La
verità è che ci piace abbastanza. La verità è che la molestia in
rete e
una versione adulta è molto vantaggiosa di tutti i fangosi
campi da gioco su cui ci siamo allenate lungo la giovinezza: compagni
di classe prepotenti, capo uffici sussiegosi, passanti smaniosi di
ostentare virilità.
La
verità è che, se vi prendete la briga di venire sul nostro sito a
dire quanto non vi piacciamo, abbiamo già vinto. Sulla stampa
inglese americana, il dibattito ha un "cancelletto", in
linguaggio moderno hashtag, ovvero un'etichetta che lo caratterizza e
lo rende tema caldo del giorno se non addirittura della settimana. Il
fatto che quell' hashtag sia #mencallmethings,
#gliuominidiconolecosebrutte, dovrebbe già essere esaustivo circa il
livello da scuola elementare.
Fanno
così, fin da piccoli. Impariamo a gestirli, fin da piccole. Ci
dicono che siamo brutte, che nessuno ci vuole, che siamo quattrocchi
e ciccebombe e qualunque altra sciocchezza vi vergognereste di usare
come argomentazione in un dibattito. A volte ci restiamo male. In
quel caso ci sono due spiegazioni possibili: abbiamo meno di otto
anni, e ancora non abbiamo imparato i trucchi del bisticcio; o siamo
in una giornata di particolare fragilità, di quelle in cui qualunque
cretino è in grado di sembrarci metafora delle ingiustizie nel mondo
in generale e della nostra vita in particolare.
A
volte ci restiamo male, ma il più delle volte è uno spasso.
Davvero: non c'è niente di più godurioso che mettere un cretino di
fronte al suo essere un cretino. Fargli notare la sua totale mancanza
di strumenti dialettici. La sua incapacità di fare un'obiezione che
sia anche vagamente in tema. Non importa se accade in rete o nel
mondo reale, (cui la rete somiglia sempre più, e su questo torniamo
tra poco).
Importa
solo che anni di allenamento ci hanno fatto capire che non possono
vincere. Non perché siamo delle Demostene del dibattito noi: perché
sono un disastro di dibattenti loro.
Davvero:
uno che ti dice "puttana" perché sei stata più veloce di
lui a vedere il parcheggio è uno che troppo facilmente viene
annichilito da un finestrino abbassato e da un suo ardentissimo "E,
mi dica, in che modo la pochezza della sua vita sessuale inficia
invece le sue doti di guidatore?".
Uno
che ci dice "cicciona" somigliando più al ragionier Filini
che a George Clooney, e lo dice allorché tu stai argomentando sulla
finanziaria e non candidandoti a Miss Italia, si espone a un numero
di sottolineature della sua inadeguatezza che quasi vien da
intenerirsi.
E ci sarà sempre quell'uno che, in rete, dice la cosa
che, implacabile come le tasse e il Natale, non può non venire prima
o poi detta in ogni dibattito on-line: "Devi scopare di più".
Non avete bisogno che vi suggerisca risposte: ogni donna adulta ne ha
almeno cento.
La
rete, quindi, somiglia al parcheggio, col tizio che t'insulta perché
sei stata più abile di lui; alla strada, dove il tizio ti fischia e
si offende se non gli dai corda; all'ufficio, dove il caporedattore
ti dice "Tu occupati di belletti", certificando in questo
modo che l'opinione che hai appena trasmesso sulla crisi di governo è
informata, sensata, e così superiore alla sua che l'unico modo che
ha di gestirti è, come avrebbe detto suo nonno, rimetterti al tuo
posto.
Dev'essere
una vita durissima, quella vissuta sapendo che tu sei in grado di
avere pareri informati sui belletti e anche sui ministri, e lui su
nessuna delle due cose. Nessuno stupore che si sfoghi dicendoti le
cose brutte. Avrai notato, (sei una donna sveglia), che dopo ogni
debacle di quel certo capoufficio in riunione, sul tuo blog compare
un commento di lupachiotto65 che ti dice che sei una cessa e tuo
marito ti riempie di corna. E con un certo sollievo che,
rispondendoli nei commenti del blog, articoli ciò che pensi di lui e
della sua evidente invidia del pene, (altrui): in riunione non
potresti. Se solo ci mettesse la faccia, sarebbe costretto a
contenersi. E anche tu. Sarebbe davvero un peccato.
Qualche
mese fa ho risposto, nei commenti della pagina Facebook di un'amica,
a un tizio mai visto che aveva scritto una sciocchezza, dicendole che
era una sciocchezza. Dopo un'ora e un quarto, sul mio blog c'erano 43
commenti del tizio in questione. La gamma, (copio testualmente),
andava da "Non so cosa darei per incontrarti e spaccarti i denti
con un cazzotto" a "Piantala di far finta di essere magra
in foto ritoccandoti in Photoshop, tanto si sa che sei una buzzicona
e che fai schifo al cazzo" passando per "Prima o poi vedrai
che qualcuno ti farà la pelle, spocchiosa di merda" e "Ma
sai che fisicamente sei proprio un cesso di donna?".
Fino
all'immancabile (ve l'avevo detto: sempre lì si finisce), "Sei
una figa di legno che non ha di meglio da fare che odiare i maschi
perché non trovi mai qualcuno che ti scopa". So che non mi
crederete, ma giuro che i più volgari ve gli ho risparmiati.
In
quel momento ero negli Stati Uniti, e ho ricevuto una serie di
messaggi, tra lo scherzoso e il seriamente preoccupato, di amici che
suggerivano di non tornare. Un uomo saggio che conosco, e che
incidentalmente fa l'avvocato, commentò: "L'inconsapevolezza
con cui la gente sull'Internet viola il codice penale, convinta di
esercitare un diritto costituzionale, fa sempre tanta tenerezza".
La ragione per cui vi ho raccontato questo aneddoto è che il mio
sito ha i commenti moderati. Che, tecnicamente, significa che
qualunque commento lasciato diventa visibile al pubblico solo dopo
che l'ho autorizzato. Avrei dovuto censurare il maniaco del giorno,
anche solo per non rischiare la tendinite cliccando 43 volte su
"approva il commento"? Forse sì. Ma io ho una convinzione.
Anzi, due.
La
prima è che quelli davvero pericolosi non passino due ore su
Internet a dirti con nomignoli variabili quanto ti ucciderebbero. Mi
rendo conto che è un'affermazione rischiosa, e che la smentita
potrebbe consistere nel ritrovarmi sotto casa Mister 43 Commenti che
cerca di farmi nella vita vera ciò che argomenta virtualmente io
meriti. Ma, davvero: voi ve lo vedete Mark David Chapman che, invece
di aspettare con una pistola sotto al Dakota Building, si mette a
insultare John Lennon sulla sua pagina Facebook?
Sarò
un'illusa, ma credo che quel gigantesco bar che è la rete faccia da
sfogatoio a molte aggressività che, al 40º commento, sono già
troppo affievolite per mettersi a cercare un'arma e fare
appostamenti. Nel 2011, Chapman avrebbe aperto il gruppo Facebook
"Quelli
che vogliono Lennon morto",
qualche associazione di genitori si sarebbe indignata, e la cosa
sarebbe finita lì.
La
mia seconda convinzione, che rende l'esempio di Chapman non casuale,
e che, appunto, si tratti di fan. Fan irrisolti, fan con infanzie
problematiche, fan con vite vuotissime, ma pur sempre fan: come altro
chiamare gente che si prende il disturbo di leggere tutto ciò che
scrivi e di notificarti ogni volta quanto non gradisce la tua
scrittura? La ragione per cui ho cliccato 43 volte approva per quel
tizio, (e un numero minore di volte per altri detrattori un pochino
meno ossessivi), mentre lascio molto spesso in sospeso commenti
riassumibili in "Sei la più brava di tutte nonché bellissima
nonché alta e bionda", è che il culto della personalità mezzo
demolizione e molto meno stucchevole di quello a mezzo lusinga.
Altrimenti
detto: mi piace la rissa. Mi tiene in esercizio. E' il modo in cui
evito di avere paura di tornare a casa da solo in una strada buia.
È
il mio allenamento alle risposte molto più offensive delle offese
appena ricevute.
Ognuna
reagisce come vuole, naturalmente, con diverse sensibilità e
preoccupazioni.
Zoe
Williams del Guardian
trasecola perché ha letto un commento in cui, a una che parlava
della propria dieta, il tizio diceva una cosa tipo "Se ti taglio
gli arti vedrai come perdi peso". Io proprio non riesco a
credere che un amputatore da "Silenzio degli innocenti"
perda tempo a rivelare il proprio piano nei commenti di un blog, ma
magari mi sbaglio io. Ognuna reagisce come vuole: Anna North di
Jezebel
dice che gli uomini si permettono su Internet livelli di aggressività
che non oserebbero sfiorare nella realtà, perché in rete non
riconoscono l'interlocutrice come essere umano. Sarà. Io ho
l'impressione che siano ragionevolmente certi della mancanza di
reazione e, come tutti i bambini maleducati, se ne approfittino.
L'altro
giorno uno sconosciuto mi ha fatto delle avances. Avrà avuto
ottant'anni. Ho riso: "Ma per cortesia, lei potrebbe essere mio
nonno!". Si è rabbiosamente risentito, e mi ha dato della
stronza urlando finché non ho svoltato l'angolo. Probabilmente ero
la 50ª cui si proponeva quella mattina, e la prima ad avergli
risposto. Eravamo per strada, non su Internet.
Guia
Soncini
Testimonianze
delle blogger
Elasti
scrive il blog “nonsolomamma”
L'altra
mattina mio marito mi ha telefonato in ufficio. "Elasti, hai
visto il blog?". Aveva una strana voce. "No, perché?".
"Il commento 27, anonimo. Forse dovresti cancellarlo". Da
cinque anni ho un blog in cui racconto di noi, di un marito barese
economista marxista, di tre figli maschi, di me, delle mie ansie da
prestazione e di inadeguatezza, di quanto è difficile ma anche
divertente, tenere i pezzi insieme senza perdere il senno. Da cinque
anni la nostra vita, in versione un po' fumetto un po' sit-com, è in
piazza, alla mercé dei passanti virtuali. Commento 27: "Sei
solo una zoccola e tuo marito un gran cornuto". Aveva ragione
lui, con la sua strana voce: forse dovrei cancellarlo. Per pigrizia e
per una interpretazione distorta della libertà di espressione,
permetto ai visitatori - amici, lettori occasionali, feticisti della
famiglia numerosa, pazzi - di lasciare tracce senza filtri né
censura. Periodicamente qualcuno mi insulta. Perché sono fedigrafa,
perché non mi occupo abbastanza dei miei figli e sono scellerata,
perché me ne occupo troppo e sono rimbecillita, perché ho assunto
una baby-sitter e sono una sporca borghese, perché vado a una
manifestazione e sono una sporca comunista, perché non ho gli occhi
blu e le gambe da fenicottero che pure mi piacerebbero tanto. Un
tempo, un commento malevolo poteva funestare una giornata. Poi ho
imparato che la rete, come il mondo, e piena di provocatori rigorosi.
Non meritano telefonate in ufficio la mattina, nè i nostri mal di
pancia né la nostra rabbia. E c'è un solo modo per scoraggiarli:
ignorarli. Proprio come si fa con i bambini maleducati.
Michela
Murgia, scrive sul blog con il suo nome
Si
rassegni chi ha l'impressione di essere perseguitato dai molestatori
della rete: in Internet c'è almeno un troll per ciascuno di noi, ma
il modo per arginarlo non può essere quello di applicare al Web, le
categorie del controllo sociale che siamo abituati a considerare
normali a computer spento. Chi ha un blog, sa che ci sono tre modi
per cercare di dominare i lati oscuri dell'anonimato in Internet; il
primo è di natura poliziesca e tende ad aumentare i livelli di
tracciabilità dei commentatori, obbligandoli al rilascio di dati
personali, che però si rivelano quasi sempre falsi. Il secondo è di
natura censoria e prevede l'approvazione previa di ogni singolo
contributo alle discussioni, con un dispendio enorme di tempo. Il
terzo è l'esistenza di una comunità di commentatori, che applica
per tacito accordo una serie di buone prassi, tese a isolare il
molestatore. Questa modalità, nota anche come "Non dare da
mangiare al troll", sulla lunga distanza è la più efficace, ma
richiede una fiducia nella capacità della rete di
auto-regolamentarsi che i novizi di Internet spesso non possiedono.
Davanti al commento violento, si sentono minacciati come se ci fosse
un ladro con passamontagna davanti alla porta di casa. L'ipertrofia e
la misura delle cose sul Web, sia nella quantità di informazioni
disponibili, sia nella mole di interazioni che è possibile
sviluppare attorno a ciascuna di esse, sia nei registri di
linguaggio, che spesso prevedono toni che nella vita reale, nessuno
di noi userebbe in una discussione a fine cena.
Loredana
Lipperini scrive il blog Lipperatura
In
sette
anni
di
blog
sono
stata
invitata a
spararmi
un
colpo in testa
e ad
andare
in palestra
perché
ho il culo sceso. Le mie fotografie sono state ritoccate a colpi di
Photoshop facendo sì che la mia testa troneggiasse sopra il corpo di
una porno poliziotta, di una madre badessa, di una scrittrice nuda,
di una punk con elemento fallico tra le braccia. Sono stata definita
vecchia, bigotta, incapace, sciatta, mafiosa, isterica. E,
soprattutto, censuratrice del libero pensiero. È la dura legge dei
troll, cui nessuno sfugge, e le blogger ancor meno: perché chi
interviene su un blog per interrompere la conversazione, ha lo scopo
di portare il discorso su se stesso e su quel che pensa e scrive,
(questo fa un troll), e nutre la curiosa convinzione che una donna
non potrà respingerlo, ma dovrà tollerarne pazientemente le
intemperanze. In effetti, per un po' tollero: ma al decimo richiamo
pubblico e alla quarta mail privata, metto in moderazione per la
salvaguardia del dibattito che si sta svolgendo. Ed è qui che il
troll sbotta, e parte a caccia dei simili sottoposti allo stesso
trattamento, (su altri blog o su Facebook): l'unione fa la forza, e
moltiplica l'insulto. Prevenzione? Impossibile: perché il troll non
è il ragazzino smanettone della vulgata: fra i miei, posso
annoverare scrittori e uffici stampa di trasmissioni tv. La difesa?
Il consiglio migliore è quello della nonna: don't feed the troll,
non nutrirlo, non rispondere, renderlo trasparente. A dire il vero,
c'è stato un giorno in cui stavo per denunciarne due fra i più
affezionati, dopo che un'amica giurista, esaminando con orrore la
documentazione, mi aveva consigliato di farlo. Sono arrivata sulla
porta della stazione di polizia. Sono tornata indietro. I troll
chiedono attenzione, con maggior o minor intensità a seconda della
patologia, (perché in moltissimi casi di patologia si tratta, e non
di complotto organizzato). Denunciarli sarebbe dargliene troppa.
Ignorare, ragazze. E resistere.
Nessun commento:
Posta un commento