Un
aspirante attrice, senz'arte né parte, si presenta al provino per un
film. Il regista la fa accomodare: "Mi mostra cosa ha nella
borsa?". "Nella borsa?". "Sì". Perplessa,
lei va a prendere la borsa, appesa all'attaccapanni. "Tiri fuori
a caso un oggetto è poi mi racconti cosa ci fa, perché è lì, che
cosa le ricorda". Lei inspira, espira, fa un risolino nervoso,
dichiara: "Sa, non c'è niente di straordinario" e comincia
a estrarre pezzi della vita, da quella borsa appoggiata sulle sue
ginocchia.
Un
portamonete, un portacipria, una mela, un anello troppo impegnativo
per essere indossato, la cartolina di un'amica suora che ha deciso di
sposarsi, pastiglie per l'insonnia, la fotografia del fidanzato che
dorme, un libro, una spilla, un'armonica. Ogni oggetto esce inanimato
e acquista consistenza, forza, fascino e storia nelle mani e nelle
parole della ragazza, che ha occhi grandi e lo sguardo sognante di
chi schiude per la prima volta lo scrigno del tesoro.
La
borsa di una signora è un luogo curioso e conturbante. Banale e
misterioso insieme. "Via le mani di lì! È un posto privato!".
Credo
che i miei figli pensino che lì dentro possa esserci qualsiasi cosa:
caramelle, pennarelli, un gatto, un Kalashnikov, il Santo Graal.
Tutto è possibile, dentro la borsa di una signora.
Dopo
15 minuti, il provino finisce. Lei si alza, saluta, riprende il suo
cappotto e se ne va.
La
borsa però, resta lì, nuovamente appesa all'attaccapanni. "Ehi,
la ragazza ha dimenticato la sua borsa!", grida il regista. "No,
non ce l'aveva". Quella borsa, con il portamonete, il
portacipria tutto il resto, non era della ragazza, così come non era
della ragazza tutta la vita, vibrante e inventata, che ne era uscita.
Lei,
con la sua stoffa acerba di attrice consumata, si chiamava Emilie Muller ed
era la protagonista dell'omonimo cortometraggio in bianco e nero, che
vidi la prima volta al cinema, una ventina di anni fa.
Mi
è tornata in mente, questa bellissima storia di borse, di vite degli
altri, di oggetti nascosti capaci di aprire squarci luminosi su
esistenze anonime, quando ho letto di un'indagine condotta da un
grande magazzino londinese secondo cui in media, (su che campione?),
La borsa di una donna, al netto di contanti e telefonino, contiene un
valore di 1200 sterline, circa 1400 euro.
Già,
tutti lì dentro, sottobraccio. Perché, pare ci si trovino, tra le
altre cose: una sciarpa, un profumo e un siero di bellezza, ognuno da
60 euro circa, un ombrello, degli occhiali da sole, (che, a ben
guardare, sono accessori meteorologicamente incompatibili), una
spazzola, un mascara, un rossetto è un tablet.
"Come
ti permetti di ravanare tra le mie cose?" Sottraggo il mio
tesoro dalle grinfie di mio figlio di mezzo, improvvisamente
galvanizzata dal ricordo della borsa delle meraviglie altrui,
raccontata da Emilie e dalla nuova consapevolezza del valore medio
dei nostri forzieri a tracolla.
Schiacciata
tra la fantasiosa Emilie e la sofisticata signora londinese, o
l'urgenza di toccare anche io con mano il mio tesoro. Ci trovo
briciole di biscotti, fazzoletti di carta appallottolati, scontrini
sbiaditi, due lucine intermittenti per la bicicletta, un ragno
molliccio di gomma rosa, una salviettina un tempo umidificata, il
bollettino per pagare la refezione
Le
nostre borse parlano di noi. Di quanto siamo ricche, dentro e fuori,
Il
prossimo passo sarà dimenticarla su un attaccapanni a caso,
afferrarne un'altra per sbaglio, piena di ombrelli e occhiali da
sole, e fingere di essere chi non siamo, almeno per lo spazio di un
provino.
Claudia
“Elasti” De Lillo
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