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domenica 25 dicembre 2016

Buon Natale a tutti, anche ai ristretti.

"Cari amici, anno duro per gente dura. Ma comunque c'è l'abbiamo fatta lo stesso, siamo ritornati a Natale e di tutto cuore vi auguro che sia sereno e felice, per Voi e per i Vs. cari.
Dal canto mio mi auguro che continuerete a leggermi come avete sempre fatto fino ad ora, il crescente numero dei contatti me lo testimonia, e mi impegno a darVi sempre i contenuti migliori e più interessanti.
Ho l'onore di avere dei collaboratori di tutto rispetto che tutti insieme contribuiscono ad innalzare la qualità di questo fantastico contenitore, soprannominato Blog, e ringrazio DIO che ci da l'opportunità di scrivere e leggere al di là di clientele, interessi più o meno occulti e di bottega.
Grazie di cuore a tutti Voi e oltre al Buon Natale si aggiunga anche l'augurio di un formidabile anno nuovo 2017.
Ed ora, visto che gli auguri sono rivolti proprio a tutti, riprendiamo integralmente il testo della lettera aperta di Danilo Fiumara, imputato in attesa di giudizio, così come è stata pubblicata dal sito web "L'IndYgesto". Cogliamo l'occasione per fare i migliori auguri di buone feste a Fiumara e a chi vive, come lui, situazioni difficili".


Ci ha scritto Danilo Fiumara, un 47enne di Francavilla Angitola, in provincia di Vibo Valentia. Fiumara, imputato nel processo Overing, ha ricevuto di recente una misura di sicurezza, la sorveglianza speciale con obbligo di dimora nel Comune di residenza, che gli impedisce di lavorare come cuoco nel locale che ha aperto nella vicina Pizzo. Gli appassionati delle cronache calabresi sanno già che Fiumara ha una condanna ai sensi dell'articolo 416bis del codice penale (associazione a delinquere di stampo mafioso). Lui, tuttavia, non nega gli addebiti: «Ho pagato quel che dovevo alla società», ci scrive nella e mail di accompagnamento alla lettera aperta che state per leggere, «perché ora non posso fare qualcosa di utile, legittimo e pulito per me e per i miei figli?». Certo, aggiunge, «rispetto le scelte di tutti e prima di giudicare invito tutti a immedesimarsi nelle vicende di chi ha percorso e percorre determinate strade per mancanza di alternative. Ecco, io cercavo di costruire la mia». Nei quotidiani, quando si pubblicano missive così delicate ci si limita a un secco e rituale: "riceviamo e pubblichiamo". Noi aggiungiamo: leggete e meditate. Con la stessa serenità, si spera, con cui l'abbiamo fatto noi.


Cari concittadini,
Uso l’espressione in senso ampio e mi riferisco a chiunque possa leggere queste righe, perché, a prescindere dai miei errori (virtuali e reali, accertati e falsi), mi sento un cittadino come tutti gli altri e, nonostante tutto, nutro fiducia nelle istituzioni.
Mi rivolgo, soprattutto e ovviamente, all’autorità giudiziaria perché qualcuno ascolti il mio appello: non chiedo favoritismi e non mi permetterei neppure di invocare pietà o di invocare il residuo garantismo della nostra cultura civile. Me lo impedisce il senso di dignità che ho sempre coltivato, anche nelle situazioni più avverse, anche nei momenti più bui del carcere duro, un’esperienza che non auguro a nessuno.
La dico tutta: sono un mafioso perché una sentenza, con cui mi è stata irrogata una condanna ai sensi dell’articolo 416bis del codice penale, mi ha definito tale. Ho accettato e scontato questa pena. Così come ho sopportato tutte le misure che negli anni mi sono state inflitte, anche quelle che poi sono risultate, a giudizio della stessa magistratura che me le aveva applicate, infondate.
Ripeto: nonostante tutto, credo di essere una persona coscienziosa. E non mi sono mai ribellato ai precetti dell’autorità.
Perciò vi chiedo il minimo di pazienza necessario a leggere e, se proprio volete, meditare quel che sto per dire.
Ho appena ricevuto una misura di pubblica sicurezza, l’ennesima in pochi anni. Chi si è trovato in guai simili ai miei mi capirà al volo: in gergo la si chiama “sorveglianza speciale” con obbligo di soggiorno. Detto altrimenti, non posso allontanarmi dal mio Comune di residenza, che è Francavilla Angitola, confinante con Pizzo. A Pizzo ho aperto un locale, grazie alla benevolenza dei miei familiari e dei miei suoceri (e non, sfido chiunque a dimostrare il contrario, con i presunti proventi di chissà che illeciti), nei confronti dei quali sono indebitato fino all’osso. Già: i soldi si prestano volentieri ai familiari in difficoltà, ma devono comunque essere restituiti perché non ci si può approfittare di chi ci vuole bene.
Ora, Francavilla dista da Pizzo solo due chilometri, ma a causa di questa misura è come se fossero duecento. È vero: la sorveglianza speciale mi è stata irrogata perché sto tuttora affrontando un procedimento giudiziario, nel quale, tuttavia, rilevo che i miei coimputati nel reato specifico contestatomi sono stati tutti più o meno prosciolti. Io gestisco un’attività pubblica per conto di mia moglie: faccio il cuoco e, a detta dei clienti, neppure tanto male. Ma ciò che più conta è che faccio tutto questo sotto gli occhi di tutti e che il locale che ho tirato su non è certo quel che si dice un posto equivoco.
Ecco, da ora in avanti non potrò più metter mano ai fornelli finché anche io non sarò prosciolto, esito sul quale io i miei legali siamo fiduciosi, oppure non mi sarà revocata la misura. E non credo che sia attività socialmente pericolosa, se non nei confronti di chi ha problemi di trigliceridi e di colesterolo, cucinare bistecche.
Al posto mio lo farà il ragazzo che mi ha aiutato in cucina e che, assieme a me, ha respirato i fumi delle piastre e delle griglie.
Morale della favola: si dice che le pene debbano aiutare il reo a redimersi. Me lo dissero quando ero sotto processo e l’ho letto nelle lunghe ore di carcere nei libri di Voltaire e Beccaria, che mi regalarono gli avvocati perché passassi il tempo imparando qualcosa di utile. Si dice che si debba sempre e comunque consentire alle persone il reinserimento nella società. Ed è quello che ho provato a fare e che per l’ennesima volta mi è stato impedito nei fatti.
Nel 2014 mi ero recato in Austria per rimettere assieme la mia vita, non per fare il latitante o gestire chissà che traffici. Anche lì avevo aperto un ristorante. Mi arrestarono e mi costrinsero a chiudere l’attività. Ho provato a rimettermi in piedi a Pizzo. E ora anche questa mia nuova attività lecita (ribadisco: cucinare bistecche è più pericoloso per me, visto che il medico mi ha fatto capire di dover perdere peso, che per gli altri) è a rischio.
Io ho 47 anni e tre figli e questo locale l’ho aperto soprattutto per loro. L’ho aperto perché la mia famiglia abbia un punto fermo, economico e morale. Perché, l’ho capito dopo anni di sacrifici, solo il lavoro duro, continuo e serio paga. E dà l’esempio.
Io pericoloso? Lo sarei se potessi andare in moto, perché a detta di qualche amico sono un potenziale pirata della strada. Ma anche guidare qualcosa di più potente di una bici in questa situazione mi è praticamente impossibile.
Chiudo con una battuta, che spero non sia fraintesa. Uno dei miei avvocati mi diceva che nell’antico diritto romano i processi, civili e penali, erano strutturati come scommesse: chi perdeva pagava perché aveva perso la sua scommessa. Mi permetto di scommettere anche io: se dovessi risultare colpevole al di fuori di ogni ragionevole dubbio di tutti i capi di imputazione che mi sono stati addebitati, sono disposto a pagare la mia pena e di più. Ma se non fosse così, chi mi restituirà l’ennesima occasione persa di riprendermi la mia dignità e restituirla al cognome che portano i miei figli?
Auguri di Buon Natale
Danilo Fiumara


Fonte l' Indygesto.it

sabato 17 dicembre 2016

Raccontare il male: Damiano Damiani e la mafia al cinema.

Titoli didascalici. Colori crudi, per rimarcare il senso di tristezza che pervade le storie. Personaggi piuttosto vivi, ma legati in maniera rigida a un ruolo. Ed ecco che il magistrato integerrimo e ingenuo convive col poliziotto non conformista, ansioso di giustizia e vendicativo. Ed ecco che i contrasti fortissimi tra le esigenze di verità dei puri, ciascuno a modo suo, e la corruzione esplodono sulla pellicola.
Sono le coordinate del cinema civile di Damiani Damiani.
Il regista friulano era approdato a questo genere particolare, molto in voga negli anni ’70, con il Giorno della Civetta (1969). E ne matura una propria personale lettura con il successivo Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica (1971). L’influenza di Leonardo Sciascia, seminale in tutto il filone, continua, anche in assenza di riferimenti diretti, perché Confessione resta un drammone siciliano pieno degli silemi del grande scrittore di Racalmuto: la difficile ricerca della verità, soffocata da una realtà ambigua, i personaggi ipercaratterizzati, in cui potere e corruzione si mescolano in maniera indistricabile, come se l’uno non potesse esistere senza l’altra. Ma, a differenza degli altri grandi autori (Petri, Rosi ecc.) che pure si cimentarono con la narrazione sciasciana, Damiani mantiene una dimensione più popolare, che sarebbe esplosa in tutto il suo potenziale un decennio dopo ne La Piovra.
Infatti, in Confessione la suggestione letteraria - che comunque c’è, sebbene in sottofondo - cede il posto alla cronaca. E Damiani racconta la Sicilia di allora: quella, per capirci, in cui i sindacalisti venivano falcidiati come mosche, in cui l’ombra del sospetto non risparmiava neppure i vertici della magistratura, in cui la lotta per la giustizia era un affare per solitari Don Chisciotte.
Il 5 maggio 1971 cadono sotto i colpi dei sicari (stando alle dichiarazioni intercettate a Totò Riina in carcere, tra gli esecutori ci sarebbe stato Bernardo Provenzano) Pietro Scaglione, il procuratore capo di Palermo, e il suo agente di scorta Antonino Lo Russo. È l’esito tragico della carriera importante e difficile di un magistrato che si era occupato dei casi più complicati della storia dell’isola. Scaglione è stato riabilitato nell’ultimo decennio, ma, prima di morire, è stato uno dei magistrati più criticati e malvisti da una certa opinione pubblica di sinistra.
Nel film di Damiani gli esperti hanno voluto cogliere un riferimento anche a lui, visto che il personaggio del procuratore distrettuale Malta (interpretato da Claudio Gora) gli somiglierebbe sin troppo.
Il 1971 è anche l’anno in cui il sacco di Palermo, cioè la cementificazione selvaggia dei quartieri storici della città raggiunge l’apice, sotto le giunte Dc guidate da Vito Ciancimino. La ricostruzione storica e giudiziaria del periodo avrebbe confermato ciò che si sapeva e che parte della stampa, soprattutto L’Ora di Palermo, aveva già rivelato: l’iperattivismo edilizio era il risultato della convergenza tra potere politico, mafia e impresa.
Il 1971, infine, è l’anno in cui la mafia inizia a diventare una questione nazionale.
Logico che Confessione risenta del clima dell’epoca e lo riproponga.
Non raccontiamo tutta la trama solo perché il film di Damiani, nonostante i richiami violenti all’attualità, è un giallo e il finale dei gialli non si rivela. Se ne accenna quel che basta per incuriosire verso una pellicola che merita ancora di esser vista e meditata.
I protagonisti della vicenda sono Traini, un giovane procuratore (interpretato da uno smagliante Franco Nero, in quegli anni l’attore feticcio di Damiani) e il commissario Bonavita (un superbo Martin Balsam a cui dona tantissimo l’accento siciliano datogli dal doppiatore Arturo Dominici).
I due entrano in contrasto durante un’indagine su una strage compiuta da Michele Li Puma (il bravo caratterista Adolfo Lastretti), un ex killer di recente dimesso dal manicomio. Entrambi mirano a risolvere la brutta storia che, in apparenza, sembra solo la vendetta di un folle. Ma ciascuno a modo suo: il poliziotto sotto il pungolo di un’ansia di verità che lo spinge a forzare le regole, il magistrato con lo scrupolo del rispetto delle leggi. «Ma lei che farebbe se dovesse applicare una legge ingiusta?», chiede al riguardo Bonavita a Traini in una delle scene più belle.
I due protagonisti, in un clima di reciproca diffidenza, indagano sul palazzinaro Ferdinando Lomunno (a cui dà il volto Luciano Catenacci, uno dei più noti caratteristi dei ’70), un re del cemento in odor di mafia e legato alla peggiore politica. Esemplificativa di questo rapporto proibito è la battuta che Lomunno rivolge all’onorevole Grisi (il paffuto Giancarlo Badessi, volto notissimo delle commedie dell’epoca): «Non ti sta più bene? Dimettiti, passa all’opposizione: per uno come te che se ne va ne troviamo altri tre».
La vicenda si dipana tra colpi di scena che portano a un finale tragico e aperto che lasciano lo spettatore pieno di dubbi e di indignazione.
Sullo sfondo, una Palermo grigia e triste, dove gli spaccati di vita popolare danno il ritmo alla narrazione, scandita dalla musica drammatica di Riz Ortolani.
Il poliziotto e il magistrato, nel loro rapporto burrascoso, rappresentano due estremi: la sete di giustizia che sconfina nel desiderio di vendetta, che arriva ed è amara, e il rispetto del diritto, che può tradursi in impotenza («Conduca pure l’indagine», dice Malta a Traina, «ma con prudenza»). E la verità diventa disillusione in una frase di Traina: «Ma se davvero è così, come può la gente credere nelle istituzioni?».

Un interrogativo ancora valido ancora su certe dinamiche dell’Italia profonda che, oggi come allora, indossa i pantaloni a zampa d’elefante. Le mode cambiano e tornano. I vizi rimangono. Nell’era delle fiction manca solo chi sappia denunciarli con l’efficacia appassionante di Damiani.

Saverio Paletta

Fonte l' Indygesto.it


sabato 10 dicembre 2016

Cosa resterà degli anni 80?

Secondo Paolo Morando, giornalista, scrittore e vicedirettore de Il Trentino, ci siamo addormentati alla fine degli anni ’70. Un sonno rapido e inquieto, da cui ci hanno destato gli spari dei terroristi e, per sfuggire a quei rumori terribili, ci siamo tuffati in altri frastuoni: quelli delle discoteche, che iniziavano a prendere piede come replica ingenua e provinciale di quel che capitava in America (che grazie alle gesta di Tony Manero tornava ad essere la terra promessa, come di lì a poco avrebbe cantato un imberbe Ramazzotti), del consumo e dell’edonismo.
Ma la sbornia del disimpegno sarebbe continuata per tutto il decennio successivo. A metà del quale, con raro acume critico, Stenio Solinas aveva già schizzato un dipinto corrosivo e ironico dell’Italia convertitasi al culto del privato nell’ormai quasi introvabile Mostri degli anni ’80. Giusto per dire che tra lo champagne, le griffe e i lustrini c’era più di qualcosa che non andava.
Con Dancing Days, edito da Laterza, nel 2009, Morando era riuscito a beccare in tempo utile il trentennale del riflusso. Ora, con il suo recente ’80. L’inizio della barbarie, uscito sempre per i tipi di Laterza, tenta di sincronizzarsi sul trentennale della fase “calda” degli ’80, in cui il costume e il malcostume dell’epoca avevano preso una forma compiuta, e, se possibile, di anticipare il quarantennale di quello che anche lui definisce «il decennio più lungo del secolo passato».
Missione riuscita? Sì. E non era una missione facile: la nostalgia canaglia, con la complicità della memoria selettiva che fa da palo, è dietro l’angolo e ci frega sempre. Perciò gli anni ’80 sono i paninari, Madonna, l’elettropop dei Duran Duran, che aggiornarono in maniera contraffatta il mito dei Beatles. Gli anni ’80, ricorda ancora Morando, sono gli anni del lusso per tutti, dei giocattoli innovativi (alzi la mano chi non ricorda l’Allegro Chirurgo, il Cubo di Rubik e i videogame di massa, che anticiparono il boom dell'informatica con i Commodore, gli Atari e lo Spectrum), dei telefilm (e qui scendono i lacrimoni: Il mio amico Arnold, Magnum P.I., Supercar, A-Team e via ricordando) con cui l’emittenza privata insidiava il monopolio della Rai.
Ma gli anni ’80, ammonisce infine Morando, sono anche il decennio in cui gli istinti più bassi e fino ad allora repressi della società italiana emergono di botto. Ed ecco che, tolta la carta dorata, ci si accorge che il cioccolatino era un po’ tossico. Anzi, tolto il tappo, ci si accorge che il liquore (sì, avete capito, quello dello spot Milano da Bere, del compianto Marco Mignani) era un po’ adulterato. In senso metaforico, va da sé.
Ed ecco che ’80 dipana sotto gli occhi del lettore una trama costruita a mo’ di inferno dantesco: dai primi conati antimeridionali, propugnati dalle lighe - in particolare quella veneta - non ancora Lega, alle pulsioni razziste contro la prima ondata migratoria dei vù cumprà, il libro è una discesa negli inferi dell’inconscio collettivo italiota, finalmente libero di esprimersi al meglio, cioè al peggio.
Per capirci meglio: non che certe cose - il qualunquismo, gli atteggiamenti beceri, la volgarità, l’individualismo amorale al pari del familismo, l’ignoranza esibita come cifra stilistica - non fossero parte integrante del nostro costume, prima. Ma, se si è ben compreso il pensiero di Morando, questo becerume era tenuto a distanza dal linguaggio pubblico. Gli anni ’80, per capirci ancora meglio con un esempio, sono gli anni in cui il non sono razzista ma, inizia a diventare sono razzista punto. E questa gioiosa corsa all’estremo vale per tutti i complessi fattori della vita sociale.
Ad esempio, le mode giovanili: l’irruzione dei paninari su una scena dominata fino a qualche anno prima dalle tribù politicizzate (i fascisti, i comunisti, gli indiani metropolitani, gli autonomi ecc.) cambia il paradigma. Sempre in peggio, perché la vacuità dei riti di aggregazione spinge più giù. E non è detto che la dinamica, in questo caso, sia del tutto spontanea. Anzi. Non a caso, Morando tira fuori dal box di quei particolari effetti speciali che solo una memoria molto lucida può realizzare, tale Davide Rossi. Personaggio interessantissimo, che fu negli ’80 l’ideatore de Il Paninaro, rivista cult dei galletti dell’epoca, Rossi è riapparso nel 2009 come superlobbista, legato politicamente a Gabriella Carlucci, allora deputata del Pdl, come autore di una proposta da tradursi in legge che avrebbe mirato a limitare l’uso del web. Fin troppo facile l’ironia di Filippo Facci (l’anti Travaglio che demolì Di Pietro) su di lui: «Il tuo passato è rintracciabile, ma non ti ha impedito di raggiungere incarichi da cravatta scura».
Ovviamente, non tutti sanno che tra Rossi, che scrisse per i paninari ieri sulla testata di Edifumetto (la casa editrice di Lando, del Tromba e delle pornovampire), e Facci c’è in comune Berlusconi. In senso politico per Rossi, in senso editoriale per Facci, già firma di punta del giornale e ospite occasionale degli studi Mediaset.
E qui veniamo a un altro punto piccante di ’80, che Morando sbriga con grande abilità, senza cadere nella trappola facile dell’antiberlusconismo: la cifra degli ’80, secondo l’autore, sarebbe stata il berlusconismo. O meglio, il berlusconismo mediatico, che fu alla base di una trasformazione importantissima nell’informazione di massa.
Un altro esempio per capire: prima, nei ’70, c’erano le tv e le radio libere, che si arrangiavano con pochi mezzi e in maniera amatoriale per strappare qualcosina al monopolio pubblico; dopo, a partire dagli ’80 e grazie alla geniale intuizione di Berlusconi arrivarono i network, che trasformarono l’emittenza libera in emittenza privata. Questo passaggio ha inciso sul costume in maniera spettacolare perché ha contribuito a sdoganare tutto ciò che la Rai, bacchettona nonostante l’avvento di Arbore e Boncompagni, teneva chiuso a chiave. Il berlusconismo politico, in questa particolare chiave di lettura, sarebbe stato la prosecuzione di quello televisivo. Cioè il tentativo di proseguire nell’Italia d’inizio millennio la mitologia mediatica degli ’80.
Nessuna dietrologia in tutto questo: i manipolatori ci furono anche prima (quanti, nei terribili ’70, cavalcarono l’onda dell’extraparlamentarismo per passare poi al sinistrese e approdare infine al politicamente corretto?). Cambiava la modalità: prima era l’ideologia, poi sarebbe stato il riflusso, oggi è il nichilismo prèt-a-porter. Fin qui nulla di nuovo, insomma.
Ma la morale di ’80 è chiarissima ed apprezzabile proprio perché è priva di preconcetti ed è animata da uno spirito critico sereno e da una robusta documentazione: l’Italia perse i freni inibitori in quel decennio. Allora il Paese smarrì lo spirito civico, la tolleranza e la solidarietà. Allora le barzellette che si raccontavano al bar di nascosto fecero capolino nei media e, da lì, tracimarono nel dibattito pubblico.
Ci si ferma qui. Perché il resto lo dice benissimo Morando.
Montanelli liquidò l’evoluzione (involuzione, se si preferisce) storica dell’Italia tra i ’70 e gli ’80 con una delle sue immagini efficacissime: fu il passaggio dagli anni di piombo a quelli di latta. Poi nei ’90 sarebbe arrivato il fango. E ora? Morando attenderà qualche altro anniversario per scriverne, o vorrà deliziarci con un libro di storia in progress bello come ’80?

Saverio Paletta



sabato 3 dicembre 2016

Autoerotismo.

Le idee sessuali, o desideri sessuali, che sorgono in un individuo quando è solo e non è influenzato dalla presenza del sesso opposto, sono dette auto-erotiche. Havelock Ellis dice che la masturbazione rappresenta soltanto una parte dei fenomeni sessuali, che dovrebbero essere raggruppati collettivamente sotto la voce "fenomeni auto-erotici" o fenomeni sorgenti nell'essere senza suggestioni dall'esterno.
La passione per il rapporto normale può venire anche sotto questa forma, quando sorge spontaneamente il desiderio di uno abituato al rapporto sessuale e separato temporaneamente dal suo compagno.
Il fantasticare costituisce una delle più semplici forme dell'autoerotismo. Si dice che questa semplice forma sia più comune nelle femmine che nei maschi; in questo sesso però non può raggiungere che una brama indefinita.
Le emissioni nel maschio, ed i sogni erotici con o senza orgasmo, (nella femmina, che non agli organi per la eiaculazione), sono anche detti polluzioni. Si tratta dei comuni "sogni umidi" che capitano normalmente al sesso maschile, dall'adolescenza al periodo matrimoniale, (ed anche dopo durante periodi di forzata astinenza); e dei corrispondenti sogni che si presentano nelle donne in piena maturità sessuale, qualora siano prive del soddisfacente coito. In tali condizioni queste auto-erotiche manifestazioni, non dovrebbero essere considerate anormali o innaturali.
Secondo il Dizionario medico illustrato americano di Dorland, la parola masturbazione è derivata dalla parola latina manus, ma l'uso della mano non è il solo metodo impiegato in tale atto. Frizioni di ogni specie, sia contro oggetti su cui uno siede o giace, ed anche con lo sfregamento fra le cosce della femmina, possono costituire masturbazioni nel senso più ampio.
In casi non usuali, l'orgasmo può venire spontaneamente per l'influenza di più alti centri, (pensiero), sui più bassi, (midollo spinale e corpuscoli genitali). Questa è talvolta detta "masturbazione psichica". Sono stati riportati casi di donne talmente sensuali, che solo la presenza di un uomo attraente causava loro l'orgasmo. Si dice che la masturbazione si verifichi dall'infanzia sino ad un'età piuttosto avanzata. Nei ragazzi è dovuta a qualche causa predisponente come una irritazione locale, e in tali casi l'eliminazione della causa eliminerebbe l'effetto.
Sono state accusate differenze significative circa l'insorgere della masturbazione, nei maschi e nelle femmine. Nei ragazzi, dalla pubertà all'età virile, ed oltre, tale pratica è generalmente di regola. Nelle ragazze si dice cominci più tardi e continui indefinitivamente, a meno che non venga sostituita da un soddisfacente coito.
La percentuale delle ragazze e donne giovani che cercano di soddisfare in questo modo ai compressi sentimenti sessuali, è minore di quella dei ragazzi e uomini giovani.
Tra i maschi c'è una tradizione che la masturbazione sia vile e possibilmente dannosa, e quest'attitudine aiuta la natura a considerare con un senso di vergogna e di colpa tale atto e a prevenirlo. Nelle donne, si dice che non vi siano tali tradizioni, e perciò nessun senso di vergogna e di rimorso esiste dopo. Forse questa è un'esagerazione, ma Ellis parla di un caso in cui una donna bene allevata e attiva in tutto, non si rese conto d'essersi masturbata per anni senza pensare di peccare, finché non lesse uno di quelli opuscoli ciarlatani, che richiamano la suggestione del diavolo nell'autosoddisfacimento. Il rimorso inutile così destato e tanto tragico quanto ingiustificato.
La concezione moderna circa la masturbazione praticata per desiderio di una cosa reale, contrasta spiccatamente con quella dei secoli XVII e XVIII. Ciononostante anche in anni recenti, e possibilmente anche ora, le cosiddette "autorità" avrebbero considerato la masturbazione come una malattia, attribuendola, ad esempio, ad una irritazione dell'uretra posteriore nel maschio.
Come materia di fatto, la masturbazione è in effetto una valvola di sicurezza, provveduta dalla natura stessa e non solamente per il genere umano, ma anche per molti tipi di animali inferiori. Anche i più reazionari ora ammettono che la pazzia e la causa e non l'effetto della masturbazione eccessiva.
Vi sono senza dubbio esempi in cui la masturbazione eccessiva causa danno, ma ciò interessa principalmente gli organi sessuali. Anche il mangiare eccessivo, l'esercizio eccessivo, il coito eccessivo danneggiano la salute. Certi individui, non possono resistere alla tentazione di bere o fumare eccessivamente, ma ciò non significa che non vi sia posto per l'uso temperato dell'alcool e del tabacco.
La masturbazione praticata moderatamente faute de mieux, (cioè non per preferenza, ma perché il coito pure intensamente desiderato, non può essere effettuato), non è cosa anormale, innaturale e nemmeno un'abitudine, non più di quel che sia il normale coito fra marito e moglie; è la semplice espressione di una urgenza biologica, e non dovrebbe essere condannata poiché non è nociva.
Solamente quando venga praticata in eccesso, presenta una base patologica che necessita di cure.


Lombard Kelly

lunedì 21 novembre 2016

Il Black Friday contagia tutta Europa.

In America i giorni in cui si registrano il maggior numero di acquisti al dettaglio sono il Black Friday e il Cyber Monday. Il Black Friday risale ai tempi di Roosevelt.

Fino agli anni '30 il giorno del Ringraziamento non era solo un'occasione per rendersi grazie gli uni con gli altri, in memoria delle vicende storiche che avevano caratterizzato i primordi della civiltà statunitense, bensì rappresentava per i commercianti il vero e proprio calcio d'inizio della stagione natalizia.
Un tempo, infatti, era considerato inappropriato negli Stati Uniti, vendere articoli natalizi prima del Ringraziamento, ma questo lasciava poco tempo a disposizione per gli acquisti, rendendo scontenti i negozianti, che sentivano di non essere messi nelle condizioni di trarre il massimo dei profitti. Per questo motivo fu chiesto a Roosevelt di anticipare tale festività di una settimana.
Nonostante la prerogativa di scegliere la data gli spettasse di diritto - non essendo il Ringraziamento, all'epoca, una festività nazionale - il suo decreto fu accolto da una notevole resistenza. I repubblicani sostenevano che la decisione di Roosevelt fosse irrispettosa nei confronti del lascito culturale del presidente Lincoln, il quale aveva statuito che il giorno del Ringraziamento dovesse coincidere con l'ultimo giovedì di novembre.
Così si finì col celebrare due Ringraziamenti: quello repubblicano è quello democratico, rinominato goliardicamente "Franksgiving" dal nome del presidente Roosevelt. Dopo due anni, poiché non fu notato alcun beneficio significativo dal punto di vista delle compere natalizie, si tornò a festeggiare il Ringraziamento in un'unica data, quella stabilita da Lincoln.
Per quanto l'usanza di non vendere articoli natalizi prima di tale festività sia ormai decaduta da tempo, il Ringraziamento è tuttora considerato la pietra miliare della stagione degli acquisti natalizi, e ancor di più il giorno successivo, il cosiddetto Black Friday. Tale evento è diventato celebre per le irresistibili offerte speciali e i clamorosi sconti, ma la sua origine deriva semplicemente dal fatto che gli impiegati esterni al settore del commercio, avendo come giorni di vacanza il Ringraziamento e il venerdì successivo, usavano questo giorno per lo shopping natalizio.
Il termine "Black Friday", letteralmente venerdì nero, trae origine dal nomignolo attribuitogli dalla polizia, che temeva i disordini causati dall'enorme massa di persone che affollavano i negozi. Il nome ha perduto la sua connotazione negativa, complici i negozianti che astutamente hanno diffuso la diceria che il nome indicasse il fatto che si rovinassero con quelli sconti così convenienti.
Con la diffusione sempre crescente dello shopping on-line, non stupisce che anche i cosiddetti "on-line retailers" volessero sfruttare il fenomeno. Ed ecco così che il lunedì successivo al Black Friday ha preso il nome di Cyber Monday e ha replicato le medesime dinamiche di offerte estremamente convenienti e sconti audaci.
L'origine di tale termine risale al picco delle vendite on-line registrato il lunedì in questione, in quanto le persone rientrate al lavoro usavano l'Internet dei loro uffici per continuare le proprie compere.
Durante il Cyber Monday 2015 negli Usa, si sono registrate vendite on-line per oltre 3 miliardi di dollari, un aumento del 16% rispetto all'anno precedente, che lo hanno reso il giorno di maggior spesa on-line di sempre. Peraltro il 2015 ha rappresentato l'anno durante il quale la popolarità delle acquisti on-line ha superato quella degli acquisti "off-line".
I negozi on-line non costituiscono soltanto un mezzo più rilassato di fare acquisti, essi sono anche un modo per promuovere il Black Friday ovunque nel mondo. Infatti quando nel 2010 Amazon ha cominciato a promuovere il Black Friday nel Regno Unito, il resto dei grandi rivenditori sono stati costretti a seguirne l'esempio. Il risultato è che ormai anche nel Regno Unito l'ultimo venerdì di novembre fa registrare ogni anno il numero più alto di transazioni e acquisti al dettaglio, così come il Cyber Monday fa registrare i maggiori acquisti on-line.
Il resto d'Europa non ha ancora raggiunti i livelli di entusiasmo britannici, ma negli ultimi anni la popolarità di queste due giornate si sta diffondendo anche in Italia, Germania e Francia, anche se con un coinvolgimento maggiore dei rivenditori on-line, il cui utilizzo per gli acquisti natalizi sta crescendo a vista d'occhio.
L'interesse nel Black Friday però non manca: in Italia, ad esempio, il numero di volte in cui questo termine è stato cercato su Google nel 2015, ammonta al quadruplo rispetto all'anno precedente.