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anni fa, il 14 aprile 1912, affondava il Titanic. Il Novecento
iniziava con un naufragio, ma il secolo era così baldanzoso che fu
appena un inciampo e la tragedia fu convertita all'istante nella
pubblicità al telegrafo.
Il
16 aprile il London
Times scrisse
: “Il segnale di pericolo del mostro ferito risuonò per le
latitudini e le longitudini dell'Atlantico, e da ogni parte le sue
sorelle, grandi e piccole, s'affrettarono in suo soccorso.”
Il
New York
Times
proclamò : “Se non fosse per l'uso quasi magico dell'aria, la
tragedia del Titanic sarebbe rimasta avvolta in quel mistero che fino
a poco tempo fa era il potere del mare.” Il mistero era svanito.
Nel
1912, un secolo fa, il nostro tempo iniziò. Nessuno poteva fermare
il futuro. Gli aerei decollavano, le grandi navi salpavano e una
rete di voci avvolgeva il pianeta. Le macchine inghiottivano spazio
e tempo. A ottobre a Parigi si sarebbe tenuta la Conferenza
Internazionale sul Tempo e gli umani, in ogni parte del mondo,
incominciarono a vivere secondo un unico tempo uniforme.
La
motivazione era economica. Merci e persone dovevano spostarsi con
qualche certezza sull'orario. L'ora diventò legale. “Intorno
al 1870”, scrive Stephen Kern in Il
tempo e lo spazio
(Il Mulino), “se un viaggiatore da Washington a San Francisco
avesse voluto regolare il suo orologio in ogni città per la quale
passava, avrebbe dovuto farlo oltre 200 volte”.
Il
I° luglio 1913 alle ore 10 del mattino, la Tour Eiffel lanciò il
primo segnale orario mondiale. Dopo millenni di più o meno, era
nata la puntualità. Qualcuno provò a protestare. Nel 1881, in
American
Nervousness,
il medico George Beard si scagliò contro gli orologi da polso : “Un
ritardo di pochi attimi potrebbe distruggere le speranze di tutta una
vita”. Un cronista profetizzò : “Gli uomini saranno accecati
dall'eccesso di luce elettrica e impazziranno per il ritmo delle
comunicazioni”.
Qualcuno
pensò di ribellarsi. L'Agente
Segreto
di Conrad ruota intorno al progetto di un attentato dinamitardo
contro il meridiano di Greenwich.
Forse
tutto finì il 28 aprile 1912, quando la polizia uccise Jules Bonnot,
l'anarchico che con la sua banda, qualche mese prima, aveva
realizzato la prima rapina in automobile della storia, (che fu anche,
grazie a un cineamatore di passaggio, la prima a essere filmata).
Se
il Novecento iniziò nel 1912, nessuno può ancora dire quando è
finito. E quando è iniziato il 2000. Forse siamo ancora dentro
un secolo fa. Il tempo, però, è cambiato. Procede a scatti.
Ha smesso di scorrere. Gli orologi meccanici sono passati di moda e
le lancette sono state sostituite dai numeri al quarzo. “La sera
mi piace caricare il mio orologio”, scrive il poeta Junichiro
Kawasaki all'amico Gafyn Llawgoch, “Quando giro la rotella tra
pollice e indice mi pare di riavvolgere il passato e di preparare il
futuro. Mi pare che la giornata trascorsa si arrotoli e inizi a
dipanarsi il domani.”
“Il
presente”, scrisse il filosofo William James, “non è un filo di
coltello, ma un tetto a due spioventi, dotato di una certa sua
ampiezza, su cui sediamo appollaiati, e da cui guardiamo nel tempo in
due direzioni”.
Oggi
lo spiovente pende solo da una parte. Verso il passato. Il futuro
è svanito. Il tempo si presenta come una raffica di fotografie che
per un secondo occupano il campo visivo e invadono la nostra
attenzione, ma poi scompaiono sostituite da altre e da altre e da
altre ancora.
E'
un infinita successione di diapositive slegate, che non possono
formare sequenze, soltanto violenti shock istantanei. E' difficile
perfino affondare. Anche il naufragio è un fermo immagine. Da
mesi una nave immensa se ne sta addormentata a poche metri da terra,
reclinata su un fianco. Sulla riva la gente si mette in posa e si
fa fotografare.
G.P.
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