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lunedì 6 febbraio 2012

Seneca : felicità e virtù


La vera felicità risiede nella virtù, la quale ci consiglia di giudicare come bene solo ciò che deriva da lei e come male ciò che proviene invece dal suo contrario, la malvagità.   Poi, di essere imperturbabili, sia di fronte al male che di fronte al bene, in modo da riprodurre in noi, per quanto è possibile, Dio.   Quale premio per questa impresa la virtù ci promette privilegi immensi, simili a quelli divini : nessuna costrizione, nessun bisogno, libertà totale, assoluta, sicurezza, inviolabilità ; non tenteremo nulla che non sia realizzabile, niente ci sarà impedito, né potrà accaderci alcunché che non sia conforme al nostro pensiero, niente di avverso, niente di imprevisto o contro la nostra volontà.   “ Cosa ? “, mi dirai.   “ La virtù basta per vivere felici ? “   E come potrebbe non bastare, quand'è perfetta e divina ?   Anzi, è più che sufficiente.   Che può mancare, infatti, a chi si trova fuori da ogni desiderio ?   Non può venirgli nulla dall' esterno, quando ha già tutto dentro di sé.   “ Ma chi procede verso la virtù “, replicherai, “ anche se ha fatto molta strada, dev' essere anche un pò aiutato dalla fortuna, fintantoché si dibatte tra le vicende umane, sino a che non sciolga quel nodo e non infranga ogni legame mortale.   Che differenza c'è, allora, fra costui e gli altri ? “   Che questi sono legati solidamente, strettamente, e anche con molti nodi, a quello, invece, che si è avviato verso una dimensione superiore, spingendosi più in alto, la catena s'è allentata : egli non è ancora libero, ma è come se lo fosse.

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