comunicato, gli ammutinati di Istanbul e Ankara avevano evocato i cardini, riveduti e corretti, del kemalismo “canonico”: laicità, democrazia e diritti umani. Di cui, a loro dire, il populista Erdogan non sarebbe un tutore credibile. Di più: i golpisti hanno lanciato messaggi a tutti, soprattutto all’Ue, alla Russia e agli Usa. Il che fa riflettere ancor più su alcuni dettagli della notte appena trascorsa: il presidente, prima di postare il suo video, avrebbe cercato di atterrare in Germania e poi in varie parti dell’Ue, Italia inclusa. E gli sarebbe stato risposto picche. Solo a golpe sventato, Angela Merkel e Obama si sono sbilanciati in un laconico «stiamo con la democrazia». Un po’ poco, per un paese in cui la democrazia è stata seriamente a rischio. Ora, c’è una lunga tradizione di golpe, realizzati e tentati, da cui si può ricavare almeno una regoletta: nessuno prepara un colpo di Stato se non ha le spalle coperte, in parte del proprio paese e all’estero. Siccome tra un golpista e un pazzo c’è sempre una differenza (e c’è da dubitare che i militari di carriera siano tutti pazzi), è sicuro che qualcuno abbia dato la “luce verde” fuori dalla Turchia. In questi casi, e le reazioni tardive di tutta la comunità internazionale lo confermano, di solito ci si comporta così: si invoca il principio della sovranità internazionale e si sta a guardare. Poi, di solito, si legittima, in un modo o nell’altro, il vincitore. È accaduto ai colonnelli greci e a quelli argentini, è accaduto a Pinochet e tutto fa pensare che sarebbe accaduto ai militari turchi se il golpe fosse riuscito.
In questi casi alcuni studiosi di politica e di diritto internazionale usano un termine piuttosto cinico: “dog fight”, combattimento di cani: si sta albordo del ring e a distanza di sicurezza e si applaude, con più o meno imbarazzo, il vincitore. Non c’è da dubitare che, l’avessero spuntata, i golpisti avrebbero tirato fuori un bel dossier sulle presunte nequizie di Erdogan. E non c’è da dubitare che, dal processo a carico dei militari rivoltosi, difficilmente avremo una verità non di comodo: le corti marziali, specie quelle che applicano la pena capitale, non amano dibattere a porte aperte e, in certi casi, si impegnano pure a “coprire”. Già: quando l’animale che perde è ferito gravemente, di solito lo si abbatte senza troppi complimenti. In tutto questo, ci sono almeno due certezze. Prima certezza: all’Occidente e all’Europa serve una Turchia stabile e ordinata che faccia da tappo e da filtro ai fremiti integralisti. Una Turchia meno ottomana e più kemalista, insomma. Seconda certezza: il kemalismo è più forte nell’esercito e negli apparati statali che non nella società civile, dove i radicali islamici hanno più d’un sostenitore e d’un complice. Ciò per ripetere che i congiurati non erano proprio andati allo sbaraglio ma che qualcuno li avesse incoraggiati e, forse, rassicurati. Chi, ovviamente, non lo sapremo mai. A meno che, vista l’impossibilità di una risoluzione politica di questa vicenda, certi dossier non escano fuori lo stesso.
Saverio Paletta
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