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mercoledì 23 settembre 2015

Modi di dire 22

Si dice . . . “ essere un'armata Brancaleone “

Indica in senso dispregiativo un gruppo di persone messe insieme per raggiungere uno scopo, ma raccogliticce e molto male assortite. All'origine del detto sta il film di Mario Monicelli L'armata Brancaleone, del 1966. Il lavoro, ambientato nell'Italia dell' XI secolo, narra le grottesche vicende di Brancaleone da Norcia, (Vittorio Gassman), cavaliere spiantato e millantatore, che guida un gruppo di straccioni alla presa di possesso di un lontano feudo pugliese. Il film ebbe tale successo da entrare subito nell'immaginario popolare.


Si dice . . . “ fare dei voli pindarici “

L'espressione indica in un qualunque discorso scritto oppure parlato, dei salti di tema, il rapido passaggio da un argomento ad un altro, senza un'apparente connessione logica, vedi anche l'espressione “saltare di palo in frasca”. Di recente, in modo improprio, con questa frase ci si riferisce a lunghe disgressioni di fantasia, che si discostano dal tema principale di un discorso. Il riferimento è comunque al grande poeta lirico greco Pindaro, (Cinocefale ca. 522 a.C. - Argo 442 a.C.), che già presso i suoi contemporanei era celebre per i salti logici improvvisi, da un argomento ad un altro tipici delle sue composizioni, allo scopo di suscitare stupore nei lettori.


Si dice . . . “ finire in braghe di tela “

L'espressione significa andare in malora, perdere i propri beni. La frase origina da ciò che accadeva nel XIII secolo a Padova. Al tempo i debitori insolventi venivano condannati al carcere o a frustate in pubblico. Nel 1231, frate Antonio, che sarà santo, col suo carisma riuscì a ottenere dal governo del comune una pena più umana : che i falliti si esponessero in camicia e “braghe di tela”, cioè in mutande, su un sedile di porfido detto Pietra del Vituperio nel Palazzo della Ragione. I condannati sedevano ripetendo in pubblico 3 volte la formula cedo bonis, cedo i miei beni, e lasciavano la città.


Si dice . . . “vendere la pelle dell'orso … prima di averlo preso”

Il detto “vendere la pelle dell'orso ...”, sottinteso prima di averlo preso, vuol dire credere, sbagliando, di disporre di qualcosa che ancora non si ha o di dare per scontato l'esito di una situazione ancora non risolta. La frase ha origine da un aneddoto popolare riferito dal letterato del XVII secolo Paolo Minucci : tre cacciatori, in un'osteria, mangiano a credito promettendo di pagare il conto con i soldi ottenuti, con la taglia posta su un pericoloso orso. Ma il plantigrado si rivelerà preda ostica : uno dei tre cacciatori fugge per paura, un altro sale su un albero, il terzo viene assalito e si finge morto. L'orso allora si avvicina allo sventurato e pare sussurrargli : non vendere la pelle dell'orso prima di averlo catturato.


Si dice . . . “essere l'ultima ruota del carro”

Vuol dire non contare nulla, avere la minore importanza in un gruppo o in un contesto. La frase origina dal tempo in cui i carri agricoli erano i principali mezzi di trasporto. Anche essi avevano a bordo una ruota di scorta, in genere fissata nel retro del veicolo, da adoperare solo nei casi di emergenza. Già il dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo, (edito nel nel 1865), riporta l'espressione idiomatica “essere la quinta ruota del carro”, che ha significato analogo alla frase usata oggi e che chiarisce quale sia stata l'evoluzione.


Si dice . . . “fare un saltafosso”

Vuol dire tendere un tranello che consiste nel dare per certo un fatto, solo possibile per indurre qualcuno a dire o a fare qualcosa che non vorrebbe. Per esempio : in un interrogatorio, un inquirente dice al complice di una banda criminale che i suoi compagni hanno confessato, per indurlo a parlare a sua volta. L'immagine all'origine del detto, il fosso, è un solco scavato nel terreno in cui scorre l'acqua e rappresenta simbolicamente una barriera da scavalcare per migliorare, (vedi “saltare il fosso”, prendere una decisione importante). Ma qui si tratta di far credere all'altro di poter superare l'ostacolo, inducendolo invece all'errore.


Si dice . . . “essere un Carneade”

L'espressione “essere un Carneade” indica un personaggio sconosciuto che di colpo fa parlare di se. Il riferimento è a Carneade di Cirene, (214-129 a.C.), filosofo greco della scuola degli scettici, ma la frase si ispira al celebre “Carneade, chi era costui?” con cui si apre il capitolo VIII de I promessi sposi di Alessandro Manzoni, pronunciato da don Abbondio mentre legge un “panegirico” su San Carlo Borromeo. All'interno del testo il prelato trova menzionato il filosofo. La fortuna dell'espressione è stata tale che spesso, quando ci si riferiva ad uno sconosciuto balzato agli onori della cronaca, si usava riprenderne il nome aggiungendo : “Chi era costui?”


Si dice . . . “l'occhio del padrone ingrassa il cavallo”

Significa che solo un costante interesse personale verso i propri beni o affari può farli rendere in modo soddisfacente. Il proverbio latino “oculus domini saginat equum”, attribuito all'agronomo Columella, (4-70 d.C.), che sta alla base della frase fatta, faceva infatti intendere che solo la vicinanza, la presenza affettuosa del suo proprietario, garantisce il benessere dell'animale anche perché – come recitava un'antica favola – se il signore incarica del nutrimento del suo cavallo un servo, è probabile che costui si venda gran parte della porzione di fieno e che il povero equino dimagrisca sempre di più.


Si dice . . . “di riffa o di raffa”

Più usata al centro nord, l'espressione “di riffa o di raffa” significa raggiungere lo scopo in un modo o nell'altro o, con più precisione, con le buone o con le cattive. Dei due termini della locuzione, “riffa”, (dallo spagnolo rifa, lotteria), è il più conosciuto : si riferisce a una lotteria privata, che ha per premi oggetti di valore. Ma in questa locuzione, “riffa” ha invece l'accezione, sempre di origine ispanica, di sopruso, prepotenza, baruffa. “Raffa” dal canto suo deriva dall'antico verbo raffare, contrazione di arraffare, strappare via con aggressività o con l'inganno. Di riffa o di raffa quindi evoca fortuna, ma soprattutto sopraffazione o malafede.


Si dice . . . “prendere per oro colato”


L'espressione “prendere per (o come) oro colato” vuol dire accettare un'affermazione o un discorso come assolutamente veritieri e reali, senza alcuna remora o tentennamento. L'oro colato a cui si riferisce è detto anche “di coppella” oppure oro zecchino. Si tratta dell'oro purissimo, cioè quello che fin dai tempi antichi veniva sottoposto al processo della “coppellazione”. Attraverso questo procedimento, il metallo prezioso veniva fuso in forno a temperature altissime e poi colato in croggioli porosi a forma di piccole coppe, in modo da poter essere separato dagli altri metalli meno nobili, che fondono a temperature più basse. 

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