Si
dice . . . “ essere un'armata Brancaleone “
Indica
in senso dispregiativo un gruppo di persone messe insieme per
raggiungere uno scopo, ma raccogliticce e molto male assortite.
All'origine del detto sta il film di Mario Monicelli L'armata
Brancaleone,
del 1966. Il lavoro, ambientato nell'Italia dell' XI secolo, narra
le grottesche vicende di Brancaleone da Norcia, (Vittorio Gassman),
cavaliere spiantato e millantatore, che guida un gruppo di straccioni
alla presa di possesso di un lontano feudo pugliese. Il film ebbe
tale successo da entrare subito nell'immaginario popolare.
Si
dice . . . “ fare dei voli pindarici “
L'espressione
indica in un qualunque discorso scritto oppure parlato, dei salti di
tema, il rapido passaggio da un argomento ad un altro, senza
un'apparente connessione logica, vedi anche l'espressione “saltare
di palo in frasca”. Di recente, in modo improprio, con questa
frase ci si riferisce a lunghe disgressioni di fantasia, che si
discostano dal tema principale di un discorso. Il riferimento è
comunque al grande poeta lirico greco Pindaro, (Cinocefale ca. 522
a.C. - Argo 442 a.C.), che già presso i suoi contemporanei era
celebre per i salti logici improvvisi, da un argomento ad un altro
tipici delle sue composizioni, allo scopo di suscitare stupore nei
lettori.
Si
dice . . . “ finire in braghe di tela “
L'espressione
significa andare in malora, perdere i propri beni. La frase origina
da ciò che accadeva nel XIII secolo a Padova. Al tempo i debitori
insolventi venivano condannati al carcere o a frustate in pubblico.
Nel 1231, frate Antonio, che sarà santo, col suo carisma riuscì a
ottenere dal governo del comune una pena più umana : che i falliti
si esponessero in camicia e “braghe di tela”, cioè in mutande,
su un sedile di porfido detto Pietra del Vituperio nel Palazzo della
Ragione. I condannati sedevano ripetendo in pubblico 3 volte la
formula cedo
bonis,
cedo i miei beni, e lasciavano la città.
Si
dice . . . “vendere la pelle dell'orso … prima di averlo
preso”
Il
detto “vendere la pelle dell'orso ...”, sottinteso prima di
averlo preso, vuol dire credere, sbagliando, di disporre di qualcosa
che ancora non si ha o di dare per scontato l'esito di una situazione
ancora non risolta. La frase ha origine da un aneddoto popolare
riferito dal letterato del XVII secolo Paolo Minucci : tre
cacciatori, in un'osteria, mangiano a credito promettendo di pagare
il conto con i soldi ottenuti, con la taglia posta su un pericoloso
orso. Ma il plantigrado si rivelerà preda ostica : uno dei tre
cacciatori fugge per paura, un altro sale su un albero, il terzo
viene assalito e si finge morto. L'orso allora si avvicina allo
sventurato e pare sussurrargli : non vendere la pelle dell'orso prima
di averlo catturato.
Si
dice . . . “essere l'ultima ruota del carro”
Vuol
dire non contare nulla, avere la minore importanza in un gruppo o in
un contesto. La frase origina dal tempo in cui i carri agricoli
erano i principali mezzi di trasporto. Anche essi avevano a bordo
una ruota di scorta, in genere fissata nel retro del veicolo, da
adoperare solo nei casi di emergenza. Già il dizionario della
lingua italiana di Niccolò Tommaseo, (edito nel nel 1865), riporta
l'espressione idiomatica “essere la quinta ruota del carro”, che
ha significato analogo alla frase usata oggi e che chiarisce quale
sia stata l'evoluzione.
Si
dice . . . “fare un saltafosso”
Vuol
dire tendere un tranello che consiste nel dare per certo un fatto,
solo possibile per indurre qualcuno a dire o a fare qualcosa che non
vorrebbe. Per esempio : in un interrogatorio, un inquirente dice al
complice di una banda criminale che i suoi compagni hanno confessato,
per indurlo a parlare a sua volta. L'immagine all'origine del
detto, il fosso, è un solco scavato nel terreno in cui scorre
l'acqua e rappresenta simbolicamente una barriera da scavalcare per
migliorare, (vedi “saltare il fosso”, prendere una decisione
importante). Ma qui si tratta di far credere all'altro di poter
superare l'ostacolo, inducendolo invece all'errore.
Si
dice . . . “essere un Carneade”
L'espressione
“essere un Carneade” indica un personaggio sconosciuto che di
colpo fa parlare di se. Il riferimento è a Carneade di Cirene,
(214-129 a.C.), filosofo greco della scuola degli scettici, ma la
frase si ispira al celebre “Carneade, chi era costui?” con cui si
apre il capitolo VIII de I
promessi sposi
di Alessandro Manzoni, pronunciato da don Abbondio mentre legge un
“panegirico” su San Carlo Borromeo. All'interno del testo il
prelato trova menzionato il filosofo. La fortuna dell'espressione è
stata tale che spesso, quando ci si riferiva ad uno sconosciuto
balzato agli onori della cronaca, si usava riprenderne il nome
aggiungendo : “Chi era costui?”
Si
dice . . . “l'occhio del padrone ingrassa il cavallo”
Significa
che solo un costante interesse personale verso i propri beni o affari
può farli rendere in modo soddisfacente. Il proverbio latino
“oculus domini saginat equum”, attribuito all'agronomo Columella,
(4-70 d.C.), che sta alla base della frase fatta, faceva infatti
intendere che solo la vicinanza, la presenza affettuosa del suo
proprietario, garantisce il benessere dell'animale anche perché –
come recitava un'antica favola – se il signore incarica del
nutrimento del suo cavallo un servo, è probabile che costui si venda
gran parte della porzione di fieno e che il povero equino dimagrisca
sempre di più.
Si
dice . . . “di riffa o di raffa”
Più
usata al centro nord, l'espressione “di riffa o di raffa”
significa raggiungere lo scopo in un modo o nell'altro o, con più
precisione, con le buone o con le cattive. Dei due termini della
locuzione, “riffa”, (dallo spagnolo rifa, lotteria), è il più
conosciuto : si riferisce a una lotteria privata, che ha per premi
oggetti di valore. Ma in questa locuzione, “riffa” ha invece
l'accezione, sempre di origine ispanica, di sopruso, prepotenza,
baruffa. “Raffa” dal canto suo deriva dall'antico verbo
raffare, contrazione di arraffare, strappare via con aggressività o
con l'inganno. Di riffa o di raffa quindi evoca fortuna, ma
soprattutto sopraffazione o malafede.
Si
dice . . . “prendere per oro colato”
L'espressione
“prendere per (o come) oro colato” vuol dire accettare
un'affermazione o un discorso come assolutamente veritieri e reali,
senza alcuna remora o tentennamento. L'oro colato a cui si
riferisce è detto anche “di coppella” oppure oro zecchino. Si
tratta dell'oro purissimo, cioè quello che fin dai tempi antichi
veniva sottoposto al processo della “coppellazione”. Attraverso
questo procedimento, il metallo prezioso veniva fuso in forno a
temperature altissime e poi colato in croggioli porosi a forma di
piccole coppe, in modo da poter essere separato dagli altri metalli
meno nobili, che fondono a temperature più basse.
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