I
critici del libero mercato asseriscono che la sovranità del
consumatore è fittizia, perché le preferenze espresse nel mercato
sono ottenute artificialmente mediante strumenti di persuasione
occulta quali, in primo luogo, la pubblicità. Essi ne deducono, il
più delle volte, la necessità di un maggior intervento statale
nell'economia, per consentire la soddisfazione delle genuine esigenze
del pubblico.
L'argomento
della manipolazione costituisce, tuttavia, un boomerang: lungi dal
centrare il suo bersaglio d'elezione, (il mercato), esso si ritorce
contro l'alternativa proposta dai critici, la democrazia. È vero,
naturalmente, che l'informazione del consumatore è lungi dall'essere
perfetta. Egli non conosce, infatti, tutte le caratteristiche di un
articolo prima di averlo acquistato, (intendo parlare, ovviamente,
delle caratteristiche per lui significative, giacché è evidente
che, anche dopo l'acquisto e il consumo, egli non conoscerà tutte le
caratteristiche dell'articolo nel senso letterale), anche se dispone
- già in questa fase pre-sperimentale - di alcuni dati minimi non
accessibili all'elettore democratico, (egli può rendersi conto, ad
esempio, di svariate caratteristiche di un'automobile - come la
carrozzeria, la spaziosità e quantomeno a livello superficiale, le
prestazioni - prima ancora dell'acquisto).
Ed
è vero, altresì, che l'imprenditore può beneficiare di questa
ignoranza primaria e del conseguente, inevitabile scarto, fra
preferenze ex
ante
e preferenze ex
post.
In virtù della concorrenza permanente, tuttavia, il consumatore è
in grado di contenere il divario fra preferenze ex
ante
e preferenze ex
post,
entro dimensioni insufficienti al conseguimento di un profitto da
parte dell'imprenditore. La continuità della concorrenza permette
infatti al consumatore, di sperimentare ad libitum
le alternative in lizza, (minimizzando le scelte necessarie
all'emergenza di preferenze ex post), e di frazionare ad
libitum
le sue scelte, (massimizzando le scelte necessarie al conseguimento
di un profitto da parte dell'imprenditore).
Il
profitto è agganciato così a una continua reiterazione delle
preferenze del consumatore di modo che, nel caso di una produzione
apparentemente ottimale ma effettivamente sub-ottimale, il flusso
delle preferenze si bloccherebbe assai prima di questa reiterazione.
Un'impresa di mercato non ha quindi alcun interesse a bluffare,
mettendo in atto politiche disoneste verso i consumatori, come ad
esempio persuadere i consumatori a comprare un prodotto scadente,
grazie a una massiccia campagna pubblicitaria.
Anche
se un certo numero di consumatori fosse convinto dalla pubblicità a
sperimentare un prodotto scadente, il bluff sarebbe ben presto
smascherato e le vendite cesserebbero. Ora, è assai difficile che
poche vendite iniziali, possono compensare i costi dell'investimento
e del lancio, nonché i costi in termini di reputazione. È ancora
più difficile, naturalmente, che esse siano sufficienti a conseguire
un profitto.
Poiché,
d'altra parte, la concorrenza democratica è una concorrenza fra
progetti, anziché una concorrenza fra prodotti, l'elettore non
fruisce neppure di quel minimo di dati di cui fruisce un consumatore
in procinto di acquistare un'automobile. Come abbiamo già visto,
poi, le sue informazioni sulle alternative in lizza, oltre ad essere
minime in ogni caso, tendono a disperdersi piuttosto che ad
accumularsi. Ne consegue che la scelta dell'elettore democratico
tende ad essere, sostanzialmente, una "scelta al buio".
Inoltre,
tale scelta è forzatamente concentrata sia per quanto concerne i
suoi oggetti, (l'elettore non può scegliere, a sua discrezione,
tutti gli articoli che lo interessano, ma è costretto a scegliere
fra alcune - in genere, due o tre - linee politiche, che contengono
altrettanti pacchetti di posizioni sui temi più disparati), sia per
quanto concerne la sua entità e la sua durata, (votando per un
candidato, l'elettore deve subire la sua leadership fino alla
successiva elezione e deve "consumare" lo stock
indivisibile di politiche, che quel candidato realizzerà durante il
suo mandato), sia per quanto concerne gli stessi elettori, (anche se
formulata dalla sola maggioranza, la scelta democratica coinvolge
necessariamente tutti gli elettori, e anzi tutti cittadini, inclusi
coloro che non votano e coloro che non possono votare).
Conseguentemente,
l'elettorato non è in grado di quantificare le proporzioni della sua
scelta al buio. Il che significa che il voto
democratico
è la "firma al buio di una cambiale in bianco".
Contrariamente
a un imprenditore di mercato, quindi, un politico ha tutto
l'interesse a bluffare. Nella misura in cui non dispone ancora - o
non dispone più - del potere e può solo fare promesse, egli ha
tutto l'interesse a compiacere il pubblico con le sue promesse,
(l'alternativa soddisfazione-deroga si configura, a questo punto sì,
come un'alternativa fra profitto e non profitto).
Ma,
nella misura in cui ha acquisito il potere, egli non ha più
interesse a soddisfare il pubblico. L'alternativa
soddisfazione-deroga si pone ora per lui in termini diversi, vale a
dire come un'alternativa fra profitto futuro e profitto presente, di
modo che egli ha più da perdere che da guadagnare, dal mantenimento
delle sue compiacenti promesse.
D'altra
parte, una sola manifestazione di preferenza in suo favore - in una
competizione in cui analogamente agli altri concorrenti, non deve
esibire prodotti ma solo progetti - è sufficiente a un politico per
ottenere un potere coercitivo, virtualmente illimitato per la durata
di un mandato. Quand'anche, pertanto, lo smascheramento del suo bluff
pregiudichi le sue chances
nella mano successiva, egli può scrivere qualsiasi prezzo sulla
cambiale in bianco firmatali nella mano precedente e gli elettori non
possono esimersi dal pagarlo.
Riccardo La
Conca da “Democrazia, mercato e concorrenza”