Fu
un martello che costrinse Diana a rivelare il segreto che aveva
divorato la sua vita.
Era
un qualsiasi fine settimana, nella sua California, quando il
fidanzato le chiese di accompagnarlo in un Home Depot,
uno di quei cavernosi, infiniti empori di tutto. Fra le dozzine di
reparti, era proprio la sezione dei martelli che lui puntava, e
quando la bella, ordinata esposizione di quegli attrezzi le si parò
davanti, il panico l'assalì.
Cominciò
a sudare, a sentire il cuore vacillare, a perdere il controllo delle
gambe. Svenne. Quando si riprese, più tardi nel pronto soccorso
dell'ospedale, dopo che i primi esami d'urgenza avevano confermato
che non c'erano cause acute per il suo collasso, si decise a
raccontare la sua storia.
Martelli
erano appesi alla parete della stanza nella base americana di Bagram,
in Afghanistan, quando il capitano che comandava il suo reparto
l'aveva afferrata per il collo, l'aveva rovesciata sulla scrivania
alla quale lei lavorava, e con tutto il peso dei suoi 90 chili per un
metro e ottanta l'aveva violentata. Di tutte le schegge di ricordi
che l'avevano trafitta in quel momento, erano i martelli visti alle
spalle di quell'uomo che si erano fissate nella memoria. E
funzionavano da detonatore del panico.
Diana
aveva fatto quello che gli istruttori, i superiori, i regolamenti le
avevano insegnato prima di arruolarsi in Marina. Era andata la notte
stessa all'ospedale della base. Il medico di servizio aveva annotato
le ferite, le ecchimosi, le abrasioni. Non c'erano dubbi, aveva
concluso. Era stata oggetto di un rapporto sessuale completo e
forzato.
Poi
arrivò il momento della scelta. C'erano due possibilità, le fu
spiegato : la "denuncia per apertura di un'inchiesta", con
indagini, deposizioni, interrogatori ed eventuale rinvio a giudizio
davanti a una corte marziale. Oppure la "denuncia senza
inchiesta", riservata alle autorità militari, anonima, affinché
conducessero ricerche interne, riservatissime e mai pubbliche. Dopo
un anno tutta la documentazione sarebbe stata distrutta. La notte dei
martelli si sarebbe dissolta nel nulla.
Diana
scelse la seconda strada. Adorava il proprio lavoro, sognava di
entrare nelle forze speciali. Sapeva che se la sua denuncia fosse
divenuta pubblica forse, soltanto forse, il capitano che l'aveva
buttata sulla scrivania sarebbe stato radiato e condannato, ma che
certamente, senza alcun dubbio, la sua carriera nella US Navy sarebbe
finita a 24 anni. E per mesi e mesi lei sarebbe stata al centro di
interrogatori, contro interrogatori, e esami e contro esami.
Ma
la ferita non si sarebbe più rimarginata. Il capitano era sempre lì
e aveva cominciato a tormentarla con note di demerito nella sua
cartella, ritardi al lavoro, disordine nell'uniforme, scarsa
collaborazione, quelle mille punture di vespa che distruggono la
carriera e una vita.
Dalle
compagne, alle quali non aveva detto nulla, non potevano venire
solidarietà né sostegno. Tutte sanno, nessuno parla.
Resistette
per tre mesi, Diana, poi chiese di essere rimpatriata. Il medico che
l'aveva esaminata nella notte dei martelli firmò la sua domanda di
congedo per ragioni di salute, senza specificare. Lei raccontò in
giro di aver un nodulo sospetto al seno, che non era vero.
Tornata
in California, cominciò la vita del silenzio. Non disse nulla al
fidanzato e neppure ai genitori. Le visite frequenti all'ospedale
erano spiegate con i controlli al seno, per non rivelare che in
realtà vedeva uno psichiatra. Aveva trovato lavoro come cameriera,
ma quando al ristorante dovevano fare lavori e comparivano i
carpentieri con i martelli, lei si dava malata. Le pareti della sua
casa erano spoglie, perché al fidanzato era stato proibito di
appendere quadri.
Oggi,
si tormenta nel pensiero di avere sbagliato a scegliere la "denuncia
senza inchiesta", insieme con altre dozzine di donne ex
militari nelle sue condizioni. Ha detto la verità alla famiglia,
alle amiche, al fidanzato e con il loro aiuto si sta diplomando
infermiera.
Vuole
lavorare in un ospedale militare, nei reparti dove trattano le
vittime senza cicatrici o protesi, di una guerra che continua a
martellare l'anima, anche quando risparmia i corpi.
Vittorio
Zucconi
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