Tre
fotogrammi dal mondo per sintetizzare una tendenza. Nel desolato Nord
norvegese, giovani che emigrano verso la tranquillità di un impiego
in città, lasciando le baleniere "spiaggiate" : se proprio
devono andare al largo, meglio farlo per i generosi stipendi delle
piattaforme petrolifere, che per diventare moderni capitani Achab.
Nei mari d'Islanda, turisti con binocoli al collo che arricchiscono
pescherecci fino a ieri armati di arpioni.
In
Giappone, tonnellate di carne di balena che giacciono invendute nei
congelatori.
Sono
tre immagini che rivelano che la caccia a Moby Dick è in ritirata.
Non che le balene siano al sicuro, anzi. Inquinamento, (anche quello
acustico dei sonar), riscaldamento climatico e catture accidentali,
(anche con le illegali spadare italiane), sono ormai più letali
degli arpioni.
"Responsabili
della morte di centinaia di migliaia di esemplari ogni anno",
dice Alessandro Gianni di Greenpeace Italia. Per contro, stando all'
IWC, la Commissione Internazionale per la caccia alle balene, i
numeri dei cetacei catturati dalle baleniere, sono calati a 1325 nel
2012 dai 6700 del 1986, l'anno di introduzione della moratoria sulla
caccia.
Merito
delle campagne animaliste, degli arrembaggi degli eco-pirati come Sea
Shephered, dei tempi che trasformano gusti, sensibilità e necessità,
più che di una conversione alla riverenza per la legge.
Norvegia
e Islanda, infatti, continuano a violare il divieto internazionale.
Mentre il Sol Levante continua a rispettarlo solo formalmente,
mascherando la più alacre operazioni di pesca dei cetacei al mondo,
con il pretestuoso richiamo alla ricerca scientifica.
Norvegia, Islanda e Giappone insieme, nei 27 anni dall'inizio della moratoria, hanno ucciso quasi 30.000 esemplari, perlopiù balenottere minori. Un'enormità. Ma comunque meno di quante ne venivano eliminate in un solo anno fra le due guerre.
Norvegia, Islanda e Giappone insieme, nei 27 anni dall'inizio della moratoria, hanno ucciso quasi 30.000 esemplari, perlopiù balenottere minori. Un'enormità. Ma comunque meno di quante ne venivano eliminate in un solo anno fra le due guerre.
Chissà
se avranno notato la differenza laggiù, negli abissi. Già, perché
ci sono specie come la balena artica, che arrivano a vivere 200 anni.
E potrebbe pure essercene qualcuna che, miracolosamente scampata per
tutto questo tempo alle fiocine, ricordi ancora il cruento trambusto
che c'era nelle acque fredde del pianeta nel lontano 1925, quando
furono introdotte le navi-officina. Con gli arpioni esplosivi,
inventati nell'ottocento, e il varo di questi macelli-galleggianti,
la caccia grossa era iniziata.
La
decimazione dei cetacei schizzò all'inaudita cifra di 40.000
all'anno, mentre i loro corpi venivano depredati come miniere. "Le
interiora diventavano corde per racchette e i denti tasti per
pianoforte", racconta il britannico Philip Hoare, autore di
Leviatano,
ovvero
la balena
(Einaudi 2013), saggio storico-naturalistico-letterario sulla bestia
di Melville.
L'olio
ricavato dal grasso, che aveva illuminato a lungo le notti dell'uomo,
iniziava a essere rimpiazzato dal petrolio. Ma per molto tempo ancora
finì in un'infinità di prodotti, (margarina, linoleum,
lubrificanti), arricchendo anche Aristotele Onassis. Poi, c'era la
carne. Così proteica che il generale americano MacArthur,
a capo dell'occupazione del Giappone, pensò bene di usarla per
nutrire i giapponesi impoveriti dalla distruzione bellica, avviando
la moderna industria baleniera del paese, con tale successo che anche
le mense scolastiche iniziarono a proporla.
Oggi,
invece, le 5000 tonnellate di carne nei surgelatori della patria dei
sushi, sono l'epitome di una follia economica tutta nipponica. Lo
scorso anno l'Istituto per la ricerca sui cetacei, responsabile della
caccia “scientifica”, ha ammesso che tre quarti del pescato non
aveva acquirenti. Del resto la carne dei mastodonti del mare, è
ormai prelibatezza offerta da qualche ristorante chic di Tokio o
consumata da sparute comunità marinare.
Vuoi
per una evoluzione della dieta o delle coscienze, il 90% dei
giapponesi non la mangia più. Eppure la guerra al leviatano continua
e i contribuenti sono costretti a finanziarla. 7 milioni di euro
l'anno. Che probabilmente aiutano anche Tokio a ingrossare il fronte
anti-moratoria comprando i voti dei paesi nell' IWC.
Perché
il Giappone si ostini a portare avanti una caccia che è un salasso
pubblico, è questione che a Greenpeace riassumono nella parola
"potere": "E' un favore a un ristretto numero di
persone, in un paese dove il ministero della pesca è molto potente".
Così
potente che è riuscito anche a dirottare dei fondi della
ricostruzione post-tsunami. Un'altra spiegazione la offre Hoare : "I
giapponesi consumano l'80% dei tonni rossi pescati nel pianeta. E
Tokio difende il diritto a cacciare balene, per non dover cedere in
futuro sul tonno o altri pesci a rischio". Ovvero, ammazzare
infruttuosamente i cetacei oggi, per continuare a mangiare
serenamente sashimi domani.
Il
profitto, per l'appunto, è uno dei temi della moral
suasion
ecologista.
Che vorrebbe vedere abbandonare il whaling per il whale whatching, la caccia per il turismo. L'avvistamento di capodogli e megattere è business da 2 miliardi di dollari nel mondo. Nella sola Islanda, gli escursionisti delle acque artiche sono arrivati a 175.000 nel 2012. E persino in Giappone stanno crescendo del 6% l'anno. Secondo il Fondo Internazionale per il Welfare degli animali.
Che vorrebbe vedere abbandonare il whaling per il whale whatching, la caccia per il turismo. L'avvistamento di capodogli e megattere è business da 2 miliardi di dollari nel mondo. Nella sola Islanda, gli escursionisti delle acque artiche sono arrivati a 175.000 nel 2012. E persino in Giappone stanno crescendo del 6% l'anno. Secondo il Fondo Internazionale per il Welfare degli animali.
Dove
non è riuscita l'argomentazione animalista, insomma, potrebbe
arrivare quella più prosaica del denaro. La stessa che, in parte,
sta spingendo i giovani norvegesi a non seguire le rotte dei padri.
Delle 200 baleniere attive negli anni 50', solo 20 continuano a
cacciare, soddisfacendo quel 5% di cittadini rimasti a mangiare carne
di balena.
La
demografia marina, però, resta in allarme. Oggi le balenottere
azzurre, il più grande mammifero vivente, sono un migliaio: l'1%
della popolazione originaria. Quelle nel santuario antartico appena
75. Il precipizio dell'estinzione è a un passo. Eppure noi, arrivati
sulla terra ben dopo le regine degli oceani, continuiamo a sapere
pochissimo su di loro. Solo dopo aver camminato sulla Luna, siamo
riusciti a fotografare una balena nel suo habitat.
La
letteratura ne aveva fatto un mostro, anche perché era un mistero.
Ora che ci fa simpatia, siamo noi ad apparire ancora come mostri ai
suoi occhi.
d. R.
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