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martedì 8 aprile 2014

Lutti invisibili. I simboli della morte sbiadiscono.

L'ingorgo è così aggrovigliato che non ci si passa neanche in motorino. Sulla destra c'è una Panda con un vecchio infagottato. A sinistra una Porsche bianca. Il tizio al volante e l'idea platonica dell'evasore fiscale. Davanti, proprio in mezzo alla carreggiata, sta un carro funebre. Allungo lo sguardo: dentro c'è il morto. È in una bara di legno chiaro corta come una scatola da scarpe - quando muoiono gli esseri umani rimpiccioliscono sempre - con una corona di fiori discreti, quasi incolori, posata sul cofano.
Osservo la Panda, la Porsche, una Passat più in là. Dentro l'ingorgo si sta svolgendo un funerale invisibile. Cerco nelle auto facce tristi, segni di lutto, invece in ogni abitacolo la vita pare procedere imperturbata. Come se niente fosse.
Ieri mattina sul mio portone c'era una coccarda rotonda. Mi sono avvicinato per leggere il nome. Non l'avevo mai sentito. Non sapevo che quella signora defunta potesse essere stata viva. La sagoma di una donna malandata della scala B mi transitava correndo nel cervello, ma era leggera e incerta. Ieri sera, al rientro, la coccarda non c'era più. Era stata sostituita da una cartolina. Diceva: "La famiglia, commossa per la manifestazione d'affetto tributato, ringrazia". Ma nell'androne l'album per le condoglianze non c'era. Era stato un evento clandestino come questo corteo funebre sepolto nel traffico.
Quando ero piccolo i morti non avevano vergogna. Si esibivano ed erano esibiti. Se qualcuno moriva gli androni delle case venivano rivestiti di anacronistici drappi di velluto nero e viola che sembrava di vivere in Spagna o in Sicilia. Qualsiasi condominio, anche il più anonimo, si trasformava in una cattedrale. Appariva un tavolino con una tovaglia lunga fino a terra e sopra c'era un album grande, aperto e bianco su cui lasciare una firma, una frase, un saluto.
Quando ero piccolo gli ingorghi non si formavano intorno, ma perché e quando passava un funerale. Le auto si bloccavano, qualcuno si toccava di nascosto, il corteo sfilava a piedi dietro il carro funebre. Tutto rallentava. La morte cambiava le cose. Anche i vestiti. Prevaleva il nero. Il carro funebre qui nell'ingorgo, invece, è grigio metallizzato. Forse è stato rimodernato. Sul sito Autofunebricars si vendono kit con muso, fari e specchietti per trasformare "con una spesa moderata, il vostro vecchio autofunebre Mercedes W 210, nella più recente versione 212, e soddisfare le esigenze di modernità dei vostri clienti".
Qui nell'ingorgo non si capisce se c'è qualcuno che piange. Un tempo il
lutto poteva essere grave, mezzo o leggero, ma si doveva vedere. La gerarchia era inflessibile. Genitori, figli, suoceri, nuore e generi valevano sei mesi di lutto grave e sei di mezzo lutto; marito e moglie 18 mesi, (12 grave, 4 mezzo e 2 leggero); ultimi, con soli 3 mesi di lutto, venivano cugini carnali e nipoti.
Esistevano abiti da lutto completi e obbligatori. Poi incominciarono a bastare il bottone nero è la fascia al braccio. Poi più nulla. Oggi ai funerali ci si veste in modo normale. L'atteggiamento è ribaltato. Una volta il lutto bisognava mostrarlo, oggi nasconderlo. Le corone di fiori, le Mercedes rimodernate, le coccarde sui portoni sono orme del passato. I simboli della morte sbiadiscono. È sufficiente ritrovarsi e stare insieme.
L'ingorgo si scioglie, qualcosa si muove. Getto un'ultima occhiata dentro le automobili. Cerco un segno che distingua chi va al lavoro da chi segue il funerale. Mi accorgo che alcune automobili hanno più di un passeggero.

Giacomo Papi

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