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giovedì 10 ottobre 2013

La gita in Autogrill.


AZNALUBMA è assurdo, ma un po' lo capisco: qualche scimunito completo in giro c'è sempre. La sequenza sarebbe: avvisti nello specchietto un veicolo bianco con la sirena urlante, una croce e una scritta, e ti chiedi: "che cosa sarà mai ?"
A quel punto leggi, e capisci: "Toh, guarda! È un'ambulanza!… Un' aznalubma!" C'è gente che schiatta se non legge le istruzioni su come respirare, scrivere al contrario perché nel riflesso la scritta appaia diritta mi pare perdonabile, benché eccessivo. Quello che, invece, mi manda ai pazzi e leggere sull'asfalto dell'autostrada "Servizio di Area" invece che "Area di Servizio". Ad alta velocità si fa in tempo a leggere solo dal basso verso l'alto. Invece io so leggere in un unico modo, dall'alto in basso, e servizio di area mi fa pensare a un'espressione gergale del tennis. E poi, nessuno sfreccia a 800 km all'ora, non siamo Beep Beep e Willy Coyote, nessuno si muove così in fretta da trasformare il paesaggio in una poltiglia visiva indistinta come nei cartoni animati. E allora perché? I cartoni animati centrano qualcosa?
Il primo autogrill italiano non si chiamava autogrill, il marchio arrivò solo nel 1977. Spuntò sulla Milano-Torino nel 1947, a Veveri, nei pressi del casello di Novara. L'industriale dolciario Mario Pavesi aveva pensato di costruire sull'autostrada un punto vendita per i suoi biscotti. L'architetto era Angelo Bianchetti. Il successo fu immediato. Motta e Alemagna lo imitarono con gli architetti Melchiorre Bega e Angelo Casati, e presto arrivarono gli autogrill a ponte, sospesi come serpenti volanti su entrambe le corsie di marcia. Per gli automobilisti degli anni 50 e 60 rappresentarono il nuovo, anche se il modello era antichissimo: le osterie con le stazioni di posta e il cambio dei cavalli, i bordelli sulle vie dei pellegrini e le oasi nel deserto. Ma il modello - sosta e consumo, parcheggio e carrello - preannunciava anche noi.
Preparava i supermarket e i centri commerciali di oggi. A essere nuova era l'estetica, perché nuova era l'ideologia che l'aveva partorita.
La scelta doveva essere sempre strabordante e la merce universalmente accessibile, voluttuosa proprio perché voluttuaria, una sfilata di transistor, spumanti, pupazzi, cioccolati e salami. Era un mondo pragmatico dove si correva veloce e si consumava correndo.
Racconta un signore che nel 1960 aveva 10 anni: "La domenica con la mia famiglia andavamo in gita all'autogrill Pavesi di Lainate per mangiare il panino Quick, veloce, che era poi l' hamburger di McDonald's". La storia scivolava sotto le gomme come un nastro d'asfalto, e bisognava sbrigarsi, perfino a mangiare - glup ! - come nei cartoni animati. L'idea di ribaltare la scritta - Servizio di Area - forse venne allora, in un'epoca che si concepiva veloce come un cartoon americano, ma che era ancora popolata di persone poco alfabetizzate che leggevano con lentezza. Era una ingenuità ottimista ma triste, un po' da fumetto, che provoca un po' di nostalgia.
Dopo decenni di elogi della lentezza, citazioni di Pasolini e presidi Slow Food - di nostalgia per l'Italia povera contadina, insomma - oggi che stiamo diventando poveri davvero si inizia provare rimpianto per quando eravamo ricchi e fiduciosi.
"In quinta elementare, come regalo di promozione", continua il signore che nel 1960 aveva 10 anni, "mio papà promise di portarmi a mangiare il Quick in autogrill. Non ce la fece mai. Ho aspettato quel momento per tutta la vita. È stata la delusione più grande della mia infanzia".
È la trama esatta di "Gita al faro" di Virginia Woolf, trasportata all'epoca del boom. "La nostalgia è tempo che si è fermato", scrisse Junichiro Kawasaki, poeta, all'amico Gafyn Llawgoch, anarchico, "è il seme ha nostalgia del cielo, mai della terra".

Giacomo Papi


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