Secondo
Paolo
Morando,
giornalista, scrittore e vicedirettore de Il Trentino,
ci siamo addormentati alla fine degli anni ’70. Un sonno rapido e
inquieto, da cui ci hanno destato gli spari dei terroristi e, per
sfuggire a quei rumori terribili, ci siamo tuffati in altri
frastuoni: quelli delle discoteche, che iniziavano a prendere piede
come replica ingenua e provinciale di quel che capitava in America
(che
grazie alle gesta di Tony
Manero tornava
ad essere la terra
promessa,
come di lì a poco avrebbe cantato un imberbe Ramazzotti),
del consumo e dell’edonismo.
Ma
la sbornia del disimpegno sarebbe continuata per tutto il decennio
successivo. A metà del quale, con raro acume critico, Stenio Solinas aveva
già schizzato un dipinto corrosivo e ironico dell’Italia
convertitasi al culto del privato nell’ormai quasi introvabile
Mostri
degli anni ’80.
Giusto per dire che tra lo champagne, le griffe e i lustrini c’era
più di qualcosa che non andava.
Con
Dancing
Days,
edito da Laterza,
nel 2009, Morando
era
riuscito a beccare in tempo utile il trentennale del riflusso. Ora,
con il suo recente ’80. L’inizio della barbarie,
uscito sempre per i tipi di Laterza,
tenta di sincronizzarsi sul trentennale della fase “calda” degli
’80, in cui il costume e il malcostume dell’epoca avevano preso
una forma compiuta, e, se possibile, di anticipare il quarantennale
di quello che anche lui definisce «il decennio più lungo del secolo
passato».
Missione
riuscita? Sì. E non era una missione facile:
la nostalgia canaglia, con la complicità della memoria selettiva
che
fa da palo, è dietro l’angolo e ci frega sempre. Perciò gli anni
’80 sono i paninari, Madonna,
l’elettropop dei Duran
Duran,
che aggiornarono in maniera contraffatta il mito dei Beatles.
Gli anni ’80, ricorda ancora Morando, sono gli anni del lusso per
tutti, dei giocattoli innovativi (alzi la mano chi non ricorda
l’Allegro
Chirurgo,
il Cubo
di Rubik e
i videogame di massa, che anticiparono il boom dell'informatica con i
Commodore,
gli Atari
e
lo Spectrum),
dei telefilm (e qui scendono i lacrimoni: Il
mio amico Arnold,
Magnum
P.I.,
Supercar,
A-Team
e
via ricordando) con cui l’emittenza privata insidiava il monopolio
della Rai.
Ma
gli anni ’80, ammonisce infine Morando,
sono anche il decennio in cui gli istinti più bassi e fino ad allora
repressi della società italiana emergono di botto. Ed ecco che,
tolta la carta dorata, ci si accorge che il cioccolatino era un po’
tossico. Anzi, tolto il tappo, ci si accorge che il liquore (sì,
avete capito, quello dello spot Milano
da Bere,
del compianto Marco Mignani)
era un po’ adulterato. In senso metaforico, va da sé.
Ed
ecco che ’80
dipana
sotto gli occhi del lettore una trama costruita a mo’ di inferno
dantesco: dai primi conati antimeridionali, propugnati dalle lighe
-
in particolare quella veneta - non ancora Lega,
alle pulsioni razziste contro la prima ondata migratoria dei vù
cumprà,
il libro è una discesa negli inferi dell’inconscio collettivo
italiota, finalmente libero di esprimersi al meglio, cioè al peggio.
Per
capirci meglio: non che certe cose - il qualunquismo, gli
atteggiamenti beceri, la volgarità, l’individualismo amorale
al
pari del familismo, l’ignoranza esibita come cifra stilistica - non
fossero parte integrante del nostro costume, prima. Ma, se si è ben
compreso il pensiero di Morando,
questo becerume era tenuto a distanza dal linguaggio pubblico. Gli
anni ’80, per capirci ancora meglio con un esempio, sono gli anni
in cui il non
sono razzista ma,
inizia a diventare sono
razzista punto.
E questa gioiosa corsa all’estremo vale per tutti i complessi
fattori della vita sociale.
Ad
esempio, le mode giovanili: l’irruzione dei paninari su una scena
dominata fino a qualche anno prima dalle tribù politicizzate (i
fascisti,
i comunisti,
gli indiani
metropolitani,
gli autonomi
ecc.)
cambia il paradigma. Sempre in peggio, perché la vacuità dei riti
di aggregazione spinge
più giù. E non è detto che la dinamica, in questo caso, sia del
tutto spontanea. Anzi. Non a caso, Morando
tira
fuori dal box di quei particolari effetti speciali che solo una
memoria molto lucida può realizzare, tale Davide Rossi.
Personaggio interessantissimo, che fu negli ’80 l’ideatore de Il
Paninaro,
rivista cult dei galletti dell’epoca, Rossi
è
riapparso nel 2009 come superlobbista, legato politicamente a
Gabriella
Carlucci,
allora deputata del Pdl,
come autore di una proposta da tradursi in legge che avrebbe mirato a
limitare l’uso del web. Fin troppo facile l’ironia di Filippo
Facci (l’anti
Travaglio
che
demolì Di
Pietro)
su di lui: «Il tuo passato è rintracciabile, ma non ti ha impedito
di raggiungere incarichi da cravatta scura».
Ovviamente,
non tutti sanno che tra Rossi,
che scrisse per i paninari ieri sulla testata di Edifumetto
(la
casa editrice di Lando,
del
Tromba
e
delle pornovampire),
e Facci
c’è
in comune Berlusconi.
In senso politico per Rossi,
in senso editoriale per Facci,
già firma di punta del giornale e ospite occasionale degli studi
Mediaset.
E
qui veniamo a un altro punto piccante di ’80,
che Morando
sbriga
con grande abilità, senza cadere nella trappola facile
dell’antiberlusconismo: la cifra degli ’80, secondo l’autore,
sarebbe stata il berlusconismo. O meglio, il berlusconismo mediatico,
che fu alla base di una trasformazione importantissima
nell’informazione di massa.
Un altro esempio per capire: prima, nei ’70, c’erano le tv e le radio libere, che si arrangiavano con pochi mezzi e in maniera amatoriale per strappare qualcosina al monopolio pubblico; dopo, a partire dagli ’80 e grazie alla geniale intuizione di Berlusconi arrivarono i network, che trasformarono l’emittenza libera in emittenza privata. Questo passaggio ha inciso sul costume in maniera spettacolare perché ha contribuito a sdoganare tutto ciò che la Rai, bacchettona nonostante l’avvento di Arbore e Boncompagni, teneva chiuso a chiave. Il berlusconismo politico, in questa particolare chiave di lettura, sarebbe stato la prosecuzione di quello televisivo. Cioè il tentativo di proseguire nell’Italia d’inizio millennio la mitologia mediatica degli ’80.
Un altro esempio per capire: prima, nei ’70, c’erano le tv e le radio libere, che si arrangiavano con pochi mezzi e in maniera amatoriale per strappare qualcosina al monopolio pubblico; dopo, a partire dagli ’80 e grazie alla geniale intuizione di Berlusconi arrivarono i network, che trasformarono l’emittenza libera in emittenza privata. Questo passaggio ha inciso sul costume in maniera spettacolare perché ha contribuito a sdoganare tutto ciò che la Rai, bacchettona nonostante l’avvento di Arbore e Boncompagni, teneva chiuso a chiave. Il berlusconismo politico, in questa particolare chiave di lettura, sarebbe stato la prosecuzione di quello televisivo. Cioè il tentativo di proseguire nell’Italia d’inizio millennio la mitologia mediatica degli ’80.
Nessuna
dietrologia in tutto questo: i manipolatori ci furono anche prima
(quanti, nei terribili ’70, cavalcarono l’onda
dell’extraparlamentarismo
per
passare poi al sinistrese
e
approdare infine al politicamente
corretto?).
Cambiava la modalità: prima era l’ideologia, poi sarebbe stato il
riflusso, oggi è il nichilismo prèt-a-porter.
Fin qui nulla di nuovo, insomma.
Ma
la morale di ’80
è
chiarissima ed apprezzabile proprio perché è priva di preconcetti
ed è animata da uno spirito critico sereno e da una robusta
documentazione: l’Italia perse i freni inibitori in quel decennio.
Allora il Paese smarrì lo spirito civico, la tolleranza e la
solidarietà. Allora le barzellette che si raccontavano al bar di
nascosto fecero capolino nei media e, da lì, tracimarono nel
dibattito pubblico.
Ci
si ferma qui. Perché il resto lo dice benissimo Morando.
Montanelli
liquidò
l’evoluzione (involuzione, se si preferisce) storica dell’Italia
tra i ’70 e gli ’80 con una delle sue immagini efficacissime: fu
il passaggio dagli anni di
piombo a
quelli di
latta.
Poi nei ’90 sarebbe arrivato il fango.
E ora? Morando
attenderà
qualche altro anniversario per scriverne, o vorrà deliziarci con un
libro di storia in
progress bello
come ’80?
Saverio
Paletta
Fonte l' indygesto.it
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