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domenica 26 giugno 2011

Enzo Tortora 3. Chiamate Fucecchio 31.31


Oggi parliamo della indecenza delle dirette radiofoniche e dei filtri a cui tutte le telefonate vengono sottoposte per poi essere, se casomai si arriva ad accedere alla diretta, opportunamente manipolate o censurate dallo speaker di turno, afflitto da “sindrome microfonica”. Dal mio punto di vista, la “sindrome microfonica” presuppone una tendenza all'omosessualità latente, poiché il microfono, è, inequivocabilmente, un simbolo fallico. Uno speaker radiofonico, ( ma i presentatori televisivi non fanno eccezione), affetto da tale sindrome, è l'antipaticissimo Gianluca Nicoletti, che conduce una mediocre rubrica dalle 10 alle 11, su Radio 24. Vedete come i tempi non sono cambiati, anzi, casomai, peggiorati . . .

Chiamate Fucecchio 31.31

Sono desolata. Son qui che mi limo le unghie, sbadiglio, forse potrei darmi il rimmel ma non lo faccio, potrei fare un po' d'uncinetto ma non lo faccio : è una serata storta, è inutile, sarà magari uno di quei tali giorni. Basta : apro la radio e che ti scopro ? Non c'è più il mio amico, il mio confidente, il mio Principe Azzurro. Dico il dottor Franco Boccagatta, questo grande confessore laico, l'uomo della Provvidenza su onde medie, il consolatore degli afflitti, il difensore dell'orfano, della ragazza madre, della vedova con vene varicose, del capufficio con il complesso di Edipo. E chi ci hanno messo, al posto del mio caro Boccagatta ? Ora ne parliamo. Intanto, l'hanno sospeso a divinis, questo caro Reverendo : gli hanno dato proprio il benservito, caro Padre Boccagatta, dopo anni ed anni di terra di missione, di affannose cure d 'anime, di trivellazioni di tormenti. Come sapeva lenire lui, non leniva nessuno. Che voce ! Un balsamo. Come diceva lui : “Signorina, ora siamo io e lei. Non ci sente nessuno, tranne 10 milioni di persone : non lo prenda più, l'acido. Non la fumi più, la sigaretta con l'erba indiana. Io lo so, io lo so . . . “ diceva sempre don Franco : “ lei è pentita, lei singhiozza, è vero che lei singhiozza ? Cabina di regia . . . “ chiedeva flautato don Boccagatta : “ alzatemi subito il volume del singhiozzo “. Insomma, sentirlo era proprio un rapimento. Un nettare. Un'ambrosia. Come faceva ravvedere l'adultera, come rincuorava lo psicolabile, come ricaricava il vagotonico ! Ora non c'è più, l'uomo che si chinava su di noi, con l'orecchio così vibratile ( “ sono tutt'orecchi, cara signora “, diceva sempre ), e in verità don Boccagatta, nei miei sogni, me lo immaginavo sempre proprio come un immenso orecchio, una specie di colossale imbuto di carne scorrevole, un orecchione dove il paese versava, a litri, a ettolitri, a cascate, i suoi pensieri più cupi e affannosi, magari gli scialletti funebri dei suoi pipistrelli meno biodegradabili. Era insomma un Freud formato famiglia, uno psicanalista spray, gettava luce là dove c'era solo la tenebra, e solo tabù inconfessabili del profondo. E quella volta che fece piangere addirittura un domatore di leoni, ve lo ricordate ? E quell'altra che ritrovò la mamma a un Questore, che la ricercava invano da anni sulle rive dell' Amazzonia, e invece la vecchietta viveva (ignara !) a Metaponto ? Cose da spezzare il cuore. Ora don Boccagatta non c'è proprio più, ho letto su un rotocalco che s'è dato alla pubblicità di una casa di cosmetici, è diventato una specie di manicure dell'anima, di visagista del subconscio. Peccato : lui era l'uomo (il solo) al quale avrei confidato volentieri, anche di mattino, la mia story. Mi avrebbe capita. Mi avrebbe forse detto le parole che attendo. Ma don Boccagatta, purtroppo, ha dovuto arrendersi. Le sue inquietudini davano noia, le sue aperture sociali infastidivano i conservatori. E così l'hanno sostituito con due altri più docili sacrestani. Uno è quel Paolo Cavalluccia, già noto, al telegiornale curlandese delle 13.30, per l'abilità con la quale macellava qualunque nome che non fosse quello, toscano, di “Compiobbi”, o di “Chiesina Uzzanese”. Il Cavalluccia, me lo ricordo come se fosse ieri, davanti alle telecamere si comportava esattamente come ci si comporta in una trattoria con pergolato sul Mugello. Parlando del Vietnam, fate un caso, era sempre come se ordinasse al cameriere la pappa al pomodoro, o la ribollita. Dava anche l'impressione di appisolarsi spesso sulla notizia, poveruomo, e appariva spesso in preda a catarri o a digestioni laboriose. Poi, alla parola “Saigon”, si svegliava di soprassalto, e via col borborigma o il ruttino, dicendo prima, educatamente, “pardon”. Il Cavalluccia, a quegli sventurati telespettatori non nati nell'area etrusca, appare insomma del tutto incomprensibile : dice “dugento”, “un ci raccapezziamo punto”, “la muraglia scinese”, la “Scina”, “Iggiappone”. L'altro compagno di cordata è il Luca Languori, che, a differenza del Cavalluccia, baritonale, è invece sul contralto, e per di più quando parla almeno lo si capisce : l'unico guaio è che, una volta capitolo, si scopre che il Languori non aveva proprio niente da dirci. Appartiene cioè alla “ cellophane-generation “, quella specializzata nel gonfiare il nulla fino a fargli assumere le dimensioni di un Vesuvio di panna montata. Ma si sente, da come le cose son messe, che è il Cavalluccia che tiene il bandolo, insomma è lui che traccia il solco, mentre è il Languori che lo difende. Con lazzi, calembours, bon-mots, chicche ridarelle. Il Cavalluccia invece è sul filosofico, e va anche detto che i suoi pensieri non mancano di profondità. “ La vedrà, la vedrà, la mì signora, “ diceva giusto l'altra sera, “ la ' un s'affligga. Dopo iddolore viene sempre la sgioia, dopo iddolore, ippiacere “. Che son sempre massime fondamentali, da meditare. Cavalluccia mi pare un buon babbo, diciamo un Bartali col rantolo e l'enfisema, dopo lo stress sul Pordoi ai tempi belli, e ora si gode la discesa, facendo prediche morali, mentre il Languori gli succhia la ruota e gli porge la borraccia col Chianti d'annata. Chiusa la parentesi. Maledetto il momento in cui stasera, verso il tramonto, mi son fatta prendere dalla smania emotiva, e sarà magari per via del Cavalluccia che diceva “ ovvia, diobonino, la mi consideri uno di famiglia, sciò un figliolo di diciasett'anni anch'io, la si figuri se 'un la capisco, cara la mi donna “, fatto sta che infilo l'indice nella ruota dei numeri del telefono e ti chiamo il Fucecchio 31.31, com'è giusto e doveroso che s'intitoli la trasmissione. Subito mi risponde una signorina dell' Ufficio filtri, che poi sarebbe il Riparto dove i “casi” (noi tutti che telefoniamo siamo “casi”) sono smistati e inquadrati, perchè in onda mica possono andarci tutti, è naturale. Ognuno di noi, è inutile illudersi, rientra in un settore, in una bolgia, in un girone dove ci son tutti quelli che affondano nello stesso problema. C'è il vecchio nonno col tormento ecologico, la ragazza madre, il prete operaio, il licantropo dell' EMPALS, la primipara ancora frigida, il centravanti al tramonto, lo zio svampito fuggito con gli hippy, la casalinga che ha fatto un passo falso e ha messo le corna all'avvocato, la cuoca con la confrittualità permanente e il problema dell'olio che deve usare per evitare la puzza ( “ma pigli il nostro di ' ollina ! Il nostro di ' ollina, diobonino “, dice sempre il Cavalluccia, senza fallo ) e, insomma, si dà un numero a tutti noi del veglione radio-psicologico, la contromarca, e poi ci dicono “attenda”. Naturalmente se uno vuol parlare di casi che scottano, che so, un po' di scandalo edilizio, i posti letto in ospedale, le ruberie dei politici, le raccomandazioni ignobili per arrivare in certi posti, allora è probabile che l' “attenda” duri un po' a lungo, e passano certo prima altri casi fondamentali, e d'interesse comune, come sarebbe quello di chi ha il problema della calvizie precoce, o di quell'altro che di notte ha la moglie che russa in fa diesis, o della signorina cui, sul terrazzo, non vengono mai rigogliose le ortensie, anche se le annaffia. A tutti, Il Cavalluccia impartisce “ 'onzigli preziosi dimolto “, e ho sentito gente che gorgogliava : “ Dottor Cavalluccia, lei per me è stato una mamma, adesso finalmente so come allevare i criceti in casa senza che sporchino sulla consolle o sul comò “. E com'è trepido, il Cavalluccia, quando raccomanda : “ per i pesci rossi, ricapitolando, solo acqua coi sali minerali, la 'un si faccia incantare con le alghe d' Iggiappone “, e tanti altri consigli che toccano insomma i punti essenziali della vita del paese. Basta, via : fatto sta che telefono, con la mia brava contromarca che diceva : “ concubina con rimorsi “. Tutto in ordine dunque, anche dal punto di vista amministrativo : ero la 709. Ci sarebbe stato magari da aspettare fino al novembre del 1975, ma con una spintarella del mio portinaio ( fa la claque a Canzonissima, è quello che ride forte, per 2000 lire, a tutto quello che dice Pippo Baudo) insomma, arrivo. Ecco che poco dopo trilla davvero il mio telefono, e, oh gaudio, eccoti proprio il Cavalluccia personalmente che mi dice : “ Allora, fra un poino si va in trasmissione, il su 'aso mi pare dimolto umano, mi raccomando, moderiamoci con il concubinaggio, la sua sarà una situazione dolorosa, 'un discuto, e lei sa che la legge sul divorzio forse la 'un la passa, e sci ascoltano tanti onorevoli diccì, noi s'ha famiglia, lei la sci capisce, e dunque le 'ose diciamole 'un dico mica di 'un dirle, le 'ose, ma disciamole velate. D'accordo ? “ “ D'accordo “, faccio io, un po' sull'impermalita, perchè se mi accettano col mio carico di colpe, quelle devono sentire. Comunque, il Cavalluccia mette un valzer triste, poi lo mette subito in sottofondo, e sillaba col suo vocione tutto appallottolato : “ Stasera, cari amisci, un 'aso umano. Ognuno ha i 'asi suoi, d'accordo. Ma iccaso della signorina Amelia . . . è in linea ? “ “ In linea “, dico. “ Ecco, iccaso della signorina Amelia mi pare esemplare. Cominci. Di'a, di'a pure. Quando l'ha conosciuto, l'omo che la fa soffrire ? “ E io pronta, tanto ci ho la data sempre stampata qui, nel cuore : “ Undici anni fa “. E il Cavalluccia, già sul patetico : “ E in quale occasione ? “ E io prontissima, tanto il Riccardo me lo vedo ancora davanti, ai piedi miei : “ In confessionale “. Beh, a questo punto il Cavalluccia manca poco gli venga lo stranguglione. E' tutto una tosse, un rantolo, un alveolo intasato. “ Certo 'un ho 'apito io, la mi signora : lei ha detto in ospedale ? “ E il Cavalluccia si sentiva ch'era invece tutto un sudore diaccio, tutto un fremito d'orrore. “ No no, proprio in un confessionale “, faccio. E il Cavalluccia emette un lamento che era tutto un congedo prematuro al posto, un addio agli assegni famigliari. “ Lei la mi vorrebbe dire dunque che il su Riccardo . . . “, balbettava il poveretto, “ era, era . . . come dire . . . o 'icchè si disce ? . . . era, disciamo, un non laico, disciamo . . . un religioso ? “ E io, argentina : “ Macchè. Lei ha confuso. Ma per carità. Riccardo era solo un bel ragazzo, un bersagliere “. E il Cavalluccia già era tutto racconsolato, e già diceva : “ O tu vvedi che bella storia ! E icchè sci facevate, o ragazzi, in confessionale ? O si pole essere più birbe, si pole ? “ E io allora tiro la botta, che poi è la verità pura, ma quello a momenti e per poco non mi stramazza : “ La storia è questa. Undici anni fa, il prete ero io “. Si sentì alla radio tutto un anfanare, un bisbiglio disperato. E io, tanto è la verità, continuo. “ Mi chiamavo padre Ermete Bertoloni. Esperto in patristica, con una bella barba. Ma fin dall'infanzia, ora posso confessarlo, sentivo dentro di me come una tempesta biologica . . . “ A questo punto il Cavalluccia, che intuiva, nitrisce : “ Basta ! Se ne riparla nell'altra trasmissione ! Via, signora ! La 'un mi faccia inquietare ! “ E io prontissima : “ Ma come inquietare ! Se undici anni fa m'avrebbe chiamata Reverendo ! O che modi sono questi ? Le pare il modo di trattare una signora, anche se ex domenicano ? Sappia, che quando incontrai il Riccardo, che si confessava, e lo assolsi, ci fu una simpatia platonica, ma per lui poco dopo mi dimisi, fui operato a Casablanca, tutto regolare . . . Fuggimmo a Nizza. Lo so : era sposato. Purtroppo era sposato ! Questa è la mia croce, ma mi dica, Cavalluccia, era una colpa ? “ Ma già, dalla cabina di regia, avevan messo lo stacco musicale. Si sentiva, solo “ Il bel Danubio blu”. E il Cavalluccia che respirava col fischio. E il Languori a fargli, come in agonia, il controcanto.
Fucecchio, dava l'occupato.
Amelia Bellincioni
(già Padre Ermete Bertoloni, gesuita)

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