E'
veramente un punto di vista fuori dell'ordinario che Vi propongo oggi
: la moneta unica come strumento di controllo delle economie e dei
mercati, nelle mani di un non bene identificato nuovo ordine supremo
europeo. Non per voler palesare le solite tesi complottistiche che
tanto sono care ai detrattori della moneta unica, ma è certo che
nulla ci fa intravedere spiragli di luce in questa strana e quanto
mai pericolosa invenzione finanziaria dal nome Euro. L'intento
della sua creazione sarebbe stato quello di generare prosperità e
benessere, e invece, all'esatto opposto, ha generato miseria e
disoccupazione. Almeno per la maggior parte dei paesi aderenti ;
non è stato così per la Germania, che più di tutti ne ha
beneficiato in termini economici. Un punto di vista diverso,
interessante, da leggere !
La "filosofia" alle spalle del progetto Euro
La struttura dell'Unione europea (UE) derivante dai trattati di Maastricht (1991) e di
Amsterdam (1997)
è la conseguenza logica dell'economia che c'è dietro. Un'attenta lettura della bibliografia
autorizzata –
il rapporto Emerson (1990) e il rapporto Fitoussi (1998) – dimostra che ciò che possiamo
chiamare
“Euro-economia” ha due fondamenti teorici principali:
da un lato, è fondata sulla teoria generale dell'unione monetaria, che è stata spiegata
dettagliatamente negli
anni
sessanta del ventesimo secolo da Mundell. La teoria pura dell'unione monetaria non è
altro che una
generalizzazione della teoria neoclassica mengeriana del denaro. Menger (1892) intendeva
spiegare
perché
il baratto si sia evoluto in un sistema monetario come conseguenza delle libere scelte di
singoli operatori
che
cercavano di ottimizzare la propria ricchezza. Uno spazio economico plurivalutario deve
evolversi in uno
spazio economico monovalutario tramite il medesimo procedimento.
Dall'altro lato, la generalizzazione della teoria mengeriana ha avuto successo per via
dell'influenza
esercitata
da un potente gruppo di economisti e tecnocrati francesi (qualcuno anche tedesco)
sul processo
storico
che
ha condotto all'Euro. Quello che possiamo chiamare il gruppo dei “tecno-classici” ha
magicamente
trasformato l'astratta teoria mengeriana in una serie di princìpi economici che costituirebbero
l'infrastruttura
dell'unione monetaria. Ci sono riusciti grazie all'appoggio incondizionato che hanno ricevuto
fin dal
principio
dalla classe dirigente politica, la quale credeva che l'unione monetaria fosse la
condicio sine qua non di
un
nuovo ordine illuminato che proteggesse la gestione dell'economia dai capricci imposti
dal popolo.
Carl Menger è il vero fondatore della teoria neoclassica pura del denaro[2]. Con questo suo
fondamentale
contributo egli vuole dimostrare come l'avvento del denaro sia la conseguenza naturale
della
massimizzazione
della ricchezza da parte di singoli operatori. Di conseguenza, logicamente, il denaro è
indipendente
da
qualsiasi intervento da parte dello Stato, e questo dimostra che è necessario difendere
il denaro
dallo Stato.
La scuola "tecno-classica" europea e il "nuovo ordine europeo"
La teoria mengeriana ha
riscontrato successo in Europa perché è diventata il nocciolo
duro di un piano
a lunghissimo periodo, sviluppatosi negli ultimi
trent'anni del ventesimo secolo per culminare nei trattati
di
Maastricht
(1991) e di Amsterdam
(1997). Per almeno sessant'anni, quel piano è stato caldeggiato
da una potente lobby che possiamo soprannominare “scuola
tecno-classica
europea”[3].
Viene giudicata “europea”
poiché tutti i suoi appartenenti si trovano in Germania
e soprattutto
in
Francia,
sognando un “nuovo
ordine europeo” che
rifiutasse sia il modello americano, tanto odiato
per via dei
suoi mercati finanziari deregolati e guidati dalla speculazione,
che, ovviamente, il modello
statalista sovietico.
Gli europei desideravano
realizzare un
capitalismo guidato che fosse sottomesso alle leggi della
sola
ragione,
anziché a quelle dell'avidità come avveniva negli Stati Uniti.
Il concetto di
“nuovo
ordine europeo”
era di primaria importanza per i principali attori del piano,
come gli
esperti del redressement
français che
ruotavano intorno a André
Tardieu[4],
come
François
Perroux[5]
negli anni quaranta, cinquanta
e sessanta del secondo dopoguerra, e come
pure Jacques
Rueff, una
delle menti del piano.
Per tutti quanti loro, economia
e società erano legate a doppio filo.
L'instaurazione di un nuovo
ordine sociale in Europa non era
soltanto lo sviluppo naturale del “nuovo ordine economico”,
ma da esso dipendeva anche la sua esistenza (Rueff, 1945 e
Perroux, 1954).
I tecno-classici europei
disprezzavano
la democrazia parlamentare di
vecchio stampo perché,
secondo Rueff (1945, 1958), essa è
calibrata in modo da rimpiazzare
le leggi naturali
dell'economia,
cioè la teoria neoclassica generale del valore, con
i capricciosi interessi del
“popolo” basati sui “falsi
diritti” creati dallo Stato[6].
La futura Europa doveva essere
organizzata da un qualche
dispotismo illuminato, da un promotore kantian-walrasiano.
Perfino
sostenitori come Jean
Monnet[7],
i quali non condividevano il tenace antiamericanismo degli altri
europei, erano convinti dell'incompatibilità fra il naturale
ordine economico e la democrazia formale.
Perroux (1954) aveva spiegato
perché un
piano del genere poteva avere successo soltanto in
Europa e in
nessun altro luogo.
Il cosiddetto “nocciolo europeo”, che comprende Francia,
Germania, Italia, Spagna, Portogallo e i paesi del Benelux, era
stato protetto contro i semi della
corruzione della dottrina
americana del mercato guidata dall'avidità. Le élite
europee avevano
compreso che per creare un capitalismo guidato,
forte abbastanza da competere per l'egemonia
con quello
americano, è necessario un vero “ordine”. “L'ordine” è
alla base della cultura europea;
al contrario, gli americani non
possono afferrare il concetto di “ordine naturale”[8].
Il “nuovo ordine” doveva
essere supportato da uno spazio integrato sufficiente. Ferguson
(1997) ha
evidenziato l'impatto che ha avuto ciò che egli chiama
“determinismo
geografico”
sui pianificatori
europei, sia tedeschi che francesi. Prendendo
le mosse dallo storico francese Fernand
Braudel (1980),
Perroux e altri, tra cui Monnet, erano convinti che lo spazio
disponibile, in termini di mercati
integrati, rappresentasse
l'infrastruttura fondamentale dell'economia. Per competere col
capitalismo statunitense, il
capitalismo europeo ha bisogno di uno spazio di supporto
che
comprenda tutta l'Europa.
Rueff,
Perroux e gli altri europei erano ossessionati dall'imperativo
scientifico kantiano che
imponeva di proteggere
la gestione dell'economia dall'inutile e capriccioso esercito
ottuso della “politica”.
Essendo parte di una struttura di potere, questi europei
detestavano i
dibattiti accademici o intellettuali e sapevano che
per imporre il loro programma dovevano
accrescere il loro potere
convincendo gli esponenti politici più in vista.
Ci sono riusciti guadagnandosi
prima il
supporto incondizionato dei conservatori di centro e
dei partiti
cattolici di centrodestra,
poi quello di De
Gaulle e
infine quello di
François
Mitterrand,
che è stato il vero leader europeo ispirato che i pianificatori
europei sognavano
sin dalla fine degli anni trenta[9].
I tecnocrati pro-europei
dovrebbero essere considerati “classici” poiché, a partire
da Rueff e
Perroux fino ad arrivare ai moderni attori, come la
cosiddetta scuola francese di controllo di
Aglietta e soci, la
loro visione dell'economia è costituta in una
serie di postulati che, come
sosteneva Keynes, erano l'essenza
dell'economia classica.
Rueff [10]
e Aglietta,
uno dei
massimi esperti della Commissione Europea sulle questioni
monetarie, condividevano con
Jacques
Delors, uno
dei più influenti artefici dell'unione monetaria, un
totale disprezzo verso
Keynes
(Parguez, 1998).
I principi della moneta unica europea
-
In
un'unione monetaria di tipo mengeriano, c'è un unico set di
prezzi in termini
di merce-moneta,
compreso il lavoro, che generano un equilibrio generale e una
distribuzione
ottimale delle risorse.
Ipotizzando dei
mercati perfettamente flessibili, quindi privi di interventi
esterni, il
tâtonnement
[= aggiustamento, N.d.R.] imporrà sempre dei prezzi di
equilibrio. Lì la
legge
di Say
[secondo la quale l'offerta è sempre in grado di creare la
propria domanda, N.d.R.]
è valida, perché la produttività non
può essere imposta dalla domanda fino a quando la
transazione
avviene in merce-moneta, la quale è abbastanza scarsa da
fornire agli individui il valore
costante richiesto.
-
La
valuta unica deve essere quindi assolutamente esogena [=
determinata da fattori
esterni, N.d.R.] per quanto riguarda la
domanda, che include anche la richiesta di denaro da
parte degli
individui. Quindi,
è la Banca Centrale Europea (BCE) a determinare la
fornitura di
moneta.
-
In
accordo con la logica mengeriana, la moneta non esiste se non ha
un valore intrinseco così alto
da indurre gli individui
razionali a volerla possedere. La
moneta non può acquisire questo
valore necessario se non è un
bene scarso. E la moneta è scarsa soltanto se viene
gestita da
una Banca Centrale, la quale si impegna a garantire che
l’inflazione si
mantenga stabilmente a bassi livelli
[11].
-
Dato che la Banca Centrale è
la sola fonte di moneta, essa
deve essere difesa contro la
depravazione dei “politici
spendaccioni” che corteggiano un elettorato ignorante.
Rueff
(1945) aveva illustrato la famosa dottrina
dei “falsi diritti” che
divenne la pietra
angolare dell'economia dell'unione monetaria
pianificata.
Quando uno stato è in deficit, ciò significa
che una porzione delle sue spese è finanziata dalla
creazione
di moneta da parte della Banca Centrale. Rueff sosteneva che il
deficit permettesse allo
Stato di mantenere gli individui
improduttivi grazie ai programmi sociali e alle politiche di
sussidio.
La
creazione di moneta equivale alla quantità di “falsi diritti”
concessi agli
improduttivi.
Per dirla in termini rueffiani, gli improduttivi, avvalendosi
dei propri
“falsi diritti”, provocano inflazione,
la quale porta a un trasferimento forzato di una porzione del
prodotto dai produttivi alla “clientela” dei politici
(coloro che li votano perché vivono del loro
sperpero). Dal
punto di vista dei produttivi, quindi, la creazione di moneta ad
uso dello
Stato è una tassa,
in contraddizione con la distribuzione ottimale delle risorse.
La dottrina dei “falsi
diritti” ha portato Rueff e i suoi seguaci alla conclusione che
la Banca
Centrale
non deve mai creare moneta per alcuna autorità
pubblica, quindi deve essere totalmente
indipendente
dagli Stati membri della futura unione monetaria.
Questa indipendenza è
garantita da due
vincoli
all'interno della struttura istituzionale dell'unione
monetaria:
I. Alla Banca Centrale
Europea è severamente proibito creare moneta che potrebbe
finanziare la spesa degli Stati membri.
II. Gli Stati membri devono
avere come obiettivo minimo il pareggio di bilancio
[12].
La riluttanza
e lo scetticismo di molti economisti verso la moneta unica
emergono bene dal lavoro di
L.
Jonung e E.
Drea dal
titolo “The
euro: It can’t happen, It’s a bad idea, It won’t last.
US
economists on the EMU, 1989 - 2002” [13],
il quale paradossalmente nasceva con l’intento di
dimostrare
come le analisi di circa 170 economisti USA, che tra il 1989 e il
2002 studiarono ed
evidenziarono i difetti intrinseci nell'Euro,
fossero sbagliate, in funzione del fatto che l’euro stesso era
“sopravvissuto” alle catastrofiche previsioni degli stessi
analisti ed economisti; la realtà, invece, ha
finito
semplicemente col confermare come le loro previsioni si stiano
avverando negli ultimi anni, e come
i sintomi fossero ben
visibili fin dall'inizio[14].
A tal proposito ci sentiamo di
menzionare una analisi compiuta nel 2011 dal Prof.
Bagnai, dal
significativo titolo “Euro:
una catastrofe annunciata”
[15].
Risulta poi curiosa, sempre in tale ambito, la
disamina compiuta
dal Prof.
Friedman,
noto monetarista e convinto assertore della “superiorità”
del
mercato e della libera concorrenza:
“Dal punto di vista
scientifico l'euro è la cosa più interessante. Penso che sarà
un miracolo – un miracolo
un po' difficile. Penso che sia
altamente improbabile che sia avviato ad essere un gran successo.
Ma diventerà molto interessante vedere come funziona”
[16].
Il processo di creazione
dell’unione monetaria, iniziato al termine degli anni ‘80, è
stato scandito da
alcune
importanti tappe storiche
che ne hanno modellato le caratteristiche fondanti. Il Trattato
di
Maastricht (1992)
istituisce l’unità di conto europea ECU,
progenitrice della moneta unica che sarebbe
entrata in vigore nel
2001, e impone ai Paesi che si avviano verso l'unificazione delle
valute due vincoli di
bilancio:
a) un tetto massimo del 60%
per il rapporto debito/PIL;
b) un vincolo del 3% per il
rapporto deficit/PIL annuale.
I successivi sviluppi del
processo di avvicinamento verso l’euro sono segnati da una
crescente attenzione
verso l’irrigidimento delle politiche
fiscali dei Paesi membri: su tutte il divieto
di finanziamento
monetario degli Stati membri da parte della BCE
[17]
e le sue collegate e
l’introduzione del vincolo del
pareggio
di bilancio
di lungo periodo (Patto di Stabilità e Crescita 1998).
Il tutto culmina nel 1999
mediante la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio delle
monete nazionali, e successiva introduzione della moneta unica
due anni dopo.
Note :
[1]
Alain Parguez è professore emerito
di Economia all’università di Franche-Comte,
Besançon
(Francia) ed
associato presso l’istituto di Economia presso
l’Università
di Ottawa,
Canada. http://cas.umkc.edu/econ/economics/News/PARGUEZ.html
[2]
I teoremi mengeriani sono il
fondamento dell'intera teoria della moneta neo-classica
(Parguez e
Seccareccia 2000).
[3]
Una simile lobby non è mai
esistita né in U.S.A. né in Canada (Parguez, 1999b).
[4]
Su André
Tardieu, si veda Tardieux (1934). André
Tardieu disprezzava la democrazia francese. Il suo
disprezzo era
radicato nella incapacità, per un elettorato ignorante, di cogliere
le esigenze di una moneta
solida.
[5]
Sulle idee di François Perroux,
si veda, per esempio, Perroux (1954), un lavoro pionieristico
sull'ideologia europea, e Perroux (1961). Perroux, come la
maggioranza degli economisti francesi,
aveva solo disprezzo per
Keynes. Si è formato presso la scuola economica austriaca, con cui
condivideva il disprezzo per la democrazia. Aveva appoggiato la
pianificazione perché era il prerequisito
essenziale per il nuovo
ordine economico. Perroux e Rueff condividevano l'anti-Keynesismo,
mentre
erano in disaccordo sulla necessità di un piano.
[6]
Tale disprezzo per una democrazia
governata dall'ignoranza era una tradizione consolidata tra gli
economisti, specialmente francesi. Può essere collegata da
“Tocquevillian rejection” alle barbare
regole della democrazia
americana.
[7]
Jean
Monnet è stato una figura talmente influente da determinare vere e
proprie figure professionali
dedicate proprio alla diffusione
dell'Europa e dell'europeismo così come concepiti. Per ulteriori
informazioni invitiamo il lettore a leggere il seguente link:
[8]
La dottrina dell'ordine naturale è
radicata sia nella filosofia di Martin Heidegger e prima di lui nel
patrimonio Kantiano, che è immersa nella cosidetta “filosofia
illuminista francese”. L' “Ordine” che è
l'ultima essenza di
realtà nascosta oltre il velo del linguaggio. Non si può negare
che l'Europa ne sia
un'essenza pura.
[9]
Mitterrand non è mai stato un
socialista o un socialdemocratico. Ha utilizzato una retorica di
sinistra per ottenere il supporto degli elettori di sinistra. Il suo
consigliere più vicino, Jacques
Attali, ha
convinto Mitterrand che lui fosse “l'eletto” - il vero “despota
illuminato” - che avrebbe potuto ottenere la
modernizzazione della
Francia attuando il “Nuovo Ordine”. Lui capì che la Francia
poteva diventare il
leader dell'ultima fase del piano europeo.
Attali e tutti i consiglieri di Mitterrand condividevano con
Rueff e
Perroux un totale disprezzo per Keynes e i suoi seguaci. Uno studio
completo sull'amministrazione
di Mitterand è ancora mancante.
Rivelerebbe che esso non può essere interpretato nel tradizionale
schema
destra-sinistra.
[10]
Sul radicale sentimento
anti-keynesiano che ha caratterizzato gli economisti di sinistra
francesi
come Aglietta e altri, che hanno giocato il ruolo di
esperti nell'amministrazione Mitterand, vedere
Parguez (1990, 1998).
[11]
Come da statuto BCE, essa ha come
obiettivo prioritario da perseguire la stabilità dei prezzi. Tale
assunto è di per sé illogico se ad essa non viene parametrata una
piena occupazione, che manca, nello
statuto stesso, in maniera
“quasi inspiegabile, ma poi del tutto congrua alla filosofia
mengeriana
orientata al paradigma della scarsità come elemento che
determini il concetto di “valore”.
Il problema
principale che si pone con la BCE è comunque che essa non può
sostenere direttamente
la spesa pubblica, né "monetizzando"
i deficit del governo, né contenendo il tasso d'interesse mediante
interventi sul mercato primario.
[12]
Provvedimento approvato in maniera
incredibilmente solerte da parte del nostro Parlamento
Nazionale,
con legge costituzionale del 20 aprile 2012, andando a modificare
l’articolo 81 come da link:
ed in
ottemperanza ad obblighi derivanti dalla direttiva 2011/85/UE come
da link:
[14]
Tra le stesse si annovera la
previsione di Krugman, 1998 che appunto sottolineava il fatto che i
Paesi
che avessero adottato l’euro, avrebbero rinunciato di fatto
alla loro sovranità monetaria.
[16]
Milton Friedman, 2000.
[17] http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2008:115:0047:0199:it:PDF
“Articolo 123 (ex articolo
101 del TCE):
1. Sono
vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma
di facilitazione creditizia,
da parte della Banca centrale europea o
da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso
denominate «banche centrali nazionali»), a istituzioni, organi od
organismi dell'Unione, alle
amministrazioni statali, agli enti
regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di
diritto
pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così
come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di
debito da parte
della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
2. Le
disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di
proprietà pubblica che, nel
contesto dell'offerta di liquidità da
parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali
nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli
enti creditizi privati.
Leggi QUI l'articolo originale.
La "filosofia" alle spalle del progetto Euro La struttura dell'Unione europea (UE) derivante dai trattati di Maastricht (1991) e di Amsterdam (1997) è la conseguenza logica dell'economia che c'è dietro. Un'attenta lettura della bibliografia autorizzata – il rapporto Emerson (1990) e il rapporto Fitoussi (1998) – dimostra che ciò che possiamo chiamare “Euro-economia” ha due fondamenti teorici principali: da un lato, è fondata sulla teoria generale dell'unione monetaria, che è stata spiegata dettagliatamente negli anni sessanta del ventesimo secolo da Mundell. La teoria pura dell'unione monetaria non è altro che una generalizzazione della teoria neoclassica mengeriana del denaro. Menger (1892) intendeva spiegare perché il baratto si sia evoluto in un sistema monetario come conseguenza delle libere scelte di singoli operatori che cercavano di ottimizzare la propria ricchezza. Uno spazio economico plurivalutario deve evolversi in uno spazio economico monovalutario tramite il medesimo procedimento. Dall'altro lato, la generalizzazione della teoria mengeriana ha avuto successo per via dell'influenza esercitata da un potente gruppo di economisti e tecnocrati francesi (qualcuno anche tedesco) sul processo storico che ha condotto all'Euro. Quello che possiamo chiamare il gruppo dei “tecno-classici” ha magicamente trasformato l'astratta teoria mengeriana in una serie di princìpi economici che costituirebbero l'infrastruttura dell'unione monetaria. Ci sono riusciti grazie all'appoggio incondizionato che hanno ricevuto fin dal principio dalla classe dirigente politica, la quale credeva che l'unione monetaria fosse la condicio sine qua non di un nuovo ordine illuminato che proteggesse la gestione dell'economia dai capricci imposti dal popolo. Carl Menger è il vero fondatore della teoria neoclassica pura del denaro[2]. Con questo suo fondamentale contributo egli vuole dimostrare come l'avvento del denaro sia la conseguenza naturale della massimizzazione della ricchezza da parte di singoli operatori. Di conseguenza, logicamente, il denaro è indipendente da qualsiasi intervento da parte dello Stato, e questo dimostra che è necessario difendere il denaro dallo Stato. |
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La scuola "tecno-classica" europea e il "nuovo ordine europeo" | ||
La teoria mengeriana ha riscontrato successo in Europa perché è diventata il nocciolo duro di un piano a lunghissimo periodo, sviluppatosi negli ultimi trent'anni del ventesimo secolo per culminare nei trattati di Maastricht (1991) e di Amsterdam (1997). Per almeno sessant'anni, quel piano è stato caldeggiato da una potente lobby che possiamo soprannominare “scuola tecno-classica europea”[3].
Viene giudicata “europea”
poiché tutti i suoi appartenenti si trovano in Germania
e soprattutto
in
Francia, sognando un “nuovo ordine europeo” che rifiutasse sia il modello americano, tanto odiato per via dei suoi mercati finanziari deregolati e guidati dalla speculazione, che, ovviamente, il modello statalista sovietico.
Gli europei desideravano
realizzare un
capitalismo guidato che fosse sottomesso alle leggi della
sola ragione, anziché a quelle dell'avidità come avveniva negli Stati Uniti. Il concetto di “nuovo ordine europeo” era di primaria importanza per i principali attori del piano, come gli esperti del redressement français che ruotavano intorno a André Tardieu[4], come François Perroux[5] negli anni quaranta, cinquanta e sessanta del secondo dopoguerra, e come pure Jacques Rueff, una delle menti del piano.
Per tutti quanti loro, economia
e società erano legate a doppio filo.
L'instaurazione di un nuovo
ordine sociale in Europa non era soltanto lo sviluppo naturale del “nuovo ordine economico”, ma da esso dipendeva anche la sua esistenza (Rueff, 1945 e Perroux, 1954).
I tecno-classici europei
disprezzavano
la democrazia parlamentare di
vecchio stampo perché,
secondo Rueff (1945, 1958), essa è calibrata in modo da rimpiazzare le leggi naturali dell'economia, cioè la teoria neoclassica generale del valore, con i capricciosi interessi del “popolo” basati sui “falsi diritti” creati dallo Stato[6]. La futura Europa doveva essere organizzata da un qualche dispotismo illuminato, da un promotore kantian-walrasiano. Perfino sostenitori come Jean Monnet[7], i quali non condividevano il tenace antiamericanismo degli altri europei, erano convinti dell'incompatibilità fra il naturale ordine economico e la democrazia formale.
Perroux (1954) aveva spiegato
perché un
piano del genere poteva avere successo soltanto in
Europa e in nessun altro luogo. Il cosiddetto “nocciolo europeo”, che comprende Francia, Germania, Italia, Spagna, Portogallo e i paesi del Benelux, era stato protetto contro i semi della corruzione della dottrina americana del mercato guidata dall'avidità. Le élite europee avevano compreso che per creare un capitalismo guidato, forte abbastanza da competere per l'egemonia con quello americano, è necessario un vero “ordine”. “L'ordine” è alla base della cultura europea; al contrario, gli americani non possono afferrare il concetto di “ordine naturale”[8].
Il “nuovo ordine” doveva
essere supportato da uno spazio integrato sufficiente. Ferguson
(1997) ha
evidenziato l'impatto che ha avuto ciò che egli chiama “determinismo geografico” sui pianificatori europei, sia tedeschi che francesi. Prendendo le mosse dallo storico francese Fernand Braudel (1980), Perroux e altri, tra cui Monnet, erano convinti che lo spazio disponibile, in termini di mercati integrati, rappresentasse l'infrastruttura fondamentale dell'economia. Per competere col capitalismo statunitense, il capitalismo europeo ha bisogno di uno spazio di supporto che comprenda tutta l'Europa. Rueff, Perroux e gli altri europei erano ossessionati dall'imperativo scientifico kantiano che imponeva di proteggere la gestione dell'economia dall'inutile e capriccioso esercito ottuso della “politica”. Essendo parte di una struttura di potere, questi europei detestavano i dibattiti accademici o intellettuali e sapevano che per imporre il loro programma dovevano accrescere il loro potere convincendo gli esponenti politici più in vista.
Ci sono riusciti guadagnandosi
prima il
supporto incondizionato dei conservatori di centro e
dei partiti cattolici di centrodestra, poi quello di De Gaulle e infine quello di François Mitterrand, che è stato il vero leader europeo ispirato che i pianificatori europei sognavano sin dalla fine degli anni trenta[9].
I tecnocrati pro-europei
dovrebbero essere considerati “classici” poiché, a partire
da Rueff e
Perroux fino ad arrivare ai moderni attori, come la cosiddetta scuola francese di controllo di Aglietta e soci, la loro visione dell'economia è costituta in una serie di postulati che, come sosteneva Keynes, erano l'essenza dell'economia classica. Rueff [10] e Aglietta, uno dei massimi esperti della Commissione Europea sulle questioni monetarie, condividevano con Jacques Delors, uno dei più influenti artefici dell'unione monetaria, un totale disprezzo verso Keynes (Parguez, 1998).
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