"Cari
amici, anno duro per gente dura. Ma comunque c'è l'abbiamo fatta lo
stesso, siamo ritornati a Natale e di tutto cuore vi auguro che sia
sereno e felice, per Voi e per i Vs. cari.
Dal
canto mio mi auguro che continuerete a leggermi come avete sempre
fatto fino ad ora, il crescente numero dei contatti me lo testimonia,
e mi impegno a darVi sempre i contenuti migliori e più interessanti.
Ho
l'onore di avere dei collaboratori di tutto rispetto che tutti
insieme contribuiscono ad innalzare la qualità di questo fantastico
contenitore, soprannominato Blog, e ringrazio DIO che ci da
l'opportunità di scrivere e leggere al di là di clientele,
interessi più o meno occulti e di bottega.
Grazie
di cuore a tutti Voi e oltre al Buon Natale si aggiunga anche
l'augurio di un formidabile anno nuovo 2017.
Ed
ora, visto che gli auguri sono rivolti proprio a tutti, riprendiamo
integralmente il testo della lettera aperta di Danilo Fiumara,
imputato in attesa di giudizio, così come è stata pubblicata dal
sito web "L'IndYgesto". Cogliamo l'occasione per fare i
migliori auguri di buone feste a Fiumara e a chi vive, come lui,
situazioni difficili".
Ci
ha scritto Danilo
Fiumara,
un 47enne di Francavilla
Angitola,
in provincia di Vibo
Valentia.
Fiumara, imputato nel processo
Overing,
ha ricevuto di recente una misura di sicurezza, la sorveglianza
speciale con obbligo di dimora nel Comune di residenza, che gli
impedisce di lavorare come cuoco nel locale che ha aperto nella
vicina Pizzo.
Gli appassionati delle cronache calabresi sanno già che Fiumara ha
una condanna ai sensi dell'articolo 416bis del codice penale
(associazione a delinquere di stampo mafioso). Lui, tuttavia, non
nega gli addebiti: «Ho pagato quel che dovevo alla società», ci
scrive nella e mail di accompagnamento alla lettera aperta che state
per leggere, «perché ora non posso fare qualcosa di utile,
legittimo e pulito per me e per i miei figli?». Certo, aggiunge,
«rispetto le scelte di tutti e prima di giudicare invito tutti a
immedesimarsi nelle vicende di chi ha percorso e percorre determinate
strade per mancanza di alternative. Ecco, io cercavo di costruire la
mia». Nei quotidiani, quando si pubblicano missive così delicate ci
si limita a un secco e rituale:
"riceviamo e pubblichiamo". Noi aggiungiamo: leggete e
meditate. Con la stessa serenità, si spera, con cui l'abbiamo fatto
noi.
Cari
concittadini,
Uso
l’espressione in senso ampio e mi riferisco a chiunque possa
leggere queste righe, perché, a prescindere dai miei errori
(virtuali e reali, accertati e falsi), mi sento un cittadino come
tutti gli altri e, nonostante tutto, nutro fiducia nelle istituzioni.
Mi
rivolgo, soprattutto e ovviamente, all’autorità giudiziaria perché
qualcuno ascolti il mio appello: non chiedo favoritismi e non mi
permetterei neppure di invocare pietà o di invocare il residuo
garantismo della nostra cultura civile. Me lo impedisce il senso di
dignità che ho sempre coltivato, anche nelle situazioni più
avverse, anche nei momenti più bui del carcere duro, un’esperienza
che non auguro a nessuno.
La
dico tutta: sono un mafioso perché una sentenza, con cui mi è stata
irrogata una condanna ai sensi dell’articolo 416bis del codice
penale, mi ha definito tale. Ho accettato e scontato questa pena.
Così come ho sopportato tutte le misure che negli anni mi sono state
inflitte, anche quelle che poi sono risultate, a giudizio della
stessa magistratura che me le aveva applicate, infondate.
Ripeto:
nonostante tutto, credo di essere una persona coscienziosa. E non mi
sono mai ribellato ai precetti dell’autorità.
Perciò
vi chiedo il minimo di pazienza necessario a leggere e, se proprio
volete, meditare quel che sto per dire.
Ho
appena ricevuto una misura di pubblica sicurezza, l’ennesima in
pochi anni. Chi si è trovato in guai simili ai miei mi capirà al
volo: in gergo la si chiama “sorveglianza speciale” con obbligo
di soggiorno. Detto altrimenti, non posso allontanarmi dal mio Comune
di residenza, che è Francavilla Angitola, confinante con Pizzo. A
Pizzo ho aperto un locale, grazie alla benevolenza dei miei familiari
e dei miei suoceri (e non, sfido chiunque a dimostrare il contrario,
con i presunti proventi di chissà che illeciti), nei confronti dei
quali sono indebitato fino all’osso. Già: i soldi si prestano
volentieri ai familiari in difficoltà, ma devono comunque essere
restituiti perché non ci si può approfittare di chi ci vuole bene.
Ora,
Francavilla dista da Pizzo solo due chilometri, ma a causa di questa
misura è come se fossero duecento. È vero: la sorveglianza speciale
mi è stata irrogata perché sto tuttora affrontando un procedimento
giudiziario, nel quale, tuttavia, rilevo che i miei coimputati nel
reato specifico contestatomi sono stati tutti più o meno prosciolti.
Io gestisco un’attività pubblica per conto di mia moglie: faccio
il cuoco e, a detta dei clienti, neppure tanto male. Ma ciò che più
conta è che faccio tutto questo sotto gli occhi di tutti e che il
locale che ho tirato su non è certo quel che si dice un posto
equivoco.
Ecco,
da ora in avanti non potrò più metter mano ai fornelli finché
anche io non sarò prosciolto, esito sul quale io i miei legali siamo
fiduciosi, oppure non mi sarà revocata la misura. E non credo che
sia attività socialmente pericolosa, se non nei confronti di chi ha
problemi di trigliceridi e di colesterolo, cucinare bistecche.
Al
posto mio lo farà il ragazzo che mi ha aiutato in cucina e che,
assieme a me, ha respirato i fumi delle piastre e delle griglie.
Morale
della favola: si dice che le pene debbano aiutare il reo a redimersi.
Me lo dissero quando ero sotto processo e l’ho letto nelle lunghe
ore di carcere nei libri di Voltaire e Beccaria, che mi regalarono
gli avvocati perché passassi il tempo imparando qualcosa di utile.
Si dice che si debba sempre e comunque consentire alle persone il
reinserimento nella società. Ed è quello che ho provato a fare e
che per l’ennesima volta mi è stato impedito nei fatti.
Nel
2014 mi ero recato in Austria per rimettere assieme la mia vita, non
per fare il latitante o gestire chissà che traffici. Anche lì avevo
aperto un ristorante. Mi arrestarono e mi costrinsero a chiudere
l’attività. Ho provato a rimettermi in piedi a Pizzo. E ora anche
questa mia nuova attività lecita (ribadisco: cucinare bistecche è
più pericoloso per me, visto che il medico mi ha fatto capire di
dover perdere peso, che per gli altri) è a rischio.
Io
ho 47 anni e tre figli e questo locale l’ho aperto soprattutto per
loro. L’ho aperto perché la mia famiglia abbia un punto fermo,
economico e morale. Perché, l’ho capito dopo anni di sacrifici,
solo il lavoro duro, continuo e serio paga. E dà l’esempio.
Io
pericoloso? Lo sarei se potessi andare in moto, perché a detta di
qualche amico sono un potenziale pirata della strada. Ma anche
guidare qualcosa di più potente di una bici in questa situazione mi
è praticamente impossibile.
Chiudo
con una battuta, che spero non sia fraintesa. Uno dei miei avvocati
mi diceva che nell’antico diritto romano i processi, civili e
penali, erano strutturati come scommesse: chi perdeva pagava perché
aveva perso la sua scommessa. Mi permetto di scommettere anche io: se
dovessi risultare colpevole al di fuori di ogni ragionevole dubbio di
tutti i capi di imputazione che mi sono stati addebitati, sono
disposto a pagare la mia pena e di più. Ma se non fosse così, chi
mi restituirà l’ennesima occasione persa di riprendermi la mia
dignità e restituirla al cognome che portano i miei figli?
Auguri
di Buon Natale
Danilo
Fiumara
Fonte l' Indygesto.it
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