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martedì 22 dicembre 2015

Una riflessione su Licio Gelli.

Morire a 96 anni suonati, (il 15 dicembre 2015), e restare un enigma è roba da record. Non saprei dire se Licio Gelli sia stato, come lo definì il grande Indro Montanelli (che lo conobbe poco prima che Berlusconi comprasse Il Giornale), «un magliaro». Né avrei elementi, e non li ha il 90% degli italiani, per considerarlo una sorta di Sauron (il cattivissimo de “Il Signore degli Anelli”), il male assoluto e invisibile che condiziona le esistenze di tutti. Posso solo dire che, della sua lunghissima vita, Gelli ne ha trascorsa una buona fetta allo scoperto: entrato in massoneria nel ’64, è stato sgamato ufficialmente nell’81 nella sua qualità di maestro venerabile della loggia Propaganda 2. Ma già prima questo ruolo era il classico segreto di Pulcinella. Ne avevano scritto il “solito” Mino Pecorelli, già piduista e direttore di OP, e Roberto Fabiani de L’Espresso in “I massoni in Italia”, un instant book del 1978 (non è necessario rovistare le bancarelle dei libri vecchi: se ne trova un ottimo pdf su internet, che mi pare di avere, chi vuole me lo chieda e mi dia il tempo di trovarlo…), in cui Gelli e la P2 sono citati una trentina di volte. Da ciò il primo dubbio: come mai questa presunta conventicola di delinquenti è stata “sputtanata” solo nell’81, quando già nel decennio precedente l’opinione pubblica aveva elementi a iosa per farsene un’idea? Ed è il primo dubbio. Un altro dubbio me l’ha scatenato, quando ero ancora uno studente, Piero Pelù, l’inquieto leader dei Litfiba. Narra un articolo, apparso nel ’92 (e, a quanto ne so, mai smentito) su L'Italia Settimanale, che Pelù, fresco del successo di “Maudit”, il tormentone in cui il quintetto toscano parlava dei “Misteri d’Italia”, si fosse recato davanti il cancello di Villa Wanda per sfidare il decaduto venerabile, clicca QUI. E che quest’ultimo l’abbia invitato a entrare e, scusandosi per l’assenza di personale, gli avesse preparato il caffè con le sue mani, senza la presumibile “correzione” alla stricnina. Non credo che Gelli abbia stregato Pelù. Ma, a che mi risulta, da allora il frontman ha lasciato perdere il venerabile. E l’aneddoto, comunque, conferma due cose: la focosità del cantante, poi dedicatosi al mainstream con ulteriori successi (che sia diventato anche lui massone?) e le buone creanze del preteso più grande criminale della storia italiana e, forse, non solo. Andiamo avanti: a carico dei piduisti non è emersa, a livello giudiziario, nessuna condanna per associazione sovversiva, terrorismo o quant’altro. Si dirà: giudici corrotti. Forse. Ma allora, prendiamocela col Csm, egemonizzato per oltre un trentennio da Magistratura Democratica, notoriamente mangiamassoni a colazione, che non ha mai censurato gli autori di certe assoluzioni. Cosa è emerso a carico di Gelli, nel frattempo? Qualche maneggio finanziario neppure esagerato e qualche storia di pastette. Roba che avrebbe potuto fare un “cummenda” qualsiasi (e magari pure massone di basso rango) della Brianza. Tutto qui il crimine? Sono convinto di no. E sono convinto che Gelli - il quale, già prima di indossare guanti e grembiule, aveva un passato da spione triplogiochista da ispirare una dozzina di romanzieri fantasiosi - ne abbia fatte di tre cotte. Solo che nessuna di queste presunte nequizie riguarda la democrazia. Non era eversivo, per dirne una, il piano Rinascita Democratica: che c’era di strano a desiderare un sistema presidenziale in un paese disordinatissimo qual era l’Italia dell’epoca? E qui formulo un paradosso: negli ultimi trent’anni si è prodotta tantissima (e in buona parte condivisibile) letteratura “giustificazionista” nei riguardi dell’eversione dichiarata, rossa e nera; perché ora non si può degnare la P2 di una letteratura serena? Quale fu la “colpa” di Gelli? Per caso la pretesa di ridimensionare i partiti famelici che, all’epoca, avevano avvinto l’Italia in una rete clientelare che tuttora condiziona la vita pubblica? A livello giudiziario, ripeto, non è
uscito altro. E allora mi permetto di dare al defunto Gelli lo stesso beneficio del dubbio che tanti danno ad altrettanti boss mafiosi vivi e mai condannati, sebbene di loro si sappia di tutto e di più. E veniamo ora alla vicenda della massoneria e dei servizi “deviati”, a cui si accosta volentieri la storia della P2. I servizi segreti, in qualsiasi democrazia, sono deviati. Il solo fatto che esistano dei “servizi” in una democrazia, dove dovrebbe imperare la trasparenza, è una deviazione. E la massoneria? Il suo concetto di riservatezza è tale da stimolare tutte le dietrologie. Peccato che quando Gelli fu sputtanato ci fosse un fortissimo partito comunista che predicava democrazia sui suoi organi locupletati dai fondi neri sovietici. Il punto è questo: della P2 è assodato il suo ruolo storico di stanza di compensazione tra vari ambienti (militari, culturali, politici, economici e persino spezzoni di criminalità organizzata) in funzione anticomunista. Come mai questo popo’ di presunte nequizie è emerso solo anni dopo che di Gelli “si sapeva”? Ho l’impressione che gli stessi “poteri forti” che si erano serviti di Gelli per contrastare il Pci filosovietico, scaricarono il venerabile quando ci fu la necessità di includere il Pci che tentava lo strappo dall’Urss nel gioco “che contava”. Cioè di onorare il compromesso storico 2.0 (quello post Moro, per capirci). Ed ecco che, nel giro di pochi mesi, il temuto Gelli divenne il male assoluto e, da venerabile, esecrabile. Se la P2, che ha ispirato la fantasia di tutti i complottisti, fosse davvero il male che si dice, sarebbe meglio: potremmo sentirci tutti più buoni, perché sapremmo che il male era concentrato tra Villa Wanda e i 100 metri quadri di qualche loggia. Purtroppo la storia è più complessa e ora c’è la speranza che proprio la dipartita dell’extravecchio venerabile consentirà una lettura più lucida e meno partigiana. In fondo, chi diede la carica contro la P2 furono i giornali “partito” e “di partito”. E questo dovrebbe farci riflettere. Gelli ha pagato essenzialmente una cosa: non fu un tessitore capace, ma “solo” un materassaio (il suo mestiere): uno che riempiva dei sacchi con quel che gli capitava. E quei sacchi, a un certo punto, esplosero. Ma solo perché le cuciture si rivelarono insufficienti a tenere tutta quella roba. Altri tessitori sono stati lasciati in pace, grazie a questo capro espiatorio. E, come è capitato nelle ex repubbliche dell’Est Europa, è stato consentito a molti di loro di sopravvivere al crollo dell’impero sovietico e di riciclarsi nel mondo postcomunista. Loro dovrebbero ringraziare in eterno Gelli e quelli come lui. Gli eterni alibi del politicamente corretto. Io, più umilmente, non vedo l’ora di leggere un po’ di storiografia più seria su queste vicende.

Saverio Paletta


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