Più
donne in posti di responsabilità uguale meno corruzione. L'equazione
va dimostrata, ma nella percezione degli italiani è già un dato di
fatto.
"Dovendo
scegliere a chi affidare la gestione dei fondi pubblici, tra un uomo
e una donna, a parità di competenze, chi sceglierebbe?". La
domanda posta da EuromediaResearch di Alessandra Ghisleri,
nell'ambito di una ricerca condotta per conto della Fondazione Bellisario, (521 interviste tra settembre 2014 e maggio 2015). Netta
la risposta : il 48% si affiderebbero ad una donna e meno della metà,
il 21,3%, sceglierebbe un uomo. La quota sale fino al 57,5% se si
restringe il campo alle risposte dell'universo femminile.
Bisognerebbe
tenerne conto e farne buon uso, insieme al disegno di legge
anticorruzione, ormai alle battute finali alla Camera e alle tante
inchieste che cercano di mettere un argine al malaffare dilagante. La
ricerca che viene presentata in questi giorni nella sala Zuccari di
Palazzo Giustiniani a Roma, dalla presidente della Fondazione
Bellisario Lella Golfo, alla presenza di illustri ospiti, tra i quali Raffaele Cantone, contiene un'altra risposta che rafforza questa
percezione. Il 64% degli intervistati ritiene che l'ascesa al potere
delle donne, potrebbe migliorare i livelli di onestà e correttezza,
(73% tra le sole donne).
Il
problema, ad oggi, è che ai vertici di società e istituzioni, la
presenza femminile continua a rimanere minoritaria. Anche se gli
effetti della legge 120 del 2011, sulle quote nelle società quotate
e partecipate, che porta la firma proprio di Golfo, ha fatto sì che
596 donne siedono nei consigli di amministrazione e 381 sindaci.
"Esistono
peculiarità femminili che ci rendono meno inclini alla corruzione,
spiega la presidente della Fondazione Bellisario. Siamo più
affidabili, più prudenti e oculate nell'uso del denaro è nelle
spese, essendo da sempre amministratori delegati delle loro
famiglie".
Servirebbe
una "rivoluzione culturale", magari ribaltando e
aggiornando il famoso slogan con cui John Kennedy sconfisse Richard
Nixon, ("comprereste un'auto usata da quest'uomo?").
E
prendendo ad esempio donne come Gabriella Acerbi, "che nelle
intercettazioni di mafia capitale veniva definita poco disponibile",
osserva Lella Golfo che cita anche la figura di Elisabetta Tripodi,
sindaco di Rosarno, oggi presente al convegno romano. "Bisogna
puntare sulla leadership etica, portare avanti esempi virtuosi e
mettere all'indice quelli vergognosi, sradicando il seme
dell'impunità", conclude la presidente della fondazione
Bellisario.
Ma
la ricerca di Alessandra Ghisleri, proprio nei giorni in cui stanno
approdando al via libera definitivo le nuove norme anticorruzione, è
utile anche perché restituisce la diffidenza degli italiani, e delle
donne in particolare, rispetto alle iniziative legislative. Per il
71% degli intervistati, 72,1% al femminile, il disegno di legge "è
il solito annuncio che segue uno scandalo".
Una
conferma che la strada rimane in salita.
Cesare
Zapperi
Le
donne nei Parlamenti del mondo.
Ruanda,
Bolivia, Cuba, Seychelles, Svezia. Comincia così la classifica mondiale dei paesi, con maggiore rappresentanza femminile in
Parlamento. Dunque Africa al primo posto, America Latina al secondo,
Europa al quinto. Non solo, nei primi due casi il numero delle donne
è addirittura superiore a quello degli uomini: in Ruanda almeno 51
su 80 parlamentari sono donne, (63,8%), in Bolivia 69 su 130,
(53,1%).
Si
tratta dei risultati di uno studio che è stato pubblicato
dall'Unione Interparlamentare, organizzazione internazionale fondata
nel 1889, che riunisce i rappresentanti dei Parlamenti
democraticamente eletti, con l'obiettivo di sostenere la pace e la
cooperazione tra i popoli e rafforzare le istituzioni parlamentari.
Le
ragioni della massiccia presenza femminile nel Parlamento ruandese,
sono da ricercarsi nella storia recente. Dopo aver ottenuto
l'indipendenza dal Belgio nel 1962, il paese ha vissuto un periodo di
persecuzioni razziali tra Hutu e Tutsi, che ha toccato il culmine nel
tragico genocidio del 1994. In quella circostanza, che ha provocato
la morte di più di 800mila persone, le donne si sono trovate a
essere il doppio degli uomini. La classe politica attuale riflette
quindi la composizione della società, che oggi è costituita per il
55% circa da donne.
In
Europa, il primato spetta alla Svezia, in cui le parlamentari sono il
43,6%, (circa 152 su 349). Non tutti gli altri stati dell'UE,
tuttavia, possono vantare questi numeri. È il caso, ad esempio,
dell'Irlanda in 83esima posizione, nel cui Parlamento le donne sono
solo 27 su 166, il 16,3% : la Repubblica si posiziona di fatto dietro
paesi come Arabia Saudita, Eritrea, Turkmenistan e Sud Sudan.
L'Italia occupa invece la 32esima posizione nel mondo, inaspettatamente dietro
ad Algeria e Tunisia, ma davanti a Svizzera e Regno Unito: la
presenza femminile nel nostro Parlamento è pari al 31%, (almeno 195
donne su 630 posti disponibili).
I
dati si riferiscono alle elezioni politiche del 2013 e sono relativi
alla Camera dei Deputati; in Senato la percentuale è del 27,3%, 86
su 315. Il risultato evidenzia un trend in crescita: rispetto alla
precedente legislatura, i valori sono aumentati rispettivamente del
33,3 e del 46%.
Sono
sei, infine, i paesi che di donne, in Parlamento, non ne hanno
affatto: Micronesia, Palau, Qatar, Tonga, Vanuatu e Yemen.
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