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domenica 5 ottobre 2014

Caro amico ti scrivo ... ma non so più come si fa.

Ho scoperto di non saper più scrivere. E forse è una scoperta che avete fatto anche voi. Non mi riferisco alla scrittura come alla mia professione, ad articoli, post in Internet, libri, rubriche, che a fatica riesco ancora a fare, anche se gli occasionali lettori di questa pagina potrebbero dissentire.
Non so più scrivere lettere, biglietti, dediche a mano oltre il "con simpatia", "auguri", "grazie" e la richiesta familiare di scriverli, quasi sempre preceduta dal "fallo tu che dovresti essere lo scrittore di casa", mi paralizza.
Datemi la tastiera di un computer e, come dolorosamente sanno i miei colleghi di "Repubblica" e di "D", costretti a comprimere e tagliare le mie sterminate composizioni, posso scrivere all'infinito. Datemi un foglio di carta e una biro e il micidiale blocco dello scrittore mi assale.
Stiamo, tutti, disimparando a scrivere. Se non sono appunti frettolosi appiccicati con la calamità al frigorifero, del genere letterario tipo, "la minestra è nel microonde" o "sono dal dentista", non scriviamo quasi più nulla a mano. E dunque non spediamo, e non riceviamo, lettere.
"Poco dopo aver cominciato una relazione con un uomo, ci dovremo separare per qualche tempo e provare il desiderio di scriverli - scrive Lisa Bono, critica letteraria del Washington Post - ma mi sono bloccata. Un SMS mi sembrava ridicolmente offensivo, da ragazzina. Una e-mail troppo brutale e impersonale. Una lettera mandata per
posta mi metteva ansia : come sarebbero suonate le mie parole recapitate dopo vari giorni, meno spontanee, troppo artificiose e ricercate ? Come sarebbe stata letta un anno o dieci anni dopo?".
Il risultato, racconta Lisa che ha recensito un delizioso libro sul tramonto della corrispondenza postale, fu che non li scrisse. Lui, da bravo maschio suscettibile e vanitoso, si offese, si pensò dimenticato e la storia d'amore finì nel silenzio.
Quando è stata l'ultima volta che il postino vi ha recapitato una lettera scritta a mano, una busta che non contenesse un catalogo di ferramenta, una fattura, una bolletta, una brochure? Mesi? Anni? Da quanto tempo non ne scrivete o imbucate una? Il servizio postale americano non distingue, non può farlo, tra una missiva d'amore e la comunicazione della banca che vi sollecita un pagamento.
Ma anche sommando tutta la corrispondenza cosiddetta di "prima classe", dunque non ciarpame promozionale, abbonamenti, pacchi, il volume di lettere consegnate è crollato negli anni. Oggi sono recapitate 30 miliardi di lettere all'anno in meno rispetto 20 anni or sono, soltanto negli Stati Uniti. 30 miliardi.
Ho cassetti e portapenne pieni di magnifiche stilografiche a inchiostro, che compro nella speranza che quel pennino d'oro, quelle cartucce o calamai gonfi di deliziosi colori, mi seducano e mi convincano a scrivere una lettera. Riposano tutte, defunte nelle incrostazioni che richiederebbero pazienti pulizie.
Oscar Wilde, che aveva la fobia per francobolli e servizi postali, almeno le scriveva, non disponendo di pc o tablet. Le buttava dalla finestra della sua casa di Chelsea, a Londra, nella speranza che un passante le raccogliesse e le inoltrasse per lui.
La rovente corrispondenza amorosa fra Anais Nin e Henry Miller, sarebbe inimmaginabile se fosse stata condotta via posta elettronica o Facebook, "mi piace/non mi piace".
La anonimità dei caratteri dei programmi di scrittura, la perfetta freddezza delle stampanti, non potranno mai restituire i tremori e le esitazioni della penna sulla carta, il calore della mano che tracciava le parole. Sentimentalismi, naturalmente. Ai bambini delle elementari, almeno qui nell'Hotel America, non si insegna più la calligrafia oltre al minimo indispensabile per scarabocchiare geroglifici e segni cuneiformi.
Non gli servirà, dicono. E se a volte si abusava del servizio postale, come nel 1914 quando i genitori di una bambina di quattro anni, Charlotte May Pierstorff, la spedirono ai nonni, (da allora è illegale inviare per posta esseri umani), la nostalgia delle lettere che mia moglie mi scrisse da un suo viaggio in Cina, mi ritorna.
Come a lei torna il ricordo delle lettere d'amore che le scrivevo da ragazzo. Andarono perdute in uno dei nostri tanti traslochi. Per fortuna.


Vittorio Zucconi

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