Mi
guardano con occhi disperati, sopra ventri gonfiati dalla fame. Mi
strappano il cuore nel pallore del male che combattono. Mi tendono la
mano scarnificata sotto scialli logori. Hanno bisogno di me, del mio
aiuto e mi chiedono di giocare a Dio : chi devo scegliere? Chi devo
aiutare? Chi ignorare? Questa è la stagione dello straziante ricatto
della filantropia, che si fa travolgente nell'avvicinarsi del Natale
e il mio nome è ormai risucchiato nel grande vortice della
beneficenza.
Tutto
era cominciato in maniera banale, con pochi dollari. Arriva
un'ambulanza in casa, per soccorrere una persona caduta è ferita.
Sono volontari di una squadra di soccorso di quartiere. Non vogliono
nulla ma se non sei un verme, un arpagone o un poveraccio senza un
centesimo, mandi un contributo alla loro attività.
Invia
100 dollari alla Cheavy
Chase Bethesda Rescue Squad,
come
si chiamava. Mi arrivò la lettera di ringraziamento con
l'avvertenza che quei
100 dollari erano detraibili dalle tasse.
Buon cuore e buon affare.
Non
sapevo, come disse l'ammiraglio Yamamoto
nel 1941 dopo aver bombardato Pearl Harbor, che avrei svegliato un
gigante che dormiva. Il mio nome era finito dentro il tenero,
implacabile, insaziabile colosso delle "donations",
passato è rivenduto, frullato dalle banche dati. È tutto a fin di
bene e il bene è implacabile, non conosce pentimenti.
Sono
ormai nell'immenso corpo dei finanziamenti volontari caritatevoli,
che negli Usa pesa 300 miliardi di dollari l'anno e supplisce al
gracilissimo, anoressico corpicino dell'assistenza pubblica.
Mi
mandano appelli dozzine di questi enti caritatevoli. Sulla scrivania
o richieste dell'Unicef, (il braccio dell'Onu che si occupa di
bambini), Medici Senza Frontiere, Emergency, la Società per la lotta
alla fibrosi cistica, la Croce Rossa, la Associazione degli orfani
dei poliziotti, la marcia dei Dimes
per i bambini ancora non nati, la fondazione per la fauna dell'Alaska
(?), l'ospedale pediatrico di San Giuda, la fratellanza dei bambini
ciechi, la fondazione per la prevenzione dei suicidi, la Società per
la lotta all'artrite e tutti i gruppi che lottano contro i tumori
della mammella.
Sono
un milione e mezzo le organizzazioni caritatevoli non-profit negli
Stati Uniti e quando si avvicina il Natale, il tempo del rimorso per
i soldi buttati, si mobilitano in massa. La mia cassetta della posta
trabocca di appelli, ai quali si aggiungono le richieste di elemosine
politiche a partiti e candidati vari, da quando mia moglie versò
incautamente 50 dollari alla campagna elettorale di Obama nel 2008.
Da
allora ricevo appassionate lettere della first-lady
Michelle
: perché non ho più tue notizie, dear Vittorio ?
Chi
scegliere? È meglio, cioè è peggio, l'AIDS o la Croce Rossa,
Medici Senza Frontiere o le ambulanze volontarie del quartiere? Devo
commuovermi più per i bambini autistici o diabetici? Stacco assegni
per la lotta al tumore della mammella o per la vaccinazione dei figli
di immigranti illegali? Quale tragedia del giorno è più tragica, le
Filippine o il tornado che ha divorato la prateria, i monsoni del
sud-est asiatico o l'ultimo terremoto killer, (ce n'è sempre uno)?
Si
deve scegliere. A
chi molto è stato dato dalla vita, come a me,
molto è richiesto, ma neppure i Rockfeller
o i Gates
possono contribuire a tutto.
Quale
degli occhioni sgranati che mi guardano dalla foto è più
commovente? Il rischio è quello di premiare il fotografo più bravo,
anziché il bambino più malato.
Ci
chiedono di giocare a Dio, al Signore della misericordia con
bonifico, assegno o carta di credito, (negli Usa ci viene almeno
risparmiata la filantropia della pigrizia via SMS).
Con
il cuore trafitto, butto fasci di appelli nel cassonetto della carta.
Mi aggrappo al bene generico, per non dover pronunciare sentenze di
vita o di morte specifiche, stacco assegni per l'Unicef, per Medici
Senza Frontiere, per Emergency, per la Croce Rossa. Si preoccupino
loro di scegliere poi chi aiutare.
Getto
invece senza rimorsi tutte le richieste di donazione a partiti
politici, sperando che almeno loro la piantino di tormentarmi. Non ne
posso più di ricevere lettere strazianti da Michelle
Obama.
Vittorio
Zucconi
Nessun commento:
Posta un commento