Ad
ogni legislatura, puntuale come una crisi di governo, arriva in
Parlamento un progetto di riforma dell'Ordine dei giornalisti, retto
da una legge del 1963.
In
quell'anno Martin Luther King pronunciava "I have a dream",
John F. Kennedy veniva ucciso a Dallas, cedeva la diga del Vajont, i
Beatles pubblicavano il loro primo album, Calimero esordiva a
"Carosello".
1963
: 10 anni prima delle radio libere, 20 prima delle televisioni
private, 30 prima dei cellulari e di Internet domestica, 40 prima
della banda larga. Calimero forse no ; ma le altre cose, col mestiere
di giornalista, c'entrano.
La
legge che regola il nostro mestiere ha cinquantadue anni. L'accesso è
ancora basato sul praticantato in redazione, quasi scomparso. L'esame
resta modellato sul quotidiano cartaceo, ovunque in difficoltà. In
Italia gli iscritti all'ordine, (professionisti, pubblicisti, elenchi
speciali), sono circa 120.000. Il triplo di quanti esercitano il
mestiere in Francia, il doppio rispetto al Regno Unito. In Lombardia
c'è un giornalista ogni 437 persone, in Campania ogni 544, in
Piemonte ogni 645. Solo il 45% risulta professionalmente attivo ;
cosa ci facciano gli altri con la tessera, sarei curioso di saperlo.
Il
presidente dell'Ordine della Lombardia, Gabriele Dossena, collega al
Corriere,
mi ha raccontato d'aver ricevuto una telefonata : "Un suo
collega pretende di entrare qui a Gardaland con quattro figli,
mostrando la tessera di pubblicista !". Beh, potrebbe essere
un'indicazione.
Se
l'Ordine dei giornalisti vuole sopravvivere, deve trovare il modo di
riconoscere la qualifica di giornalista a chi fa davvero il
giornalista. Deve garantire standard di qualità, affidabilità,
indipendenza, "bollino blu", lo chiama Peter Gomez. Deve
aggiornare l'accesso alla professione, oggi anacronistico e
discrezionale. Se oggi l'Ordine non pensa ai colleghi di domani,
questi, appena potranno, lo spazzeranno via.
Se
noi giornalisti vogliamo un futuro professionale, non basta ripetere
di essere indispensabili in una democrazia, anche se è vero.
Dobbiamo dimostrarci utili. Chi non è utile, infatti, prima o poi
scompare. Di solito prima.
Questo
ho detto ieri al convegno "l'Italia cambia. Cambia il
giornalismo ?", organizzato da Anna Masera alla Camera dei
Deputati. Qualche collega, temo, non ha capito. Ma molti altri si.
Beppe
Severgnini
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