L.
è una mia cara amica. Vegetariana, buddista, pratica yoga da molti
anni, lavora in un negozio di abbigliamento di lusso nel centro di
Roma, va in giro sempre in bicicletta e va a letto alle 10. È
elegante, gentilissima, si fa voler bene da tutti.
Quasi
vent'anni fa, in un'altra vita, L. si chiamava Giuseppe. Ogni giorno
L. sopporta con gran classe piccole e grandi umiliazioni. Non c'è
volta che, entrando in un ristorante o al cinema, non ci sia qualcuno
che dia di gomito al vicino o faccio un commento, (è un uomo? un
travestito? ce l'avrà? non ce l'avrà?). Sembra che L. sia
trasparente e che si possa parlare indisturbati di quello che ha o
che non ha in mezzo alle gambe. Mi chiedo quando verrà l'ora in cui
potremo pensare ai transgender, come a delle persone qualsiasi,
invece di occuparci solo di quello che hanno deciso di fare con il
proprio corpo.
Poche
settimane fa la copertina di Time
ritraeva Laverne Cox, protagonista trans di una serie tv americana.
La notizia è rimbalzata sui media, quasi avessero pubblicato la foto
di un marziano in minigonna. Il che dimostra che se ormai abbiamo
sdoganato del tutto l'omosessualità - tanto che al gay pride sfilano
eserciti di mamme orgogliose delle figliolanze gay, se negli asili
nido appaiono coppie dello stesso sesso con figli e nessuno ci fa più
tanto caso - i transgender sono davvero rimasti l'ultimo tabù.
Quando
non vengono associati a droga, prostituzione, abusi, suicidio o al
carcere, dalle stalle si vola direttamente alle stelle : via con le
foto della modella trans di Chanel o di Conchita Wurst, la barbuta in
abito da sirena. In mezzo a questi due estremi sembra non ci sia
spazio per la normalità. E visto che le cose esistono solo quando
viene dato loro un nome, fino a che non conieremo un linguaggio per
includerle, le persone transgender rimarranno fenomeni da baraccone,
che la gente si sentirà autorizzata a deridere o a fissare con avida
curiosità.
Solo
pochi giorni fa io e L., parlavamo del disagio che anche gli uomini
eterosessuali più "evoluti" provano davanti a lei,
(generalizzo ma sfido chiunque a darmi torto). L. lo avverte
chiaramente : quando possono, evitano di guardarla negli occhi o di
rivolgerle la parola. Ho l'impressione che si tratti di una forma di
timore, come se L. rappresenti la possibilità - remota, ma non
impossibile - che un corpo maschile contenga in nuce quella stessa
pelle liscia, quei seni rotondi, quella gestualità aggraziata.
Ma
forse, suggerisce L., il disagio dei maschi nasce da una paura ancora
più nascosta: quella di poter provare attrazione verso donne che
portano dentro di sé il maschio che erano alla nascita. Ed è
proprio da questo disagio/terrore diffuso, che spesso nasce l'
avversione e a volte persino la violenza contro i trans.
C'è
un altro aspetto importante: finché le donne trans saranno un tabù,
gli uomini che provano affetto e amore verso di loro, continueranno a
nasconderlo e a vergognarsi. Se non riusciamo a comprendere chi sono
le persone transgender al di là dei clichet, come possono gli uomini
etero comprendere che quello che alcuni di loro provano, non è una
perversione ma un sentimento?
La
gogna pubblica cui vengono sottoposte persone più o meno famose,
"beccate con la trans", contribuisce a peggiorare la
situazione. È ora di cominciare a creare le condizioni affinché le
persone transgender,
possano non solo condurre una vita normale,
(trovare lavoro, affittare un appartamento), senza essere
discriminati, ma anche avere relazioni sentimentali alla luce del
sole, trovare dei partner che non siano costretti a nascondersi.
Nel
frattempo L., sta conducendo quietamente la sua battaglia privata,
portando il suo caso davanti ai magistrati per ottenere il cambio di nome. Non essendo operata, per lo stato oggi L. è ancora Giuseppe e,
ogni volta che mostra i documenti, (in aeroporto, in albergo, per un
controllo della polizia stradale), prova disagio davanti agli
sguardi, alle domande, a volte ai commenti che le rivolgono. Per di
più, eventualità che lei definisce terrorizzante, se un giorno
dovesse finire all'ospedale, verrebbe ricoverata nel reparto uomini.
"Ci
penso sempre e la sola idea mi fa morire". La sua è una piccola
grande battaglia per un diritto che dovremmo difendere tutti.
Francesca
Marciano
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