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mercoledì 23 dicembre 2015

Buon Natale a tutti! Mele Kalikimaka!

Ci siamo! Anche quest'anno è finito, più veloce e faticoso del precedente e in un lampo mi ritrovo a festeggiare Natale, insieme alle persone che amo, insieme a Voi, sul blog.
Sarà ma quando si diventa vecchi, diventa tutto più faticoso e quest'anno s'è fatto sentire più degli altri.
Per fortuna che non sono mancate le soddisfazioni, la giusta ricompensa per un anno speso a fare sempre meglio e nella maniera migliore.
Quest'anno poi, così triste per i gravi lutti che hanno colpito l'Europa e non solo, ci ha fatto comprendere quanto siamo fragili e inermi difronte la follia umana, la follia fondamentalista, la follia religiosa.
Questo poi è anche l'anno della misericordia, del perdono, ma ovviamente ciò non per la maggioranza di noi, che tanto abbiamo già perdonato e tanto continueremo a perdonare, indipendentemente dal Giubileo, perché siamo troppo buoni, perché siamo troppo generosi, troppo coraggiosi, troppo leali, troppo sinceri.
E in una società dominata dalla mediocrità e dalla vigliaccheria, l'intelligenza e il coraggio sono rivoluzionari.
Voglio augurare buon Natale e buon anno a tutte le persone che mi leggono, a tutti quei 140.000 contatti maturati in 4 anni e mezzo; certamente un risultato di tutto rispetto.
Voglio augurare buon Natale e buon anno a tutti quelli che mi conoscono, a tutti i miei clienti, a tutte le persone che hanno interagito con me in questo velocissimo anno.
Voglio augurare buon Natale e buon anno a tutte le persone che soffrono, in qualsiasi maniera e in qualsiasi luogo.
Voglio fare un augurio speciale a tutti i miei collaboratori, che mi supportano e mi coadiuvano tutti i santi giorni e in particolare a Diego, formidabile tecnological supporter del blog e del sito est consulting.
Buon Natale e buon anno a tutti Voi e come si dice alle Hawaii: Mele Kalikimaka!

P. S.

Per l'anno nuovo 2016 aspettatevi delle novità scoppiettanti qui sul blog! A rileggerci presto!


martedì 22 dicembre 2015

Una riflessione su Licio Gelli.

Morire a 96 anni suonati, (il 15 dicembre 2015), e restare un enigma è roba da record. Non saprei dire se Licio Gelli sia stato, come lo definì il grande Indro Montanelli (che lo conobbe poco prima che Berlusconi comprasse Il Giornale), «un magliaro». Né avrei elementi, e non li ha il 90% degli italiani, per considerarlo una sorta di Sauron (il cattivissimo de “Il Signore degli Anelli”), il male assoluto e invisibile che condiziona le esistenze di tutti. Posso solo dire che, della sua lunghissima vita, Gelli ne ha trascorsa una buona fetta allo scoperto: entrato in massoneria nel ’64, è stato sgamato ufficialmente nell’81 nella sua qualità di maestro venerabile della loggia Propaganda 2. Ma già prima questo ruolo era il classico segreto di Pulcinella. Ne avevano scritto il “solito” Mino Pecorelli, già piduista e direttore di OP, e Roberto Fabiani de L’Espresso in “I massoni in Italia”, un instant book del 1978 (non è necessario rovistare le bancarelle dei libri vecchi: se ne trova un ottimo pdf su internet, che mi pare di avere, chi vuole me lo chieda e mi dia il tempo di trovarlo…), in cui Gelli e la P2 sono citati una trentina di volte. Da ciò il primo dubbio: come mai questa presunta conventicola di delinquenti è stata “sputtanata” solo nell’81, quando già nel decennio precedente l’opinione pubblica aveva elementi a iosa per farsene un’idea? Ed è il primo dubbio. Un altro dubbio me l’ha scatenato, quando ero ancora uno studente, Piero Pelù, l’inquieto leader dei Litfiba. Narra un articolo, apparso nel ’92 (e, a quanto ne so, mai smentito) su L'Italia Settimanale, che Pelù, fresco del successo di “Maudit”, il tormentone in cui il quintetto toscano parlava dei “Misteri d’Italia”, si fosse recato davanti il cancello di Villa Wanda per sfidare il decaduto venerabile, clicca QUI. E che quest’ultimo l’abbia invitato a entrare e, scusandosi per l’assenza di personale, gli avesse preparato il caffè con le sue mani, senza la presumibile “correzione” alla stricnina. Non credo che Gelli abbia stregato Pelù. Ma, a che mi risulta, da allora il frontman ha lasciato perdere il venerabile. E l’aneddoto, comunque, conferma due cose: la focosità del cantante, poi dedicatosi al mainstream con ulteriori successi (che sia diventato anche lui massone?) e le buone creanze del preteso più grande criminale della storia italiana e, forse, non solo. Andiamo avanti: a carico dei piduisti non è emersa, a livello giudiziario, nessuna condanna per associazione sovversiva, terrorismo o quant’altro. Si dirà: giudici corrotti. Forse. Ma allora, prendiamocela col Csm, egemonizzato per oltre un trentennio da Magistratura Democratica, notoriamente mangiamassoni a colazione, che non ha mai censurato gli autori di certe assoluzioni. Cosa è emerso a carico di Gelli, nel frattempo? Qualche maneggio finanziario neppure esagerato e qualche storia di pastette. Roba che avrebbe potuto fare un “cummenda” qualsiasi (e magari pure massone di basso rango) della Brianza. Tutto qui il crimine? Sono convinto di no. E sono convinto che Gelli - il quale, già prima di indossare guanti e grembiule, aveva un passato da spione triplogiochista da ispirare una dozzina di romanzieri fantasiosi - ne abbia fatte di tre cotte. Solo che nessuna di queste presunte nequizie riguarda la democrazia. Non era eversivo, per dirne una, il piano Rinascita Democratica: che c’era di strano a desiderare un sistema presidenziale in un paese disordinatissimo qual era l’Italia dell’epoca? E qui formulo un paradosso: negli ultimi trent’anni si è prodotta tantissima (e in buona parte condivisibile) letteratura “giustificazionista” nei riguardi dell’eversione dichiarata, rossa e nera; perché ora non si può degnare la P2 di una letteratura serena? Quale fu la “colpa” di Gelli? Per caso la pretesa di ridimensionare i partiti famelici che, all’epoca, avevano avvinto l’Italia in una rete clientelare che tuttora condiziona la vita pubblica? A livello giudiziario, ripeto, non è
uscito altro. E allora mi permetto di dare al defunto Gelli lo stesso beneficio del dubbio che tanti danno ad altrettanti boss mafiosi vivi e mai condannati, sebbene di loro si sappia di tutto e di più. E veniamo ora alla vicenda della massoneria e dei servizi “deviati”, a cui si accosta volentieri la storia della P2. I servizi segreti, in qualsiasi democrazia, sono deviati. Il solo fatto che esistano dei “servizi” in una democrazia, dove dovrebbe imperare la trasparenza, è una deviazione. E la massoneria? Il suo concetto di riservatezza è tale da stimolare tutte le dietrologie. Peccato che quando Gelli fu sputtanato ci fosse un fortissimo partito comunista che predicava democrazia sui suoi organi locupletati dai fondi neri sovietici. Il punto è questo: della P2 è assodato il suo ruolo storico di stanza di compensazione tra vari ambienti (militari, culturali, politici, economici e persino spezzoni di criminalità organizzata) in funzione anticomunista. Come mai questo popo’ di presunte nequizie è emerso solo anni dopo che di Gelli “si sapeva”? Ho l’impressione che gli stessi “poteri forti” che si erano serviti di Gelli per contrastare il Pci filosovietico, scaricarono il venerabile quando ci fu la necessità di includere il Pci che tentava lo strappo dall’Urss nel gioco “che contava”. Cioè di onorare il compromesso storico 2.0 (quello post Moro, per capirci). Ed ecco che, nel giro di pochi mesi, il temuto Gelli divenne il male assoluto e, da venerabile, esecrabile. Se la P2, che ha ispirato la fantasia di tutti i complottisti, fosse davvero il male che si dice, sarebbe meglio: potremmo sentirci tutti più buoni, perché sapremmo che il male era concentrato tra Villa Wanda e i 100 metri quadri di qualche loggia. Purtroppo la storia è più complessa e ora c’è la speranza che proprio la dipartita dell’extravecchio venerabile consentirà una lettura più lucida e meno partigiana. In fondo, chi diede la carica contro la P2 furono i giornali “partito” e “di partito”. E questo dovrebbe farci riflettere. Gelli ha pagato essenzialmente una cosa: non fu un tessitore capace, ma “solo” un materassaio (il suo mestiere): uno che riempiva dei sacchi con quel che gli capitava. E quei sacchi, a un certo punto, esplosero. Ma solo perché le cuciture si rivelarono insufficienti a tenere tutta quella roba. Altri tessitori sono stati lasciati in pace, grazie a questo capro espiatorio. E, come è capitato nelle ex repubbliche dell’Est Europa, è stato consentito a molti di loro di sopravvivere al crollo dell’impero sovietico e di riciclarsi nel mondo postcomunista. Loro dovrebbero ringraziare in eterno Gelli e quelli come lui. Gli eterni alibi del politicamente corretto. Io, più umilmente, non vedo l’ora di leggere un po’ di storiografia più seria su queste vicende.

Saverio Paletta


venerdì 18 dicembre 2015

Negli USA Natale arriva a settembre.

Lo sapevate che più del 12% delle donne americane inizia lo shopping natalizio prima di settembre? Un sondaggio rivela come negli Stati Uniti i consumatori comincino a impacchettare regali già in estate.

È ormai da tempo che i negozi sono addobbati con decori natalizi, che in tv si vedono gli spot di pandori e panettoni e che i bambini stilano letterine con richieste di regali fuori dalla portata dei genitori. Se durante lo scorso Natale gli italiani sono stati parsimoniosi e meno spendaccioni, (con un - 6,3% di spesa rispetto al 2013), quest'anno, secondo la Coldiretti, i consumi dovrebbero superare quelli del Natale 2014, trainati dal settore dell'elettronica che ormai da anni fa la parte del leone tra le scelte di regali da porre sotto l'albero.
Nonostante le previsioni positive sui consumi, però, forse, le strade saranno un poco meno affollate del solito: ben il 37% dei consumatori hanno dichiarato, in un sondaggio del Corriere, di voler acquistare solo on-line. Tuttavia, in molti si troveranno come sempre a ridosso del 25 dicembre a correre di negozio in negozio alla ricerca degli ultimi doni, rimproverandosi di non essere riusciti a comprare tutto in anticipo come si erano ripromessi lo scorso anno.
Una ricerca di Statista, rivela che negli Stati Uniti invece non sono pochi coloro che ai regali pensano davvero mesi prima. Secondo il sondaggio, infatti, ben il 16% delle donne e il 9% degli uomini, si dedicano allo shopping natalizio addirittura prima di settembre. La percentuale aumenta con l'avvicinarsi della festività e ben prima che gli spazi pubblicitari comincino riempirsi di spot natalizi, i regali sono già impacchettati in un armadio.
Non è una sorpresa che il grosso dello shopping lo si fa a novembre, quando il 42% del gentil sesso e il 38% degli uomini comincia i primi acquisti natalizi. D'altronde negli Stati Uniti appena finito Halloween,
zucche e ragnatele vengono sostituiti con addobbi meno spaventosi. Sempre in America l'arrivo del Giorno del Ringraziamento, festività secolare nata dai padri pellegrini nel 1600 per ringraziare dell'abbondanza dei raccolti, segna l'inizio del periodo natalizio.
Siamo in pieno autunno e quando in Italia siamo freneticamente alla ricerca dei primi regali, ben l'80% degli americani, in media tra uomini e donne, ha già dato inizio alle compere.
Solo il 20% comincia impacchettare regali all'inizio di dicembre, e in pochi, cioè il 2% delle donne e il 5% degli uomini, attende fino a pochi giorni prima del 25 per dedicarsi alla ricerca di qualcosa che posso fare felici amici e parenti. Forse per questo motivo che le decorazioni natalizie arrivano nei negozi ogni anno più presto.


sabato 12 dicembre 2015

L'utilità delle cose inutili.

Se potessi riavere tutti i soldi che ho speso in automobiline e bamboline. Se potessi riavere tutti i soldi che ho buttato in giocattoli
per me, per i figli, per i nipoti. Se potessi restituire quei barattoli di conserve, salse, sottaceti, surgelati scaduti acquistati al supermercato dove noi uomini siamo mandati a prendere un litro di latte e torniamo con sacchi di futura spazzatura per golosi, non sarei ricco, ma avrei molti più soldi.
Nel tempo delle vacche emaciate, parlare di sprechi, di consumi inutili, di soldi gettati può sembrare un'offesa, ma ciascuno di noi, se ci pensa bene bene, scoprirà che se non oggi, almeno ieri quando le mucche erano un po' più pasciute, molte lire, euro, dollari, dracme o franchi sono volati inutilmente fuori dalla finestra. E ci sentiamo rimproverare di non consumare abbastanza.
Le cifre dei consumi individuali inutili - ma utilissimi per chi di quei consumi vive e lavora - sono, qui nel Grand Hotel America, impressionanti. Calcolando un modesto salario medio di 30.000 dollari e una vita lavorativa di quarant'anni, dall'età di 25 ai 65, un americano guadagna più di un milione di dollari. Di questa somma, almeno il 10% è sprecato in acquisti di nessuna utilità e perfettamente evitabili.
L'elenco dei nostri sprechi fa impallidire anche i tanto deprecati sprechi della pubblica amministrazione e della politica. In un anno, qui negli Usa, spendiamo quasi 11mila miliardi di dollari - quattro volte il terrificante debito pubblico italiano - in consumi.
L'elenco del super-superfluo è fantastico.
Un miliardo per tatuaggi e un miliardo per la tassidermia, (imbottire animali). Quaranta miliardi per avere cura del praticello di casa. Cinque miliardi per acquistare le suonerie dei telefonini, come se quella sinfonia di trombette, cimbali, xilofoni, trilli, rintocchi, pernacchiette compresi nell'apparecchio non bastassero. Cinquecento milioni per palline da golf. E un altro mezzo miliardo soltanto per la abominevole merendina Twinky, celebre per la sinistra capacità di non ammuffire mai ed essere evitata con cura anche dai topi.
Tutto questo elenco potrebbe essere cancellato ora, subito, senza che la vita dei 320 milioni di americani subisse la più piccola menomazione. E ho escluso i tre miliardi spesi in cioccolato per viltà, essendo io goloso di cioccolato purché amarissimo, che pare faccia anche bene, soprattutto ai cioccolatai.
Se il monte dei consumi comprende naturalmente anche la normale spesa per alimentari, magari eccessiva anche quella visto l'incremento dell'obesità, non riesco a non pensare a quelle camice che si sovrappongono a strati nei miei cassetti, come crudeli segnali di ere geologiche, essendo quelle più sotto, dunque più "slim", un ricordo di preistorici girovita.
Guardo con orrore la giostra di cravatte sempre troppo sottili o troppo larghe per la moda, (qui pesano anche compleanni e Natali). Non oso pensare al ciarpame a batterie, (ovviamente scariche e ormai tossiche), nascosto nel fondo di armadi e cassetti o ai bauli di
automobiline, pelouche, giubbini, binari sfusi di trenino, bambolotti, tigrotti, orsacchiotti, lupotti, guardaroba di Barbie, sepolti nel ricordo malinconico.
E non parlo delle borse di mia moglie, perché lei legge questo post, ci vivo insieme e sono, come ogni donna può attestare, tutte assolutamente indispensabili.
Se per un miracolo da alchimista medievale potessimo trasformare tutta la "roba" inutile e dimenticata che abbiamo in casa, se potessimo riavere i soldi spesi in quei caffè consumati per tirar sera al bar, nelle birre bevute a prezzi di rapina nei pub, nei beveroni annacquati degli happy hour, in panini rosicchiati in autogrill per la pigrizia di non portarsene uno da casa, il nostro bilancio, e quello familiare, conoscerebbero un sensazionale miglioramento.
È vero. Se potessi avere indietro i soldi spesi in automobiline e bamboline, quanti soldi in più avrei. Ma quanti sorrisi di bambini in meno.


Vittorio Zucconi

sabato 5 dicembre 2015

Modi di dire 23

Si dice . . . “fru-fru”

Il termine fru-fru, anche fru fru o frufrù, è una voce imitativa che richiama il fruscio delle sottane, lo scalpiccio dei piedi, un frullio di ali e in genere uno scompiglio, un'agitazione di suoni sommessi e prolungati. Dalla fine del XIX secolo, usato al plurale, serve a indicare l'insieme di pizzi, nastri e decorazioni tipici del vestiario femminile del tempo e, usato come aggettivo, da l'idea di frivolezza e leziosità di modi e di pensiero, per esempio “un abitino un po' fru-fru” oppure “una ragazza fru-fru”. L'origine del termine, oggi internazionale, è francese, frou-frou, e probabilmente richiama la prima sillaba del verbo frotter, “sfregare, strofinare”.,


Si dice . . . “a occhio e croce”

Significa stimare in modo empirico e non preciso, dare una valutazione approssimativa di qualcosa. L'espressione deriva dal gergo degli antichi tessitori e la ritroviamo già nei trattati del XV secolo sull'arte della tessitura a Firenze. Agli artigiani poteva capitare che lavorando al telaio si sfilasse l'ordito, (i fili tesi in verticale), e si perdesse così la forma di croce che esso forma con la trama, (i fili intrecciati in orizzontale nella lavorazione del tessuto). In quel caso il tessitore era costretto a riprendere i fili a uno a uno “a occhio e croce”, cioè senza l'aiuto del macchinario, per ricostruirne la perpendicolarità e poterli ridisporre sul telaio.


Si dice . . . “a tutto spiano”

La locuzione “a tutto spiano” significa, (riferito per esempio a lavorare, correre ecc.), il più possibile, a tutta forza, senza limiti. L'espressione trae origine dall'antico mestiere dei fornai. Nella Firenze del Medio Evo infatti, lo spiano era la misura della quantità di grano assegnata a ciascun panettiere dal “magistrato dell'abbondanza” per preparare il pane di ogni forno o cottura. Per esempio : “a mezzo spiano” significava poter usufruire di una quantità ridotta di frumento, mentre “a tutto spiano” era la quantità massima. “Spiano” deriva da spianare : in antico “spianare il pane” significava dare la forma dei pani alla pasta.


Si dice . . . "tutto va bene, madama la Marchesa"


L'espressione "tutto va bene, madama la marchesa" si usa in genere in senso ironico, per indicare una situazione molto negativa, in cui non va bene nulla, ma che si cerca invano di minimizzare. La frase deriva dal titolo della versione italiana, (interpretata tra gli altri da Nunzio Filogamo), di una canzone francese del 1934 : "Tout va tres bien, madame la Marquise". Il testo racconta di una nobile che si informa al telefono sulla situazione al suo castello, ricevendo paradossali rassicurazioni dal maggiordomo che intanto descrive una situazione catastrofica con incendi e suicidi in atto.


Si dice . . . “non essere né carne né pesce”

Il detto vuol dire non avere caratteristiche distintive definite e può indicare qualcuno insignificante o privo di personalità. Il modo di dire si trova anche in altre culture europee con diverse varianti. L'origine è gastronomica in quanto un tempo la cucina distingueva gli alimenti di origine animale, soltanto nelle 2 grandi categorie di carne o pesce e forse si rifà all'obbligo di mangiare di magro di venerdì e in Quaresima. Se infatti i cibi dovevano essere classificati in base al loro utilizzo, qualcosa che non fosse né carne e né pesce presentava un problema di catalogazione.


Si dice . . . “essere un istrione”

Il termine “istrione” indica un attore che recita con enfasi esagerata per attirare applausi e, per estensione, una persona che assume pose false, teatrali, esibizionistiche. Il termine ha origini antiche : viene dal latino histrio-nis, a sua volta dall'etrusco Histria, colonia greca sul Mar Nero da cui sarebbero provenuti i primi giullari e mimi. Era infatti in origine il termine dato agli attori etruschi che agivano a Roma in spettacoli gestuali, di danza e musica ; in seguito divenne il nome degli attori professionisti. Una categoria che raggiunse grande importanza e popolarità sotto l'imperatore Augusto.



Si dice . . . “alla garibaldina”

L'espressione indica azioni intraprese senza troppa attenzione e cautela, cose fatte in maniera forse avventata, ma con slancio e spavalderia. L'espressione è un chiaro riferimento ai metodi di combattimento di Giuseppe Garibaldi (1807-1882), “l'eroe dei due mondi” che costellò la sua vita di imprese militari audacissime sia in sudamerica che in Europa. In particolare ci si rifà alla Spedizione dei Mille, (1860), in cui il comandante nizzardo partì alla volta della Sicilia alla testa di soli 1084 volontari in camicia rossa nell'intento, in apparenza con scarse possibilità di successo, di riunificare la nazione italiana.


Si dice . . . “dare il colpo di grazia”

Significa infliggere un attacco fatale a qualcuno che si trova già in condizione di difficoltà. Il riferimento è ad un gesto che si consumava in guerra o dopo un'esecuzione: era il colpo letale inferto a un combattente ferito allo scopo di evitargli le atroci sofferenze di una lenta agonia. Il “colpo di grazia” veniva di solito inferto a fine battaglia con una particolare daga, chiamata proprio “misericordia”, in genere da un uomo di chiesa. Più di recente, con l'introduzione della fucilazione per eseguire una condanna a morte, il colpo di grazia viene comminato con una pistola alla nuca, in genere dall'ufficiale a capo del plotone.


Si dice . . . “dulcis in fundo”

E' una frase che vuole avere il significato de “il dolce (viene) in fondo”, ed è usata nel linguaggio comune per indicare una situazione che si conclude con l'evento più bello. Ma è utilizzata anche in chiave ironica, per esempio: “Abbiamo fatto tutta la strada a piedi, eravamo stanchissimi e, dulcis in fundo, si è messo a piovere”. Di questa locuzione in latino maccheronico, forse medioevale, non c'è traccia nella letteratura classica. Si tratta di un motto popolaresco, il che è confermato dal fatto che dulcis non ha in latino il significato di “piatto di dolce”, ma è un aggettivo e in fundo si tradurrebbe non “alla fine”, ma “dentro la tenuta agricola”.



Si dice . . . “qui casca l'asino”

L'espressione indica un punto critico, un momento di difficoltà molto duro da superare. La frase si riallaccia al cosiddetto “ponte dell'asino”, un passaggio critico da cui i somari, (metafora degli individui meno dotati), rischiano di cadere. Alla base vi è il motto latino pons asinorum che definiva uno schema di comportamento mentale studiato dalla Scolastica, (la filosofia cristiana del Medioevo), che consisteva nel porre un allievo difronte a concetti e problemi astratti di difficile comprensione o a vere prove di abilità, in modo da valutare così il livello delle sue capacità intellettuali.


martedì 1 dicembre 2015

Orizzonte rosa. Amo la moda ZEN ma non voglio farmi monaca.

Sarà una cosa tipicamente femminile, ma io ho l'ossessione dell'ordine. Mi sembra sempre che in casa mia ci sia un angolo che va sistemato, un tavolo da sgomberare, vestiti da regalare, documenti da archiviare e una quantità di cose da buttare via.
Gli stessi pensieri mi accompagnano in ufficio. Appena arrivata, vedo le carte che si accumulano, le riviste e giornali da buttare, per non parlare delle montagne di inviti a eventi scaduti da tempo. Ma anziché gettarmi a capofitto nell'autodafè definitivo che mi riempirebbe di soddisfazione, mi precipito al computer, (il cui schermo trabocca di cartelle da riordinare), e clicco su "mail", nemmeno fossi la presidentessa dell'Agence France-Press e il mio dovere fosse quello di ricevere informazioni freschissime da diffondere in tempo reale.
Una volta letti tutti messaggi e messa la coscienza a posto, mi capita di consultare qualche blog, Instagram o Pinterest, dove ammiro gli scatti dei fotografi senza nome che predicano il minimalismo. Una foto raffigura soltanto una tazza da caffè bianca piena di latte, (su sfondo bianco, beninteso) ; un'altra una felpa grigia, una pochette di pelle bianca che fa pensare a una busta, (per cambiare, fotografata su sfondo grigio chiaro). Una volta ho perfino visto un muro bianco, da cui faceva capolino un interruttore.
Tutto talmente Zen che perfino un giapponese del 18º secolo sembrerebbe un po' troppo vuoto. A ogni modo, per carità, anche se sembro ironica, io certe cose le adoro! Sì, vedo ragazze bionde con indosso nient'altro che un jeans sbiadito e una maglietta bianca, persi in uno spazio dove gli unici elementi decorativi sono un fiore in una bottiglia e il grande tavolo su cui sono appoggiati.
Beh, trovo tutto questo straordinario! Sogno atmosfere così spoglie e pulite che sembrano trasformare un paio di espadrillas, una camicia azzurro cielo o una scala di legno in autentiche opere d'arte.
Ovviamente casa mia, che ricorda più la bancarella di un mercatino delle pulci o un robivecchi di provincia e il mio guardaroba, composto perlopiù da maglioni blu e vestiti immettibili, sono ben lontani da quello stile monacale. Ma è difficile non farsi influenzare dalla rete dei social network, soprattutto oggi che nessuna conversazione, nessuna riunione, nessun appuntamento di lavoro, trascorre senza un accenno a questi nuovi mezzi di comunicazione.
Ho perfino scoperto che, grazie a questi strumenti contemporanei, è possibile innaffiare le piante a distanza, dar da mangiare al gatto, assicurarsi che il figlio si lavi i denti e calcolare il tempo di esposizione al sole, per ricordarsi quando bisogna rimettere la crema solare. Esiste addirittura un sito che permette di spedire lettere alle persone scomparse, per raccogliere un certo numero di omaggi al defunto ; anche la nonna si può archiviare nel computer.
A proposito di influenze : visitando con mia figlia diversi negozi di semi-grande distribuzione, o avuto modo di constatare come tutti tentino di imitare l'eleganza sobria e spoglia di Cèline.
È un fenomeno eclatante, ma che spesso, ahimè, manca di qualità e bellezza. Si tratta anche in questo caso di minimalismo, e l'impressione è che basti procurarsi una borsa, una camicia firmata da Cèline, perché la propria interiorità e la vita intera diventino chiare, limpide e stilizzate.
Oggi che i computer ci aiutano a riordinare le nostre foto, i file, i documenti scannerizzati, che Google ci promette di devolvere denaro alla ricerca scientifica, per farci morire il più tardi possibile - e quasi sicuramente di creare nel giro di breve tempo, degli avatar perfetti a nostra immagine e somiglianza, ma migliori di noi - credo che personalmente aspetterò un pochino, prima di uniformarmi a quell'ideale di donna.
Non vorrei rischiare di diventare un ologramma vestito di bianco, in un salotto tutto bianco, che legge una rivista talmente "minimal" da aver rinunciato perfino ai caratteri tipografici.


Ines de la Fressange