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sabato 23 maggio 2015

Elezioni regionali 2015. Italiani grandi "votatori".

L'Italia ha un primato di cui potrebbe, (il condizionale è usato volutamente), essere orgogliosa : nel 2013, cioè durante le ultime elezioni parlamentari, si è presentato ai seggi più del 75% degli aventi diritto al voto, e ciò ci posiziona sopra la media dei paesi OCSE (l'Organizzazione per la Cooperazione allo Sviluppo Economico), che si attesta invece a poco più del 70%.
Per la verità, i cittadini delle altre nazioni, sembrerebbero essere molto più appassionati di politica rispetto agli italiani. Attenzione però : in Australia e in Belgio gli elettori vengono multati se non si recano alle urne. Non solo, in Australia per esempio non è tanto il pagamento dei 20 dollari di multa, quanto piuttosto il rischio di finire in carcere a spingere circa il 95% degli elettori a votare.
Gli Stati Uniti occupano invece l'ultimo posto per affluenza alle urne nella classifica stilata dall'OCSE : di certo non un risultato brillante per quella che è considerata essere la più grande e potente democrazia del mondo. Adesso però gli Usa hanno una nuova opportunità per risalire la china. Infatti la competizione elettorale statunitense è da poco entrata nel vivo e sebbene il nostro paese si trovi a migliaia di chilometri di distanza, nei prossimi mesi saremo di certo inondati da notizie sui candidati alle prossime presidenziali e sugli sviluppi della loro campagna elettorale.
L'ammontare di denaro che Hillary Clinton avrà a disposizione per convincere gli elettori a votarla, sta già facendo scalpore : circa 2,5 miliardi di dollari raccolti dopo mesi e mesi di donazioni. È quasi pari all'ammontare di una mini manovra del governo italiano.
Tuttavia, i risultati delle elezioni non sono mai sicuri, soprattutto se il numero di incerti è molto elevato e se questi poi decidono di astenersi dal voto. Infatti, durante le presidenziali americane del 2012, meno del 60% degli aventi diritto al voto si è presentato per esprimere la propria preferenza. La percentuale scende al 50% se si considera la fetta di elettori tra i 18 e i 29 anni di età. I dati mostrano comunque un incremento rispetto al decennio precedente, quando i giovani che si recavano alle urne erano invece poco più del 40%.
Per comprendere meglio quali media utilizzare per spingere i nuovi elettori a presentarsi, nel 2012 è stato chiesto ad un campione di americani, che tipo di promemoria giudicassero più efficace : più del 30% ha risposto "un messaggio su Facebook".
L'ex segretario di Stato Hillary Clinton è ben consapevole dell'importanza dei social network tra i nuovi elettori. Pertanto, la sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali americane, non è stata annunciata con una classica conferenza stampa per i canali televisivi, bensì con un video-messaggio lanciato on-line.
Chissà che l'America, grazie gli sforzi di Hillary, non riesca a risalire di qualche gradino nella classifica dell'OCSE.

In Europa le cose vanno molto diversamente. Questo grafico mostra la percentuale di astensionismo, paese per paese, alle ultime elezioni europee 2014.



sabato 16 maggio 2015

Paura di volare ? Vi insegno a vincerla.

Impiegai un anno per convincere mia madre a venire a trovarmi in America. Con grande sprezzo del magro conto bancario, le regali un biglietto di prima classe, sul volo da Milano a New York.
Convinsi la sorella Cecilia ad accompagnarla e il volo naturalmente andò benissimo. Con un solo, grave rischio di esplosione. Per le otto ore del viaggio, la mia mamma, signora raffinata e colta, rifiutò di alzarsi dal sedile per andare alla toilette. Temeva che i 58 chili del suo peso, in movimento all'interno di un Boeing 747 "Jumbo" da 330.000 chili, potessero squilibrarlo e condannarlo a una spirale senza controllo, precipitandolo.
Poiché si dice che la mela non cada mai lontana dall'albero, da lei ho ereditato una invincibile, una insopprimibile paura di volare. Ho viaggiato per milioni di miglia, sono appontato è decollato da una portaerei, (non fatelo, date retta), sono sobbalzato dentro elicotteri in zone di guerra e in aerei militari fra ceffi armati e profughi stralunati, ma la paura continua a farmi compagnia.
Pretendo sempre il posto al finestrino perché - ecco l'istinto del vero giornalista - voglio essere il primo a vedere l'ala che si stacca e informare gli altri passeggeri e l'equipaggio. L'ultimo scoop.
Se negli ultimi anni la paura di volare si è leggermente attenuata, è perché un'altra fobia l'ha ridimensionata. Non è più l'aerofobia, ma l'aeroportofobia, l'odio inteso per ciò che le aerostazioni sono diventate.
Da quelli più grandi, trasformati in sguaiati shooping center che costringono a camminamenti in trincee di cianfrusaglie di ogni genere spacciate come affaroni "tax free", a quelli più spartani, ogni aeroporto è ormai un odioso, garrulo imbuto che conduce al rituale della catena di smontaggio e rimontaggio del proprio abbigliamento, giusto per rammentarci che potremmo esplodere in volo.
La paura di volare si può controllare partendo da una semplice ammissione. Tutti, a bordo di un tubo di alluminio od ormai di plastica, solennemente ribattezzato "materiale composito", sentono che viaggiare a 11.000 mt. di altezza a circa 650 km all'ora è qualcosa a cui milioni di anni di evoluzione non ci avevano predisposto. Hanno paura piloti e assistenti di volo, racconta James Wysong, assistente di volo per 35 anni, nel suo libro Sopravvivere alla paura. Ha paura quel vostro vicino che ostenta indifferenza ma si aggrappa al bracciolo appena l'aereo comincia sobbalzare. Ha paura quella che sembra dormire il sonno del neonato, ma si è probabilmente impasticcata di sonniferi e tranquillanti alla partenza.
Ci sono utili consigli, per gli afflitti da Pteromerhanophobia, questo sarebbe il nome scientifico. Non bere caffè, che eccita.
Bere molta acqua perché la disidratazione innervosisce. Scegliere, se possibile, sedili nella parte anteriore dell'aereo, perché le turbolenze si avvertono di più in coda. Studiare e capire i rumori che provengono dall'aereo, per sapere che non sono segni di imminente catastrofe ma parte delle normali operazioni di volo. E ricordare, mentre seguite con il cuore in gola i dettagli morbosi di un disastro aereo scodellati dai media che si nutrono delle nostre paure, che se quella catastrofe fa tanta notizia è perché è un evento rarissimo, quanto la vittoria di milioni alla lotteria : esiste una probabilità su 11 milioni di essere coinvolti in un serio incidente aereo.
Ogni anno, negli Usa, muoiono 36.000 persone per l'influenza e non fanno notizia. Nel 2013, sugli oltre 850 milioni di passeggeri che hanno volato soltanto nei cieli degli Stati Uniti, si sono avuti i 168 feriti nell'atterraggio "corto" di un aereo a San Francisco e una giovane donna uccisa da un veicolo di soccorso mentre vagava incolume sulla pista, efferata ironia.
Ci sono più probabilità di morire per una reazione allergica violenta al cibo servito a bordo, che in uno schianto. È più alto il rischio di infarto per il trasporto di valigioni sovraccarichi, di incavolature acute alla fila del check in, di panico per il ritardo sul pavimento dell'aeroporto che di morire in volo.
Consiglio sicuro : arrivate sempre con grande anticipo sull'orario di partenza. La noia, droga potente, vince la paura. E soprattutto, per l'amor di Dio, se vi scappa andate alla toilette.


Vittorio Zucconi

venerdì 8 maggio 2015

Festa della mamma. Quello che mia madre mi ha spiegato della vita.

Mia madre ha trasceso le gerarchie e dimostrato a chiunque abbia avuto la fortuna di entrare in contatto con lei, che siamo fatti tutti della stessa pasta.
Il suo approccio alla vita consisteva nell'apprezzare sempre il suo prossimo, e siccome questo sentimento di fiducia e connessione è contagioso, tutti la apprezzavano a loro volta.
Quand'era già piuttosto anziana, mise in pratica la sua convinzione che nessun lavoro fosse troppo umile, e che a determinare il valore di una persona non fosse il modo in cui si guadagnava da vivere, ma la dignità con la quale svolgeva il proprio lavoro.
A metà degli anni 70, andò a Los Angeles a trovare mia sorella e quello che allora era suo marito, con l'intenzione di trattenersi per qualche tempo. Dopo circa un mese, quando fu chiaro che il marito di mia sorella avrebbe preferito non convivere con la suocera, mia madre, non volendo essere di disturbo per nessuno, decise di andare a stare da sola.
Per farlo, però, aveva bisogno di un lavoro. Riflette' allora su cosa sapeva fare, su quali erano i suoi talenti. Si rese conto che sapeva gestire una casa : cucinare, pulire e fare in modo che tutto funzionasse in modo scorrevole, puntuale e senza troppi attriti. Era quello che aveva fatto per tutta la vita, e lo sapeva fare bene.
Mise un annuncio sul giornale, cercando qualcuno a cui servisse una persona per mandare avanti la casa. E la trovò. Ricevette una telefonata, andò a fare il colloquio, ottenne il lavoro.
Fu così che si ritrovò a occuparsi di una splendida famiglia di Santa Barbara con dei figli adolescenti. Si innamorarono di lei seduta stante. Oltre a sbrigare le faccende domestiche, mia madre faceva da consulente a tutta la famiglia, con le sue idee su come organizzare le cose, che lei riassumeva nella definizione "ordine creativo".
Spesso i figli finivano in camera di mia madre a parlare con lei dei loro problemi. Aveva intrapreso quel lavoro senza alcun senso d'inferiorità, motivo per cui alla famiglia non venne mai in mente di trattarla come una persona inferiore. Andava da loro per rendersi utile e guadagnarsi da vivere, senza mai dimenticare chi era. E naturalmente, quando ricevette il suo primo stipendio, tentò di darlo a me e ad Agapi, dicendo che quei soldi a lei non servivano, dal momento che aveva già vitto e alloggio.
La sua avventura si concluse quando la chiamai, chiedendole per favore di raggiungermi a Londra. Ho bisogno di te, le dissi, altrimenti questo libro non lo finirò mai. Mia madre non era mai stata capace di dire di no alle richieste di aiuto delle figlie. Così venne a Londra, dove cominciò a occuparsi del mio piccolo appartamento, mantenendo in funzione la cucina per tutta la notte, mentre io lavoravo freneticamente per rispettare la scadenza che mi ero imposta.
Il suo lavoro a Santa Barbara era stato l'ennesimo modo di insegnare alle sue figlie, tramite l'esempio, che è possibile trascendere le gerarchie senza aspettare che l'autorità e il comando ci vengano concessi dall'esterno.
Le sue soluzioni ai problemi, potevano talvolta apparire semplici e scontate, ma solo per il coraggio e la fiducia con cui lei affrontava il mondo e lo attraversava.
Se all'inizio della vita il nostro obiettivo è capire che cosa farne, mia madre diceva sempre che l'obiettivo, invecchiando, diventa quello di capire che cosa la vita può fare di noi. È bene, lei ha fatto della sua vita una grande avventura, e la sua vita ha fatto di lei una splendida guida.
Mia madre, che è vissuta con me quasi sempre - assistendo al mio matrimonio, alla nascita delle mie figlie e al mio divorzio - è scomparsa nel 2000.
La sua morte mi ha costretto a confrontarmi con la mia paura più profonda : continuare a vivere senza la persona che della mia vita ha costituito le fondamenta.
L'ho persa, e ho dovuto andare avanti senza di lei. Ma il modo in cui ha vissuto la vita e affrontato la morte, su che cosa significa superare la paura, mi hanno insegnato moltissimo.

Arianna Huffington


mercoledì 6 maggio 2015

Festa della mamma. La vertigine di fare la storia con i se e con i ma.

Quando ero piccola, ero piuttosto brava a scuola. Ero diligente, perfezionista e un po' secchiona. Ero educata, mite, timida ai limiti della patologia, ombrosa quanto basta, assennata, talmente pallida da essere terrorizzata persino dai clown al circo e dai gorghi nella vasca da bagno quando l'acqua scende nello scarico.
Soffrivo di mal di mamma, di mal di scuola e di mal di macchina. Non ero molto dotata negli sport e quelli con la palla, in particolare, mi davano un'enorme ansia. Anche l'atletica, ora che ci penso, mi inchiodava implacabile alla mia inguaribile inettitudine. Ero graziosa ma non abbastanza per comparire nella turpe e vagheggiata classifica della più carina della classe. Avevo qualche timido corteggiatore, ma mai appartenente all'ambita e spesso deviante categoria dei maschi alfa.
Per quelle come me, introverse, riflessive e afflitte da una vita interiore ipertrofica ma crepuscolare, l'infanzia non è stata una scampagnata. Ho il sospetto che mia madre, per natura sicura, determinata e risoluta come uno schiacciasassi, guardasse quella bambina fragile e impaurita, così poco attrezzata nell'infida arte dello stare al mondo, con preoccupazione, perplessità e una buona dose di scoramento.
Per fortuna si cresce, le spalle si fanno più larghe, si scoprono, dentro e fuori, risorse strumenti per non farsi travolgere dalla corrente, si impara a nuotare e si finisce per prenderci gusto fino a decidere che sì, in fin dei conti la vita una cosa bella, che va condivisa.
Ed ecco che, dimentica della mia infanzia e della montagna aspra che mi è toccato scalare, mi sono, con una buona dose di incoscienza, replicata tre volte, in tre tizi altri da me, per genere, indole e talenti, e attualmente sono immersa fino al collo in tre infanzie tanto diverse e lontane da quella che fu la mia. E forse, proprio per questo, tanto affascinanti.
Ho scoperto così un aspetto entusiasmante, arricchente e insidiosissimo dell'essere genitori, che non avevo mai considerato.
Un aspetto irresistibile, come una magia, da maneggiare tuttavia con enorme cura e attenzione, per non fare e non farsi male, da godersi con generosa partecipazione che talvolta può virare in passione.
"Mi ha detto che mi ama", racconta mio figlio grande, 11 anni, con una gravità beffarda. "E tu cosa le hai risposto?". "Che deve aspettare perché anche Martina e Giuliana me lo hanno detto. E devono darmi il tempo per decidere. Anche se forse non scelgo nessuna e me ne sto tranquillo a giocare con Pietro che mi diverto di più".
Leggero, superficiale, sereno. Lo ascolto, catturata da quella maschia noncuranza. E penso a me che al cospetto della prima dichiarazione, unica e quindi preziosissima seppur non corrisposta, su un pullman, da parte di un ragazzetto riccioluto e molto nerd, al rientro di una gita in quinta elementare, mi sentii morire, mi si chiuse lo stomaco e soffrii di insonnia per tre giorni.
Mio figlio di mezzo e i suoi capelli pazzi hanno chiesto se possono essere adottati dalla famiglia del suo amico Stefano, o almeno passare le vacanze di agosto insieme a loro. "Voi restate la mia prima famiglia e non vi dimenticherò", ci rassicura lui, impavido e vagabondo. Alla sua età per me era un dramma persino andare a una festa di compleanno di coetanei e la prospettiva di passare una notte fuori casa era paragonabile al patibolo.
Essere genitori è come stare al cinema, tutti i giorni. Guardare il mondo con occhi, testa e cuore altrui, ma anche un po' propri. È il privilegio di vivere altre vite, osservando loro, i figli, rigorosamente altro da noi ma con qualche pezzo in comune. È la vertigine di fare la storia con i se e con i ma.
Basta non lasciarsi prendere la mano, resistere alla tentazione di un'invasione di campo, rispettare gli abissi che separano noi e loro, riconoscere il filo che ci lega. Se si riesce nell'ardua impresa di tenere le distanze, lo spettacolo può essere il migliore e il più istruttivo mai visto.


Elasti” 

sabato 2 maggio 2015

Orizzonte rosa. Donne, geni incompresi.

Steve Jobs era, a detta di molti, un capo particolarmente difficile : un tipo passionale, a tratti ossessivo e per nulla paziente. Chiedeva ai suoi collaboratori il massimo, a tratti l'impossibile e non sempre con modi gentili.
Ma era un genio e, si sa, con le menti eccezionali bisogna portare pazienza e capirli. Alcuni sostengono che fosse affetto dalla sindrome di Asperger, una forma lieve di autismo, e intorno a questi geniali maschi semi-autistici in America sembra addirittura aleggiare una sorta di mito. Adesso, però, provate a immaginare se al posto di Steve, ci fosse stata una Stephanie Jobs. Come sarebbero andate le cose ?
Fateci caso, in campo femminile non c'è nessuna mitologia del genere. Stephanie Jobs, una donna che perde le staffe con i propri dipendenti a cui chiede straordinari su straordinari, una dirigente vittima di sbalzi d'umore ingiustificabili, capace di improvvise crisi di pianto o di alzarsi e sparire nel bel mezzo di una riunione : chi mai sarebbe disposto a perdonarla, un'arpia del genere ? Stephanie non sarebbe stata un genio, ma semplicemente un incubo.
Certo, rispetto a venticinque anni fa le donne oggi godono di un'eguaglianza considerevole in tema di diritti. Abbiamo raggiunto successi importanti in politica, scienza, arte. Abbiamo sfondato tetti di cristallo, cresciuto figli e alimentato con successo economie domestiche, mentre eravamo alle prese con la gestione di un'azienda, la stesura di una sinfonia o il coordinamento di una campagna politica.
Abbiamo dimostrato a noi stesse di avere capacità strabilianti, da vere campionesse del multitasking.
Alcune cose, però, non sono cambiate affatto. Per cominciare, alle donne viene chiesto - oggi come ieri - di essere gentili. Dalla scuola materna in poi, ci si aspetta che le bambine siano sedute composte in aula e diano una mano con i lavori di casa. Quando cresciamo, oltre ad andare bene a scuola e prendere ottimi voti - le aspettative di base - ci viene anche chiesto di essere accomodanti e pazienti. Non dobbiamo mai smettere, insomma, di essere aspiranti mamme che si esercitano quotidianamente con zelo e devozione.
Siamo chiamate ad anteporre i bisogni degli altri ai nostri, ad assicurarci che amici e parenti stiano bene, a occuparci dei nostri genitori che invecchiano, a ricordarci compleanni, mandare gli auguri a Natale, preservare la pace e consolare gli affranti. Tutto - ca va sans dire - sempre col sorriso. Ah, già, e i capelli in ordine, il vestito giusto e una forma fisica invidiabile.
Le donne sono i primi e i più severi giudici di queste assurde aspettative. Provate a pensare a tutte le volte che vi siete trovate a criticare il modo in cui una donna era vestita o si presentava. Provate a ricordare l'ultima volta che avete criticato un'altra donna per essere stata maleducata, irresponsabile o egoista. O a immaginare un gruppo di mamme all'uscita della scuola che mormorano : quella lì ha portato qualcosa da mangiare per il picnic ? Quella non si è fatta vedere il giorno del torneo sportivo ! Quella è la mamma che ha mandato a scuola il figlio con le caramelle nello zaino al posto della frutta ? Che vergogna !
Questo atteggiamento censorio viene reiterato anche fuori dall'ambiente domestico : donne che perdono le staffe o offendono gli altri, donne impazienti, donne difficili ... Non esistono scuse. A nessuno viene in mente che potrebbero essere dei geni. Nessuno vuole avere a che fare con donne simili.
Queste cose le so non perché sono fatta così - quindi una donna difficile - ma perché sono esattamente l'opposto : una donna gentile. È una vita che sono ben educata, arrivo puntuale, controllo il mio peso e mi mordo la lingua, sorridendo e aspettando. Ho dato anch'io il mio contributo nel giudicare le donne che, a mio avviso, non si stavano impegnando abbastanza. E in questo mio essere così scientemente adorabile, non facevo altro che mettere a tacere le mie opinioni, la mia voce. Così mi sono ritrovata a essere parte integrante del problema.


Claire Messud