Fu
tutta colpa del Norad,
Comando per la Difesa Aerospaziale del Nord America, quello che
dovrebbe proteggerci anche dagli alieni. Ma non furono omini verdi o
missili nemici quelli che mi misero nei guai. Fu Babbo Natale.
Ogni
anno, per mostrare il volto buono dei generali con troppe stelle e
troppi missili, il Norad
usa i propri radar e satelliti per seguire la galoppata di Babbo
Natale, anche noto come Santa Claus, Papà Natale o quel povero
disoccupato che per cinque dollari all'ora si mette un barbone di
cotone e una panzona finta per fare "Ho-Ho-Ho" nei grandi
magazzini. Lo traccia religiosamente, dal Polo Nord, dove abiterà
fino a quando il riscaldamento della terra non scioglierà la calotta
e allargherà il suo magazzino facendo annegare le renne, al camino
di ogni casa.
Sul
sito del comando aerospaziale, il 24 dicembre appare un mappamondo
dettagliatissimo, con l'immagine dell'immortale vegliardo e della sua
carriola trainata da renne, che può essere seguita minuto per
minuto.
Nella
casa dove abitano tre dei miei numerosi nipoti, accesi il computer la
notte della vigilia e cominciai a seguire il viaggio, circondato dai
marmocchietti, in spasmodica eccitazione. Almeno impareranno un po'
di geografia, mi dissi, vista la leggendaria ignoranza degli
americani grandi e piccini in materia.
Tra
di loro c'era un bambino biondissimo di cinque anni, compagno di
primina dei miei, particolarmente eccitato, insistente e insieme
scettico. "Ma viene anche a casa mia?" Mi chiedeva. E io:
certamente, carino. "Ma sei proprio sicuro?". E io:
sicurissimo… A meno che tu sia stato particolarmente cattivo
quest'anno, mi cautelai. "No, no, buonissimo" mi gridava
dopo essere corso a verificare la propria fedina penale dai genitori
in un'altra stanza. "A che ora?" Insisteva. Quando tu
dormi. "Ma sei sicuro?". Sicuro sicuro.
Due
giorni dopo scoprii il disastro. Quando incontrai il padre,
sorridendomi solo in parte mi disse: "hai combinato un bel
casino". Oddio, non aveva soldi per nessun regalo? "No, noi
siamo ebrei e non celebriamo il Natale. La mattina del 25 mio figlio
piangeva come un disperato, gridando che quel signore, il nonno del
mio amico, mi aveva assicurato che…".
Fu
una lezione diretta su che cosa significhi vivere in una società
multietnica, multireligiosa, multiculturale. Quello che a uno sembra
ovvio e scontato, la festa comandata con le odiose
jingle bells,
il trippone ermafrodita in tailleur rosso, gli agnolotti con le
trombe sopra la capanna e poi il cotechino a tavola, non lo è
affatto per milioni di altri.
Poiché
il periodo è generalmente festivo anche per chi crede che il 25
dicembre sia soltanto la festa dell'equinozio d'inverno, quando la
luce ricomincia a sconfiggere il buio, si augurano sempre più Buone
Feste. Una cosa che a qualcuno sembra un'inutile resa alla
correttezza politica, un cedimento dei propri valori, se si vive in
nazioni che sono, furono o fingono di essere cristiane.
Dimenticando
che vivono con noi ebrei e atei, musulmani e animisti, buddisti e
adoratori del Grande Cocomero, che hanno ogni diritto di festeggiare
o di ignorare le ricorrenze altrui, senza sentirsi martellare per
settimane con il compleanno di un Dio nel quale non credono. Magari
di andare al cinema e ordinare cibo cinese a domicilio, come vuole la
tradizione degli ebrei di New York. O di adorare Babbo Natale il cui
ruolo nella teologia cristiana resta, almeno a me, oscuro.
"Per
avere pace - mi disse il padre di quel bambino che io avevo fatto
piangere con il tracciato della slitta sugli schermi radar del Norad
- li ho dovuto comperare un regalino e impacchettarglielo con il
nastrone. Quando sarà più grande, gli spiegherò perché da noi non
vola Babbo Natale".
Comunque,
mi salutò con un “Buon Natale”. E “Buone Feste” anche a te,
gli risposi, in segno di pace e di scusa. Poi, resta da dimostrare la
superiorità mistica del cotechino sul pollo con le noccioline alla
cinese.
Ma
questo, del rapporto fra cotechini e Natività è un tema profondo
per teologi, non per un nonno qualsiasi.
Vittorio
Zucconi
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