Morire
a 96 anni suonati, (il 15 dicembre 2015), e restare un enigma è roba da record. Non saprei
dire se Licio Gelli sia stato, come lo definì il grande Indro
Montanelli (che lo conobbe poco prima che Berlusconi comprasse Il
Giornale), «un magliaro». Né avrei elementi, e non li ha il 90%
degli italiani, per considerarlo una sorta di Sauron
(il cattivissimo de “Il Signore degli Anelli”), il male assoluto
e invisibile che condiziona le esistenze di tutti. Posso solo dire
che, della sua lunghissima vita, Gelli ne ha trascorsa una buona
fetta allo scoperto: entrato in massoneria nel ’64, è stato
sgamato
ufficialmente nell’81 nella sua qualità di maestro venerabile
della loggia Propaganda 2. Ma già prima questo ruolo era il classico
segreto di Pulcinella. Ne avevano scritto il “solito” Mino
Pecorelli, già piduista e direttore di OP, e Roberto Fabiani de
L’Espresso in “I massoni in Italia”, un instant book del 1978
(non è necessario rovistare le bancarelle dei libri vecchi: se ne
trova un ottimo pdf su internet, che mi pare di avere, chi vuole me
lo chieda e mi dia il tempo di trovarlo…), in cui Gelli e la P2
sono citati una trentina di volte. Da ciò il primo dubbio: come mai
questa presunta conventicola di delinquenti è stata “sputtanata”
solo nell’81, quando già nel decennio precedente l’opinione
pubblica aveva elementi a iosa per farsene un’idea? Ed è il primo
dubbio. Un altro dubbio me l’ha scatenato, quando ero ancora uno
studente, Piero Pelù, l’inquieto leader dei Litfiba. Narra un
articolo, apparso nel ’92 (e, a quanto ne so, mai smentito) su
L'Italia Settimanale,
che Pelù, fresco del successo di “Maudit”, il tormentone in cui
il quintetto toscano parlava dei “Misteri d’Italia”, si fosse
recato davanti il cancello di Villa Wanda per sfidare il decaduto
venerabile, clicca QUI. E che quest’ultimo l’abbia invitato a entrare e,
scusandosi per l’assenza di personale, gli avesse preparato il
caffè con le sue mani, senza la presumibile “correzione” alla
stricnina. Non credo che Gelli abbia stregato Pelù. Ma, a che mi
risulta, da allora il frontman ha lasciato perdere il venerabile. E
l’aneddoto, comunque, conferma due cose: la focosità del cantante,
poi dedicatosi al mainstream con ulteriori successi (che sia
diventato anche lui massone?) e le buone creanze del preteso più
grande criminale della storia italiana e, forse, non solo. Andiamo
avanti: a carico dei piduisti non è emersa, a livello giudiziario,
nessuna condanna per associazione sovversiva, terrorismo o
quant’altro. Si dirà: giudici corrotti. Forse. Ma allora,
prendiamocela col Csm, egemonizzato per oltre un trentennio da
Magistratura Democratica, notoriamente mangiamassoni a colazione, che
non ha mai censurato gli autori di certe assoluzioni. Cosa è emerso
a carico di Gelli, nel frattempo? Qualche maneggio finanziario
neppure esagerato e qualche storia di pastette. Roba che avrebbe
potuto fare un “cummenda” qualsiasi (e magari pure massone di
basso rango) della Brianza. Tutto qui il crimine? Sono convinto di
no. E sono convinto che Gelli - il quale, già prima di indossare
guanti e grembiule, aveva un passato da spione triplogiochista da
ispirare una dozzina di romanzieri fantasiosi - ne abbia fatte di tre
cotte. Solo che nessuna di queste presunte nequizie riguarda la
democrazia. Non era eversivo, per dirne una, il piano Rinascita
Democratica:
che c’era di strano a desiderare un sistema presidenziale in un
paese disordinatissimo qual era l’Italia dell’epoca? E qui
formulo un paradosso: negli ultimi trent’anni si è prodotta
tantissima (e in buona parte condivisibile) letteratura
“giustificazionista” nei riguardi dell’eversione dichiarata,
rossa e nera; perché ora non si può degnare la P2 di una
letteratura serena? Quale fu la “colpa” di Gelli? Per caso la
pretesa di ridimensionare i partiti famelici che, all’epoca,
avevano avvinto l’Italia in una rete clientelare che tuttora
condiziona la vita pubblica? A livello giudiziario, ripeto, non è
uscito altro. E allora mi permetto di dare al defunto Gelli lo stesso
beneficio del dubbio che tanti danno ad altrettanti boss mafiosi vivi
e mai condannati, sebbene di loro si sappia di tutto e di più. E
veniamo ora alla vicenda della massoneria e dei servizi “deviati”,
a cui si accosta volentieri la storia della P2. I servizi segreti, in
qualsiasi democrazia, sono deviati. Il solo fatto che esistano dei
“servizi” in una democrazia, dove dovrebbe imperare la
trasparenza, è una deviazione. E la massoneria? Il suo concetto di
riservatezza è tale da stimolare tutte le dietrologie. Peccato che
quando Gelli fu sputtanato ci fosse un fortissimo partito comunista
che predicava democrazia sui suoi organi locupletati dai fondi neri
sovietici. Il punto è questo: della P2 è assodato il suo ruolo
storico di stanza di compensazione tra vari ambienti (militari,
culturali, politici, economici e persino spezzoni di criminalità
organizzata) in funzione anticomunista. Come mai questo popo’ di
presunte nequizie è emerso solo anni dopo che di Gelli “si
sapeva”? Ho l’impressione che gli stessi “poteri forti” che
si erano serviti di Gelli per contrastare il Pci filosovietico,
scaricarono il venerabile quando ci fu la necessità di includere il
Pci che tentava lo strappo dall’Urss nel gioco “che contava”.
Cioè di onorare il compromesso storico 2.0 (quello post Moro, per
capirci). Ed ecco che, nel giro di pochi mesi, il temuto Gelli
divenne il male assoluto e, da venerabile, esecrabile. Se la P2, che
ha ispirato la fantasia di tutti i complottisti, fosse davvero il
male che si dice, sarebbe meglio: potremmo sentirci tutti più buoni,
perché sapremmo che il male era concentrato tra Villa Wanda e i 100
metri quadri di qualche loggia. Purtroppo la storia è più complessa
e ora c’è la speranza che proprio la dipartita dell’extravecchio
venerabile consentirà una lettura più lucida e meno partigiana. In
fondo, chi diede la carica contro la P2 furono i giornali “partito”
e “di partito”. E questo dovrebbe farci riflettere. Gelli ha
pagato essenzialmente una cosa: non fu un tessitore capace, ma “solo”
un materassaio (il suo mestiere): uno che riempiva dei sacchi con
quel che gli capitava. E quei sacchi, a un certo punto, esplosero. Ma
solo perché le cuciture si rivelarono insufficienti a tenere tutta
quella roba. Altri tessitori sono stati lasciati in pace, grazie a
questo capro espiatorio. E, come è capitato nelle ex repubbliche
dell’Est Europa, è stato consentito a molti di loro di
sopravvivere al crollo dell’impero sovietico e di riciclarsi nel
mondo postcomunista. Loro dovrebbero ringraziare in eterno Gelli e
quelli come lui. Gli eterni alibi del politicamente corretto. Io, più
umilmente, non vedo l’ora di leggere un po’ di storiografia più
seria su queste vicende.
Saverio
Paletta
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