Questa volta, per un attimo, Tortora abbandona la narrazione in terza persona e la critica televisiva nuda e cruda, per interessarsi di un argomento tuttora in voga : quello dei titoli nobiliari, argomento già da me trattato sui miei blog. Usanza tornata stranamente di voga, negli ultimi tempi, anche se sempre più grande è il numero degli azzeccagarbugli che vi si interessano e che perpetrano dolorose truffe ai malcapitati ed ambiziosi personaggi che trovano sulla loro strada. Parliamoci chiaro : non tutti sono nobili ! Anche se questi personaggi che spesso trovate alle fiere, dotati di computer e software adattati, affermano il contrario. Per ognuno, per ogni cognome italiano, corrisponde un titolo nobiliare e una discendenza diretta a qualche casato nobile d'altri tempi. Tutto falso ! E questo è l'argomento che con la sua pungente ironia e intelligenza affronta anche Tortora. Vi voglio solo ricordare che il racconto è degli anni 70 ; 40 anni sono passati e le cose non sono cambiate per niente, anzi sono peggiorate. Comincio ad avere dei seri dubbi sulla maturità del popolo italiano.
Il ragioniere rampante
E' capitato più o meno a tutti, una volta nella vita. Si rientra stanchi, parcheggiare è un inferno, la giornata il solito rosario di guai. Il portinaio dice “ Buonasera “ ( se lo dice ) a una faccia stanca, logora come un vestito troppe volte indossato. Dalla nostra cassetta delle lettere ( la targa è solo uno sconsolato : Rag. Edilio Porelli ) occhieggia una busta. Dentro c'è un foglietto, scritto in termini cortesi. Da tempo il vostro cognome, per voi così qualunque, ha in realtà suscitato l'interesse degli esperti, che ne hanno discusso a lungo, consultato manoscritti, perfino pergamene, codici miniati del Duecento. Ebbene ( ve lo comunichiamo ovviamente senza impegno, in tutta confidenza ) pare proprio che un Branciforte Porelli, addirittura Duca d' Artois, Visconte di nonsodove, ad interim nientepopodimeno che Burgravio di Magonza, abbia combattuto da prode alla seconda Crociata. Lo sospettavate ? No. Non lo sospettavate. Il ragioniere sale le scale, continua a leggere. “ Una eventuale ricerca ( decifrano i suoi occhi arrossati ) saremo in grado di compierla, restituendo per li rami, il Vostro cognome ai fastigi della primigenia casata Porelli “. Perchè no ? Dopotutto, ricorda il ragioniere, una volta, a un ballo ( roba di trent'anni fa ) una ragazza gli disse : “ tu hai un profilo nobile “. Lui il problema non se l'era mai posto, del resto, anche se quelle mani affusolate, una certa fierezza del tratto, qualcosa insomma, gli facevano presagire. Ma con le memorie di famiglia, non s'era mai spinto più in su del nonno Porelli Oreste, veterinario a Chieti. Più su, solo un Porelli ( pare ) garibaldino. E poi, la notte. Ora invece arriva la lettera, a gettare luce vivissima nel retrobottega familiare : cozzar d' armature, tutto uno sfavillio di gemme marchionali. Il ragioniere raddrizza le spalle, è meno curvo : ha dentro un non so che. Apre la porta ; in tinello la famiglia è come al solito condensata, davanti al video. Danno “ Carosello “. Si vedono spaghetti. Prima le mani, poi la voce di Mina, che dice : “ C'è una gran cuoca in voi, e Barilla lo rileva “. Il ragioniere stringe la sua lettera. Anche la sua lettera, dopotutto, gli sussurra : “ c'è un Visconte in voi, e il nostro ufficio lo rileva “. Il resto è intuibile. Almeno mille italiani, se si fossero decisi a dire la verità, sull'ultimo modulo di censimento, alla domanda “ dove avete passato la notte fra il 23 e 24 ottobre “ avrebbero dovuto rispondere : “ appollaiato sulla fronda di un albero genealogico, diventando Barone “ Perché negarlo ? In ognuno di noi, sonnecchia sepolto da secoli d'obliò, di deluso anonimato, ma pronto a ruggire di nuovo, “ dopo accurate indagini “, in elmo e corazza, pennacchio e spadone, un Branciforte o un Idelfonso, insomma uno che dava del tu a Carlo V, uno cui Papa Clemente poteva dire sottovoce : “ Duca mio, portatemi questo pacchetto ad Avignone “. A questo mondo, tutto sommato bello, e perfino poetico, ho pensato di dedicare un po' di spazio tipografico. Parrà strano, ma è un argomento difficile. Vedrete : si arrabbieranno in molti. E mi dispiacerà, perché al ragioniere rampante mi sono accostato con profonda simpatia. Addirittura con umiltà. Vedrete che parecchi uffici di Araldica ( ce ne saranno una ventina nel nostro paese ) mi accuseranno di faciloneria, di innata tendenza al colore, di ironizzare sulla loro benemerita attività. Metteremo dunque, una volta per tutte, le mani avanti : non ci proponiamo affatto rivelazioni clamorose. Non cerchiamo scandali. Gli uffici, o gli istituti di Araldica, quelli che fanno ricerche e vi consentono di cucire una corona a non so quante fronde sul cuscino, o di esporre in bella vista una pergamena scritta in gotico in anticamera, per noi vanno benissimo. Sono talmente utili che, se non esistessero, al limite bisognerebbe proprio inventarli. Sono preziose emoteche : vi fanno tempestive, provvidenziali trasfusioni di sangue blu, in un particolare momento di anemia psicosociale. Non scoraggerò nessuno, giuro. Quello dei ragionieri rampanti è un mercato del resto che non conosce crisi : ne conoscerà sempre meno, anzi, con il passar del tempo. Da quando la Costituzione della Repubblica, all'articolo 14 delle “ disposizioni transitorie e finali “, ha affermato che i titoli nobiliari non sono riconosciuti, è avvenuto esattamente il contrario di quello che era lecito attendersi. Forse eccitati dal fatto che il settore, giuridicamente, ha la rilevanza di un fervido scambio di iridescenti bolle di sapone, tutti ci si tuffano con voluttà e frenetico scambio di “brevi ”, di ceralacche, di liocorni, di riferimenti a feudi, vassalli, valvassori e valvassini. Perché il ragioniere in Italia vuole “ rampare “ ? Questo, mi sono chiesto. E' un viaggio a metà fra la cronaca e l'inconscio : e, gli araldisti me ne daranno atto, io riferirò con puntuale esattezza le loro tesi, in molti casi perfettamente plausibili. E' andato per esempio in onda, e molti specialisti me ne hanno parlato in termini indignati, un telefilm di Ermanno Olmi che trattava ( mi dicono, perché ne ho visto solo le sequenze finali ) di un tipo, tra il truffaldino e lo svampito, che nominava Duca il proprio portinaio, incoronava Principessa la propria ragazza. Un innocuo sognatore, che finiva in gattabuia. Se è così me ne duole : i poeti non dovrebbero mai finirci, per prima cosa. E poi il nostro è un paese libero : nessuna legge ci impedisce di supporre di essere legati, per filo diretto, magari alla stessa barba di Carlo Magno. Il bello è che molte volte sul serio lo siamo, come si vedrà. Giocano parecchi fattori, parecchie motivazioni, in questa disperata ricerca di una promozione genealogica. Gli inglesi coniarono il termine di “ snob “, cui Thackeray dedicò un bellissimo libro, per indicare coloro che, sui registri della favolosa, mitica Università di Cambridge, al posto del rituale titolo dopo il cognome, erano costretti a vedersi rubricati con uno “ s.n.o.b. “, abbreviazione glaciale che, in quella scrittura settecentesca, ancora latina, significa “ sine nobilitate “, cioè “ non nobile “. Molta acqua è passata, da allora, non solo sotto i ponti del Tamigi, ma sotto tutti i ponti. Soprattutto sotto i ponti delle interminabili ferie italiane. Più gli uomini dicono siete uguali, e alle volte glielo insegnano con slogan, comizi, altoparlanti, più agli uomini piace immaginarsi diversi. Quasi una rivincita sulla massificazione, le umiliazioni quotidiane, il vicino di casa col biglietto con su scritto “ N.H. “, anche se è semplice dipendente della N. U., leggasi Nettezza Urbana. Insomma, è un meraviglioso amalgama di incubi, di dolci vendette, di adorabili debolezze, in qualche caso di tracotanza, in altri di superbia, di disarmante cretineria. C'è l'uomo, dentro. Tutto intero : perché non cercare di raccontarlo ? Confesso che l'altro giorno, a Milano, dopo aver svelato l'idea di un paio di questi articoli a un valente araldista, ebbi un brivido. Costui, che mi disapprovava, cavò dalla biblioteca un polveroso librone, e alla voce Tortora, come da un meraviglioso cilindro di prestigiatore, cominciò a estrarre ipotesi affascinanti. Potevo essere Duca d' Amalfi ? Non si sentiva, a priori, di escluderlo. Deglutivo. Conte del Salento ? Nemmeno. Uscirono almeno cinque, sei possibilità alternative, tutte basate sui vescovati, corti, castelli dai merli ghibellini. A stento mi trattenni dal dirgli : “ Conte ( costui era Conte, è quasi sottinteso ), Conte, ricerchi ! Indaghi ! Mi restituisca al maniero, al ponte levatoio, all'archibugio di famiglia ! “ Sentivo suonare, nei precordi, chiarine di giostre e di tornei, ebbi perfino la fuggevole visione, evocato dalle remote dogane della specie, del Duca d' Avalos in persona che mi diceva, abbracciandomi con bicipiti di ferro : “ Figlio, alfin ti riconosco ! “ Insomma, fu duro resistere. Perché negarlo ? Sono miraggi insidiosi, per l'utente di un cognome qualunque. Tornai a casa per mettermi alla macchina da scrivere. Non potei vietarmi dal pensare che in quarant'anni, dopotutto, non m'avevano fatto neppure Cavaliere. Mica giusto, andiamo.
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