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giovedì 13 ottobre 2016

Caso Corona, stop alle telecamere.

Che Fabrizio Corona si sia messo di nuovo nei guai, non mi meraviglia: capita a tutte le teste calde che credono di godere di qualche speciale impunità. Non parlo di impunità giudiziaria, intendiamoci: quel che doveva pagare, Corona finora l’ha pagato, anche se con qualche sconto. Ma mi riferisco a quel particolare impatto che quelli come lui hanno sui media, nessuno dei quali, finora, l’ha crocifisso, al contrario di ciò che capita sistematicamente a tanti “pesci piccoli”, per esempio ai pusherini di quartiere, sbattuti in pagina sol perché trovati in possesso di un po’ d’erba. Anzi: Corona è stato vezzeggiato, carezzato e vellicato da tv, quotidiani e rotocalchi.
In fondo, il personaggio “tirava”: figo, trasgressivo, in perenne compagnia, dolce e non, di “bone”, a partire dalla supercoscialunga Nina Moric e menefreghista di tutto e di tutti. Un antieroe 2.0, a misura dei sogni bagnati di ragazzine piene di voglia di trasgredire a buon mercato. E poi, i suoi reati presunti e reali, che colpivano ricchi altrettanto impuniti e volgari nel loro esibizionismo, erano poca cosa, se paragonati agli atti aberranti di altri antieroi. Per capirci, Corona non era Pietro Maso, il ragazzo che ottenne negli anni ’90 una forte notorietà mediatica dopo aver ammazzato i genitori in maniera barbara e per futili motivi. Maso, che ricevette in carcere parecchie lettere d’amore, divenne una star negativa. Finché poi i media, allora meno degradati, non decisero che fosse troppo e staccarono la spina ben prima che la magistratura scrivesse, con una condanna sonora, la parola fine su tutta quella vicenda orribile.
Nel caso di Corona, neanche paragonabile (per fortuna) all’orrore di Maso, è accaduto l’inverso: i media, partiti da una vicenda boccaccesca in cui c’era di tutto (presunti lenoni, ex re puttanieri più estorsori), hanno ingigantito il personaggio del paparazzo oltre i suoi meriti, pochi o nulli, e le sue colpe, non così pesanti come le considera parte dell’opinione pubblica. Ed ecco che, da semplice estorsore che viveva del sottobosco della Milano by night, Corona è diventato un maitre-a-penser del politicamente scorretto. Troppa grazia.
Ci siamo sorbiti per anni le sue pose da palestrato in cella, le sue parolacce e i suoi insulti a chi lo inquisiva. Ora, si può pure ammettere che il Nostro è stato un po’ sfigatello e ha beccato un magistrato, Woodcock, noto per riuscire a ottenere rinvii a giudizio e condanne anche in tempi “lampo”. Però da qui a lamentarsi ne corre.
«La legge non è uguale per tutti e quello che è scritto nelle aule di giustizia è una fesseria», ha detto Corona. Ha ragione: a quanti carcerati, costretti a dividersi una cella in sei, è stato concesso di gingillarsi coi pesi davanti alle telecamere? Quanti imputati, per affermazioni meno gravi rivolte a chi li giudicava, si sono beccati l’accusa di vilipendio? Quanti giornalisti sono stati condannati per semplici errori professionali? E il tutto nel silenzio più assoluto e senza ricevere la minima solidarietà?
Corona ha avuto più di un’occasione per rifarsi. E sbaglia chi ora dice che, in seguito all’ultimo arresto è diventato indifendibile, perché indifendibile, Corona, lo era sin dall’inizio. Gli auguro due cose: di uscire prosciolto e di finire nell’anonimato. Chissà che, alle prese con un lavoro vero e distante da quel jet set in cui è nato e ha sgomitato, non metta la testa a posto. E, magari, visto che c’è, impari pure un po’ di buone maniere


Saverio Paletta

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