteria sono incollate tre strisce di carta. La prima, bianca, ringrazia il passeggero. La seconda, rossa, gli chiede se abbia dimenticato qualcosa. La terza, verde, lo prega di controllare un'altra volta di non aver lasciato nulla di suo.
E come se un invisibile entità collettiva si prendesse costantemente cura dell'individuo per renderli la vita meno sgradevole. Sulle pensiline delle stazioni, numeri verniciati sui marciapiede, segnalano il punto esatto in cui si fermerà ogni porta di ogni carrozza. La gente aspetta ordinatamente, seguendo le indicazioni di assistenti in divisa.
Nei bagni pubblici, profumati e lindi, ogni wc offre una mensola per appoggiare la borsa, un gancio per appendere l'ombrello e una gruccia per liberarsi del soprabito in modo igienico. Il governo ripete che i giapponesi devono ridurre i consumi energetici di un terzo, se davvero non vogliono che le 54 centrali atomiche riaccendano i reattori.
Le automazioni però resistono, poche scale non sono mobili e i neon illuminano a giorno la notte in tutte le città. I gabinetti restano elettrici : la tavoletta e riscaldata, il copri-tazza si alza e si abbassa al comando di una fotocellula, tre pulsanti azionano livelli differenti di spruzzi d'acqua e un phon provvede infine ad asciugare le parti intime.
Mezzo secolo fa il paese, distrutto dalla guerra, era tra i più poveri e arretrati della terra. Oggi è il simbolo della qualità. Offre la tecnologia più avanzata ma pure i giardini più curati. Il tè, il riso, il pesce, i frutti di mare e gli ortaggi biologici non hanno competitori credibili. La carne è lo specchio della determinazione nazionale all'eccellenza. Fino a un secolo fa era pressoché sconosciuta. Qui la terra è poca, i pascoli scarseggiano, la popolazione alleva le mucche necessarie al latte per i bambini. Oggi i manzi giapponesi, in varie prefetture, sono i migliori al mondo : costano come una Ferrari, ma la bontà delle bistecche locali e effettivamente fuoriserie.
Com'è stato possibile, dalla carne all'auto, dal wc alle ostriche, passare tanto rapidamente dalla depressione al primato? Il segreto, spiega la gente, è stato un prodigioso mix di disciplina, sacrificio, dedizione totale al lavoro, determinazione a far carriera, voglia di guadagnare molto, attitudine al risparmio e a una certa sobrietà nei consumi privati. I giapponesi, per decenni, sono stati cioè simili al profilo attuale dei cinesi, o a quello degli italiani nel dopoguerra.
L'uso delle ferie e del tempo libero è un esempio che aiuta a capire. Ufficialmente ogni lavoratore dispone di quattro settimane di assenza dal posto di lavoro. Nessuno però ne ha mai usufruito per più di una, o di nessuna. Restare assenti, viene tuttora considerato un vizio, arresta le promozioni e preclude la carriera. Anche il sabato è libero solo in apparenza. Va in realtà trascorso, come le serate nei karaoke, con colleghi e superiori, giocando a Golf o facendo il bagno negli "onsen", per parlare di lavoro.
Il Giappone ieri e la Cina oggi, si sono strutturati come un'immensa impresa, simile a uno Stato-SpA, unito nella tensione esclusiva al lavoro e alla competitività. Poi qualcosa, come in Italia, si è rotto. I giapponesi, diventati ricchi e concentrati nelle metropoli-stabilimento, vanno in ferie, hanno smesso di fare figli e si sono trasformati in un popolo di vecchi.
Le persone possiedono molto, ma sono sole e rivedono lo spettro della povertà. Capita spesso che anziani, isolati in casa, vengano trovati morti di fame dopo mesi. Gli adolescenti, privi di amici, a scuola mangiano chiusi nel wc, perché si vergognano di apparire soli.
Il Giappone comincia a riflettere: la Cina no, ancora non ci pensa.

Giampaolo Visetti


sabato 8 marzo 2014

Orizzonte rosa. 8 domande per l'8 marzo.

Bisognerebbe chiedere al professor Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale dell'Università di Firenze, se l'8 marzo le mimose si sentono diverse. Mancuso sostiene che l'intelligenza è una proprietà di tutti gli esseri viventi, vegetali compresi. Personalmente qualche dubbio ce l'ho, (anche l'imbecillità è molto diffusa), ma che le piantine di mimosa pudica, e non soltanto quelle, imparino, ricordino, dormano e giochino mi mette addosso una grande allegria.
Chiederei a Giovanni, che è orgogliosissimo dei suoi baffi a manubrio all'insù ed è l'unico vero contadino che abbia mai conosciuto, come si fa ad essere eleganti facendo un innesto, furbi piantando un albero e gentili potando una siepe. Giovanni è uno che sbaglia, (o inventa), molte parole: ti racconta, per esempio, che un suo amico "ha avuto un infausto cardiaco" o che "in tv c'era Pippo Baldo", ma quando ti racconta dei suoi incontri nei boschi con strane creature capisce da dove è arrivato Pinocchio.
Alle feste in campagna di quando ero bambino, racconta "mio papà ballava il valzer tenendo un "cabarino" di bicchieri in testa". Una mattina l'ho visto che scuoiava un capriolo. La storia non passa mai del tutto. E mai per sempre.
Al dottor Silvestro Micera, dell'Istituto di Bio Robotica della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, che tra qualche mese trapianterà ad un ragazzo una mano artificiale in grado di rispondere ai comandi del cervello, e soprattutto di provare sensazioni tattili, chiederei quale sarà in futuro il confine tra uomo e macchina; e se, oltre ad arti bionici, avremmo sensazioni bioniche. Sarà più umano un cervello collegato ad un corpo artificiale o un corpo umano comandato da un cervello bionico?
Mi piacerebbe domandare a Giorgia Conversi e Paolo Gonzato della Elastico Srl che cos'è una storia. Hanno realizzato due stupendi libri-app per iPad e iPhon : Pinocchio ($ 2,99), che meraviglia allegra, e The voyage of Ulysses ($ 3,99, anche in italiano), che permette di fare tantissime cose: incendiare Troia, accecare Polifemo, "navigare sul mare color del vino verso genti straniere" e miscelare la pozione della maga Circe.
È bello vedere un bambino che legge l'Illiade su un telefonino. Le storie, e l'arte in generale, possono essere ascoltate all'infinito.
A Bianca Maria, che lavora in una clinica di chirurgia estetica, chiederei se secondo lei esiste un paradiso di nasi, tette e culi dismessi. Al più grande intagliatore di impugnature per bastoni da passeggio, un signore anziano che vive in un paese del piacentino e passa la vita a scolpire seduto sulla soglia di casa, domanderei che cos'è oggi il tempo.
A Theo Jansen, uno scultore olandese che realizza giganteschi animali immaginari semovibili di legno, domanderei che cos'è il movimento.
A uno che lavora in tv chiederei se avevano ragione Enrico Berlinguer e Ugo La Malfa a opporsi alla tv a colori. Mi risponderebbe che da quel
momento non si è più capita la differenza tra reale e immaginario, e la tv da luogo dell'eccellenza si trasformò nel contenitore della normalità.
Alle decine di persone potenti e famose che ho incontrato, domanderei se non abbiano mai avuto il dubbio che ritenersi al centro del creato sia una forma di stupidità.
Le persone interessanti sono tantissime. Quelle famose pochissime. La terra è popolata di uomini e donne che hanno risposte se soltanto glì si facessero domande. La vita è un posto grande e originale. Notorietà, ricchezza e potere non sono mai criteri sufficienti a decidere dove guardare e che cosa ascoltare.
Come scrisse Jules Les Jour, il regista francese: "La fama è una lampada che illumina, e intanto nasconde".


Giacomo Papi

martedì 4 marzo 2014

Orizzonte rosa. Figli ? No, grazie.

Ha fatto scalpore nei mesi scorsi la copertina di Time che ritraeva una
coppia di sposi beatamente distesa al sole su una spiaggia caraibica. Sopra di loro campeggiava il titolo: "quando avere tutto significa non avere figli". L'articolo metteva in luce i vantaggi di una vita "childfree", libera da figli. Di recente, anche alcune celebrities hanno affermato di non vedere la famiglia come una priorità: Scarlett Johansson non pensa affatto ai figli, soprattutto dopo il divorzio dall'attore canadese Ryan Reinolds.
Cameron Diaz, dopo aver interpretato una donna incinta in un film, ha dichiarato di essere rimasta "traumatizzata" dal pancione, che le impediva persino di sedersi. La giornalista Natalia Aspesi e altre donne famose hanno affidato le loro riflessioni è un libro, intitolato "Perché non abbiamo avuto figli".
C'è chi ha parlato di una nuova moda e chi, invece, sostiene che le donne reticenti al pancione ci siano sempre state, ma non uscivano allo scoperto per paura di essere disapprovate. Il punto e' che avevano ragione : la società in cui viviamo fatica ad accettare chi fa scelte diverse dalla maggioranza e tende a condannare, prima di sapere.
D'altra parte, oggi fare outing è più facile, perché le motivazioni non mancano: c'è la crisi, i figli costano, la famiglia tradizionale non è più un valore da perseguire. L'idea che la procreazione sia una scelta libera e consapevole, e non un destino ineluttabile a cui il genere femminile è predestinato dalla nascita, affonda le sue radici negli anni 30, quando la filosofa Simone de Beauvoir scandalizzò il mondo affermando che la maternità non è l'unico mezzo di realizzazione di una donna.
Chi desidera una famiglia numerosa o ha già provato le gioie della maternità, ritiene che una vita senza figli non sia "childfree", cioè all'insegna della libertà, ma "childless", cioè segnata dalla frustrazione e da un senso di vuoto, (in inglese "less" indica sempre una privazione).
Ma anche in questo caso è bene non essere troppo estremi. "La questione non è se una donna possa essere definita tale solo con un bebè in braccio, ma se questa scelta la rende davvero felice e appagata", spiega la dottoressa Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale a Firenze e provincia. "La scelta di avere o non avere figli risponde a esigenze del tutto personali, non misurabili secondo criteri oggettivi. Pertanto, non può essere etichettata a priori come giusta o sbagliata".
Smontiamo il mito della mamma per natura. La maternità è un progetto di vita, non una "chiamata" dall'alto. L'istinto materno non è un interruttore che si accende in automatico. L'orologio biologico non suona a un orario prestabilito, come la sveglia del mattino. Sarebbe troppo facile se l'organismo femminile fosse programmato per la maternità.
Ogni donna, invece, diventa mamma con tempi e modalità diverse e imprevedibili. Anche il desiderio di accudimento è un concetto sopravvalutato : a volte nasce in modo spontaneo, in altri casi affiora più lentamente perché una serie di fattori, alcuni dipendenti dalla donna e altri no, possono ostacolarlo o rallentarlo.
Per disinteresse. Spesso, e non c'è da vergognarsi, è una scelta dettata dal disinteresse per i bambini o da convinzioni radicate, di tipo culturale o religioso.
Per dedicarsi al lavoro. Sono sempre di più anche le donne che scelgono di dedicarsi completamente alla professione, perché consapevoli che una vita in carriera sarebbe inconciliabile con i ritmi familiari.
Per motivazioni profonde. In alcuni casi il rifiuto della famiglia può nascere dalla paura di rivivere un passato doloroso o di ripetere errori commessi dai genitori, dall'ansia di non essere all'altezza del ruolo genitoriale.
Per paura di perdere autonomia. Anche il timore di perdere i propri spazi o di subire una deformazione fisica con la gravidanza giocano spesso un ruolo determinante.
Per insoddisfazione di coppia. In altre parole, la donna non disdegna l'idea di una gravidanza, ma non desidera condividere questa esperienza con l'uomo che ha accanto. In questo caso, è bene indagare il problema.
Se per alcune donne ammettere di non volere figli non è un problema, per altre è più difficile, sia con se stessi sia con gli altri. "L'incertezza e il turbamento subentrano nel momento in cui ci si rende conto che il proprio ideale di vita non corrisponde al modello proposto dalla società", continua la psicologa. "E' allora che scatta la paura di non essere normali, cioè conformi al pensare comune. Questo dimostra che, ancora oggi, le donne non si sentono libere di scegliere il loro ruolo nella vita, perché qualsiasi decisione prendano in contrasto con i dettami della società viene criticata".
"Molte scelte femminili attinenti all'essere madre, per esempio riguardo l'allattamento al seno, il parto, l'educazione dei figli", prosegue la dottoressa, "vengono giudicate strane semplicemente perché non condivise dalla maggioranza. E poi c'è il senso di colpa : verso una mamma che desidera tanto dei nipoti, verso un partner che non aspetta altro che diventare papà, verso una sorella che non può avere figli, ma li desidera tanto… La paura di deludere i propri cari può impedire di essere onesti con se stesse".
È importante che la rinuncia sia una decisione sincera e non il riflesso delle volontà altrui. "Talvolta è lui a non volerne, specialmente se ha già dei figli da una precedente relazione", afferma la dottoressa Bortolotti. "Bisogna però valutare con molta attenzione l'idea di rinunciare un progetto di vita per amore dell'altro. Ci sono tante donne che scelgono di non avere gravidanze e portano avanti questa decisione senza rimpianti. Ma ce ne sono anche molte altre che finiscono per pentirsene".
Assistere alla fatica quotidiana di amiche e colleghe alle prese con l'accudimento della prole non aiuta. “Molte donne sono restie a diventare madri perché sono spaventate dall'idea di sobbarcarsi il peso del doppio lavoro, fuori e dentro casa”, conferma l'esperta. “Non sempre le future mamme sono pronte ad affrontare i cambiamenti che questo evento comporta”.
La vita riserva sempre delle sorprese : non è raro che donne che non volevano legami improvvisamente cambino idea in seguito a incontri o eventi che favoriscono scelte diverse. Al momento dell'incontro con un nuovo partner, si può avere voglia di mettere le mani avanti, dichiarando subito la propria posizione sul tema "figli".
"È meglio mettere in comune i propri punti di vista sull'argomento. Con elasticità e apertura al cambiamento, è possibile che certe posizioni, prima irrinunciabili, vengano messe in discussione", sottolinea la psicologa. "L'importante è che la decisione venga da dentro e che non sia forzata".
E poi conclude: "non dimentichiamo i rischi di una maternità non desiderata, per se stessa, la coppia e i figli. Il pericolo è quello di andare incontro a un "disinvestimento emotivo", cioè all'incapacità di creare una relazione proficua e sincera con il bambino.
Accettare di provare dei sentimenti contrastanti può essere il primo passo per trovare un giusto equilibrio che gioverà a tutta la famiglia".

Roberta Camisasca


sabato 1 marzo 2014

Modi di dire 19.

Si dice . . . “ andare in solluchero “

L'espressione popolare “andare, (o mandare), in solluchero” è scherzosa e descrive la sensazione di intimo, grande godimento che si prova nel vedersi soddisfatti nei propri desideri o anche stuzzicati nella propria vanità, nel sentirsi lusingati. L'origine del termine, che viene utilizzato in pratica soltanto in queste locuzioni, deriva da un verbo popolare toscano, “sollucherare”, che a propria volta trae origine dall'antico “lucherare”, che vuol dire “strabuzzare gli occhi per la gioia”.


Si dice . . . “ stare freschi “

L'espressione ironica “stare freschi” vuol dire trovarsi nei guai, navigare in cattive acque per il determinarsi di una certa situazione. L'origine probabile del motto è letteraria e si riferisce a due versi del XXXII canto dell' Inferno de “La Divina Commedia” : “Io vidi – potrai dir – quel da Duera là dove i peccatori stanno freschi”. Li pronuncia Bocca degli Abati che si trova, come gli altri traditori della patria, conficcato nel ghiaccio del lago di Cocito. Egli invita Dante a fare il nome di Buoso da Duera, traditore di re Manfredi di Svevia. Come si vede l'ironia è già nel poeta.


Si dice . . . “ prendere per i fondelli “

L'espressione vuol dire prendere in giro, raggirare, turlupinare qualcuno. La locuzione, che ha origine francese, si riferisce ai fondelli che sono i pezzi di stoffa utilizzati, specie in passato, per rinforzare o rattoppare i punti di maggiore usura degli abiti, in particolare il fondo dei pantaloni. L'immagine è in questo caso allusiva, (in riferimento al più volgare “prendere per il culo”), e ben fotografa un gesto di mancanza di rispetto per la dignità, e in senso figurato per la buona fede della persona.


Si dice . . . “ avere l'argento vivo addosso “

L'espressione “avere addosso l'argento vivo” o “essere un argento vivo” indica qualcuno che abbia tale vivacità e brillantezza di carattere da raggiungere l'irrequietezza. L'espressione “argento vivo” è un antico modo di definire il mercurio (Hg), il metallo dal color argenteo che a temperatura ambienta si presenta in forma liquida e sembra animato di vitalità propria. Inoltre, gli antichi alchimisti erano persuasi fosse uno degli elementi primordiali e che, con opportuni trattamenti, avesse la capacità di trasformarsi in diversi altri metalli tra cui l'oro.


Si dice . . . “ tra il lusco e il brusco “

L'espressione di origine tosco-emiliana, ma diffusasi anche in altre parti d'Italia, fa riferimento a quei momenti di penombra o di crepuscolo che precedono l'alba, oppure successivi al tramonto, in cui la luce è incerta e i contorni delle cose appena percepibili. La locuzione indica in senso figurato una situazione vaga e confusa, difficile da decifrare, o anche un'espressione del viso indefinibile, tra il benevolo e il severo. L'etimologia dei termini rimanda al latino : luscus stava per guercio, orbo di un occhio, e bis-luscus voleva dire completamente cieco.


Si dice . . . “ avere le ginocchia che fanno Giacomo Giacomo “

Vuol dire avere la tremarella per stanchezza o paura. C'è chi fa risalire l'espressione alla rivolta dei contadini francesi nel XIV secolo in cui i rivoltosi, (che vestivano la jacque), venivano definiti Jacques bonhomme, “Giacomo il semplice”, e accusati di vigliaccheria. Per altri si tratta di onomatopea : “giac-giac” riproduce il suono delle articolazioni che tremano. Una terza versione si rifà invece al lungo cammino dei pellegrini verso San Giacomo di Compostela e alle preghiere al santo per vincere la stanchezza.


Si dice . . . “ per un punto Martin perse la cappa “

Questo antico detto si usa per sottolineare che a volte basta poco per trasformare un successo o un progetto ben meditato in un fallimento. Il motto deriva da un aneddoto del Medioevo. Martino, abate di Asello, volle sulla porta del suo monastero un'iscrizione in latino : “Porta patens esto. Nulli claudaris honesto”, (Porta resta aperta. Non chiuderti a nessun uomo onesto). Ma chi eseguì il lavoro sbagliò la posizione del punto : “Porta patens esto nulli. Claudaris honesto”, (Porta, non restare aperta a nessuno. Chiuditi all'uomo onesto). Così scritta la frase destò scandalo e Martino perse la cappa di abate.


Si dice . . . “ fare le cose alla Carlona “

L'espressione significa agire alla buona, senza particolare cura e con molta approssimazione. Più anticamente, (il modo di dire è attestato nella letteratura italiana sin dal XV secolo), si diceva “fare le cose alla maniera del Re Carlone”. Il quale altri non è che Carlo Magno, (742-814), che nei poemi cavallereschi più tardivi è descritto come uomo semplice e alla buona e che anche dopo l'incoronazione a Imperatore del Sacro Romano Impero, (che avvenne il 25 dicembre dell'800), non rinunciò mai alle sue abitudini un po' grezze e ai suoi abiti piuttosto grossolani.


Si dice . . . “ fare come i capponi di Renzo “

L'espressione “fare come i capponi, (o i polli), di Renzo” significa azzuffarsi inutilmente in una situazione disperata. I capponi del detto sono i 4 pennuti descritti da Alessandro Manzoni, (1785-1873), nel 3° capitolo de I promessi sposi. Li reca a mano, a testa in giù, Renzo Tramaglino come dono al dottor Azzecca-garbugli così da avere udienza e aiuto per i suoi problemi. E pur in quella posizione le povere bestie “si ingegnavano di beccarsi l'un l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura ”. Lo stesso commento dell'autore dà significato all'immagine.

Si dice . . . “ cavalcare la tigre “


L'espressione significa gettarsi in un'impresa assai difficile pur capendo i rischi e a condizione di non rinunciare fino al raggiungimento dell'obbiettivo, pena guai ancora maggiori. L'immagine, che deriva da un antico detto cinese, è molto incisiva in quanto la tigre per la sua forza e la ferocia è un animale temibilissimo e quindi cavalcarlo è impresa rischiosa. Tuttavia, recita il moto cinese, è ancora più pericoloso scendere dalla groppa del felino, in quanto si andrebbe incontro a morte quasi certa. E dunque meglio resistere nella pur scomoda posizione.