Ho
scoperto di non saper più scrivere. E forse è una scoperta che
avete fatto anche voi. Non mi riferisco alla scrittura come alla mia
professione, ad articoli, post in Internet, libri, rubriche, che a
fatica riesco ancora a fare, anche se gli occasionali lettori di
questa pagina potrebbero dissentire.
Non
so più scrivere lettere, biglietti, dediche a mano oltre il "con
simpatia", "auguri", "grazie" e la richiesta
familiare di scriverli, quasi sempre preceduta dal "fallo tu che
dovresti essere lo scrittore di casa", mi paralizza.
Datemi
la tastiera di un computer e, come dolorosamente sanno i miei
colleghi di "Repubblica" e di "D", costretti a
comprimere e tagliare le mie sterminate composizioni, posso scrivere
all'infinito. Datemi un foglio di carta e una biro e il micidiale
blocco dello scrittore mi assale.
Stiamo,
tutti, disimparando a scrivere. Se non sono appunti frettolosi
appiccicati con la calamità al frigorifero, del genere letterario
tipo, "la minestra è nel microonde" o "sono dal
dentista", non scriviamo quasi più nulla a mano. E dunque non
spediamo, e non riceviamo, lettere.
"Poco
dopo aver cominciato una relazione con un uomo, ci dovremo separare
per qualche tempo e provare il desiderio di scriverli - scrive Lisa
Bono,
critica letteraria del Washington Post -
ma mi sono bloccata. Un SMS mi sembrava ridicolmente offensivo, da
ragazzina. Una e-mail troppo brutale e impersonale. Una lettera
mandata per
posta mi metteva ansia : come sarebbero suonate le mie
parole recapitate dopo vari giorni, meno spontanee, troppo
artificiose e ricercate ? Come sarebbe stata letta un anno o dieci
anni dopo?".
Il
risultato, racconta Lisa che ha recensito un delizioso libro sul
tramonto della corrispondenza postale, fu che non li scrisse. Lui, da
bravo maschio suscettibile e vanitoso, si offese, si pensò
dimenticato e la storia d'amore finì nel silenzio.
Quando
è stata l'ultima volta che il postino vi ha recapitato una lettera
scritta a mano, una busta che non contenesse un catalogo di
ferramenta, una fattura, una bolletta, una brochure? Mesi? Anni? Da
quanto tempo non ne scrivete o imbucate una? Il servizio postale
americano non distingue, non può farlo, tra una missiva d'amore e la
comunicazione della banca che vi sollecita un pagamento.
Ma
anche sommando tutta la corrispondenza cosiddetta di "prima
classe", dunque non ciarpame promozionale, abbonamenti, pacchi,
il volume di lettere consegnate è crollato negli anni. Oggi sono
recapitate 30 miliardi di lettere all'anno in meno rispetto 20 anni
or sono, soltanto negli Stati Uniti. 30 miliardi.
Ho
cassetti e portapenne pieni di magnifiche stilografiche a inchiostro,
che compro nella speranza che quel pennino d'oro, quelle cartucce o
calamai gonfi di deliziosi colori, mi seducano e mi convincano a
scrivere una lettera. Riposano tutte, defunte nelle incrostazioni che
richiederebbero pazienti pulizie.
Oscar
Wilde, che aveva la fobia per francobolli e servizi postali, almeno
le scriveva, non disponendo di pc o tablet. Le buttava dalla finestra
della sua casa di Chelsea, a Londra, nella speranza che un passante
le raccogliesse e le inoltrasse per lui.
La
rovente corrispondenza amorosa fra Anais Nin e Henry Miller, sarebbe
inimmaginabile se fosse stata condotta via posta elettronica o
Facebook, "mi piace/non mi piace".
La
anonimità dei caratteri dei programmi di scrittura, la perfetta
freddezza delle stampanti, non potranno mai restituire i tremori e le
esitazioni della penna sulla carta, il calore della mano che
tracciava le parole. Sentimentalismi, naturalmente. Ai bambini delle
elementari, almeno qui nell'Hotel America, non si insegna più la
calligrafia oltre al minimo indispensabile per scarabocchiare
geroglifici e segni cuneiformi.
Non
gli servirà, dicono. E se a volte si abusava del servizio postale,
come nel 1914 quando i genitori di una bambina di quattro anni,
Charlotte May Pierstorff,
la spedirono ai nonni, (da allora è illegale inviare per posta
esseri umani), la nostalgia delle lettere che mia moglie mi scrisse
da un suo viaggio in Cina, mi ritorna.
Come
a lei torna il ricordo delle lettere d'amore che le scrivevo da
ragazzo. Andarono perdute in uno dei nostri tanti traslochi. Per
fortuna.
Vittorio
Zucconi
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