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mercoledì 23 novembre 2011

Modi di dire 5

Si dice : “ essere il non plus ultra “

Vuol dire essere il meglio, il massimo possibile, anche limitatamente a un settore specifico. L' espressione è una volgarizzazione del latino “ nec plus ultra “ che letteralmente vuol dire “ non più oltre “. E' la frase che secondo la mitologia classica Ercole incise sui monti Calpe ed Abila, dove pose le proverbiali colonne considerate il confine del mondo, oltre il quale nessun uomo poteva spingersi. Nell' epoca moderna quel confine è stato identificato con lo stretto di Gibilterra, ( la porta verso il mare oceano ), ma non pochi studiosi, data l' arcaicità del mito, ritengono si trattasse dello stretto di Messina.

Si dice : “ appioppare qualcosa a qualcuno “

Vuol dire affibbiare un' incombenza gravosa, un compito sgradito. L' espressione deriva dall' antica abitudine dei contadini di fare arrampicare, “ maritare “, la vite sui rami dei pioppi. Già gli etruschi svilupparono questa tecnica di coltivazione con due varianti : l' alberata, se la vite è legata ad un singolo albero, e la piantata se le viti sono legate, tramite funi, ad alberi disposti in filari. Alberate e piantate sono tuttora presenti nel Cilento ( Salerno ) e nel casertano, ove il vitigno coltivato, l' Asprinio, si lega a pioppi alti fino a 15 mt.

Si dice : “ marinare la scuola “

Il celebre detto “ marinare la scuola “, ossia saltarla per un giorno per andarsene da un' altra parte, è una frase letteraria. Nel linguaggio degli studenti infatti, indicando un comportamento proibito, assume delle espressioni gergali che cambiano da una zona all' altra : se in Lombardia la scuola si “ bigia “ a Roma si dice “ fare sega “, in Toscana “ fare forca “, in Piemonte “ tagliare “, in Campania “ fare filone “, in Veneto “ fare manca “, a Trieste “ fare lippa “ e così via. Tornando a “ marinare “, il termine è legato alla tecnica della marinatura degli alimenti, ossia il trattarli con sale e aceto per conservarli. Si intende dunque “ conservare “ la scuola per consumarla un altro giorno.

Si dice : “ deus ex machina “

L' espressione, tradotta dal latino, significa letteralmente un Dio che compare grazie a una macchina, intesa come meccanismo, a sua volta ripresa dal greco antico che designa una figura che appare all' improvviso dal nulla, a risolvere una situazione apparentemente senza sbocchi. L' origine della locuzione è da ricercare nel teatro classico, ( greco e poi antico-romano ), allorché quando si doveva far intervenire una o più divinità per cambiare il corso della narrazione, si ricorreva a una rudimentale macchina in legno mossa da un sistema di funi e carrucole, che faceva calare il nume dall' alto, ossia dal cielo.

Si dice : “ . . . a babbo morto “

Si riferisce a qualcosa che si rimanda a data indefinita, molto lontana nel tempo e comunque troppo tardi. In origine questa frase era riferita solo a prestiti con la caratteristica che chi li contraeva, prometteva di pagare quando, morto il genitore, l' interessato fosse entrato in possesso della eredità. Se la morte del padre non era imminente o provocata, la scadenza era quindi indefinita e poteva essere anche molto lontana nel tempo. Chi riceveva una tale promessa di pagamento, sapeva che il prestito sarebbe stato rimborsato chissà quando o forse mai, e di fatto l' espressione “ prestito a babbo morto “, assunse il significato più negativo di prestito non rimborsabile.

Si dice : “ passare la notte in bianco “

Vuol dire trascorrere una notte insonne. L' origine probabile è un' usanza degli antichi ordini cavallereschi. L' aspirante cavaliere infatti, per presentarsi purificato alla solenne cerimonia di investitura che prevedeva il giuramento nelle mani del suo Signore, la vestizione e la consegna della spada, era prima condotto in un luogo sacro per trascorrere la notte in solitudine, preghiera e meditazione, con indosso una simbolica veste bianca adornata di simboli religiosi. Condizione indispensabile per essere ammesso alla cerimonia, era che il candidato non prendesse sonno tutta la notte.

Si dice : “ tornare a bomba “

Vuol dire ricondurre un discorso, dopo aver divagato, al punto da cui era partito. Tale frase originerebbe da un vecchio gioco di ragazzi in uso a Firenze, detto “ gioco del Pome “ o “ Toccapomo “ in cui una palla, definita bomba, indicava una zona franca e intoccabile in cui rifugiarsi. Ma c'è chi sostiene che l' espressione derivi dal passo di una discussione parlamentare del politico ottocentesco Silvio Spaventa, originario di Bomba, cittadina abruzzese. Costui, più volte interrotto dai colleghi mentre si riferiva al suo paese natale, avrebbe finito per esclamare forte : “ Torniamo a Bomba ! “

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