Si
dice . . . “ essere abbacchiato “
L'espressione
è di origine romanesca ma entra nel lessico nazionale, e indica una
condizione fisica o mentale per cui si è avviliti, affranti, giù di
morale. Ispiratore della frase è ovviamente l'abbacchio,
l'agnellino da latte da circa 6-7 chili che si macella entro il primo
mese di vita. L'origine del termine sarebbe da cercare nel latino
ad baculum,
(vicino al bastone), per l'uso di legare l'animale a un bastone
conficcato in terra per costringere la madre a rimanere nei pressi.
Proprio l'infausta prospettiva che attende questi agnellini, cioè
l'essere precocemente abbattuti, dà spunto alla definizione.
Si
dice . . . “ canta che ti passa “
L'espressione
“canta che ti passa”, non di rado formulata in chiave ironica, è
un invito a superare noia, timori o preoccupazioni incombenti
attraverso il canto. L'espressione pare sia stata incisa sulla
parete di una trincea durante la Prima Guerra Mondiale e riportata da
un soldato il cui nome è ben noto : si tratta dell'ufficiale degli
alpini Piero Jahier, scrittore genovese che si arruolò volontario
nel 1916. Jahier, che al fronte curava il giornale di trincea
“L'Astico”,
la trascrisse come epigrafe di una raccolta : “Canti
del soldato”
curati con lo pseudonimo di Pietro Barba e pubblicati nel 1919.
Si
dice . . . “ acqua in bocca “
E'
il perentorio invito a mantenere un segreto, a non lasciarsi sfuggire
notizie riservate. Secondo una tradizione ripresa anche da alcuni
letterati, l'origine del motto si dovrebbe alla richiesta che una
donna, molto dedita alla maldicenza, ma anche devotissima, fece al
proprio confessore per porre rimedio al suo peccato. Il prelato,
vista l'inutilità delle penitenze, diede alla donna una boccetta
d'acqua raccomandandole di tenerla sempre con sé e di metterne
alcune gocce in bocca quando le veniva la tentazione di sparlare.
Il precetto ebbe successo.
Si
dice . . . “ avere sette vite come i gatti “
Dire
“avere sette vite come i gatti”, (nella cultura anglosassone si
parla di nove), indica la capacità di riprendersi da incidenti,
avversità o rovesci della malasorte con rapidità sorprendente. Il
paragone coi gatti deriva dalla credenza popolare di un potere
soprannaturale, (nel Medioevo la si pensava creatura del diavolo), di
questi felini per la loro capacità di sopravvivere a cadute anche da
luoghi elevati o a urti violenti spesso senza danni. Ciò per
l'agilità dei felini, l'elasticità delle ossa, i riflessi
prodigiosi, la capacità di cadere sempre in piedi e di riprendersi
rapidamente da ferite e traumi.
Si
dice . . . “ la moneta cattiva scaccia quella buona “
Il
detto “la moneta cattiva scaccia quella buona” deriva da una
legge economica formulata dal banchiere inglese Thomas Gresham nel
XVI secolo. In pratica essa definisce la tendenza da parte di chi
opera sul mercato a disfarsi delle monete meno pregiate mettendole in
circolazione, accantonando, (togliendole dunque dal mercato), invece
quelle di maggior valore intrinseco. Per estensione questo detto ha
assunto anche un significato morale : comportamenti e valori di alto
profilo vengono prima o poi contaminati e soppiantati da altri più
involuti e degradati.
Si
dice . . . “ lupus in fabula “
La
locuzione latina “lupus in fabula”, (il lupo nel discorso, nella
narrazione), viene usata quando una persona di cui si sta parlando in
quel momento compare all'improvviso, come per magia. L'espressione
deriva dalle credenze degli antichi secondo le quali il lupo, (che al
tempo rappresentava la malvagità, come in seguito il diavolo), aveva
il potere di comparire al solo essere evocato. Le favole di Fedro,
(20 a.C.-50 d.C.), derivate da quelle del favolista greco Esopo, (VI
sec. a. C.), sono efficace testimonianza di quella credenza :
l'apparizione del lupo, cioè del male, equivale in quelle storielle
al compimento stesso del fato.
Si
dice . . . “ ambasciator non porta pena “
Indica
chi debba comunicare senza colpe, ad altri, cose spiacevoli. E una
sorte di esorcismo verso la pessima sorte, che poteva un tempo
toccare a chi recasse cattive nuove. Nel 480 a.C. ad esempio, gli
spartani di Leonida, uccisero gli ambasciatori del re persiano Serse
che si avvicinava con le sue truppe alle città greche. E
l'abitudine continuò per secoli : nel VII secolo d.C. lo Scià di
Persia trucidò ambasciatori bizantini che proponevano un trattato
non gradito. Solo nel 1961 gli ambasciatori ottenerò l'immunità
diplomatica, ossia una salvaguardia internazionale che li tutela
completamente.
Si
dice . . . “ tornare con le pive nel sacco “
Vuol
dire rimanere delusi, scornati per aver fallito l'obbiettivo
previsto. L'origine della frase viene fatta risalire all'antica
usanza militare di suonare le trombe oppure “le pive” - che erano
strumenti musicali a fiato come pifferi, flauti e cornamuse, usati
anche in Italia fino alla seconda guerra mondiale – per
accompagnare le marce di trionfo dopo la vittoria. In caso di
sconfitta o di ritirata, invece, questi strumenti venivano messi
dentro gli zaini dei soldati, i sacchi, perché l'esercito si
ritirava in silenzio.
Si
dice . . . “ andare in tilt “
L'espressione
indica situazioni in cui una persona perde per qualche tempo lucidità
mentale e capacità di ragionare per stanchezza, stress o forti
emozioni. Il detto è giunto dagli Stati Uniti insieme al gioco del
flipper, una sorta di biliardino elettrico che fu molto diffuso a
partire dagli anni 50', specie nei bar e locali pubblici. Il gioco,
attivato con una moneta, consiste nel colpire una biglia d'acciaio
mirando a bersagli posti su un piano inclinato e dotati di sensore.
L'abilità sta nel colpire il maggior numero di volte possibile per
aumentare il punteggio. Ma se il giocatore esagera con gli scossoni
per colpire più volte i bersagli, il flipper va in “tilt”, cioè
si blocca e il gioco si interrompe.
Si
dice . . . “ avere il sangue blu “
Significa
vantare ascendenze nobili, di alto rango. L'origine della frase sta
probabilmente nell'espressione spagnola sangre
azul
che prende piede nel tardo Medio Evo, al tempo del riconoscimento
delle classi sociali come nobiltà e clero, commercianti e popolo
contadino. L'immagine fa riferimento alla pelle dei nobili,
diafana, diversamente da quella dei contadini che era bruciata dal
sole dei campi. Una pelle così chiara lasciava intravedere le vene
dei polsi e di altre parti del corpo, che hanno un apparente colorito
bluastro-violaceo causato dallo spessore dell'epidermide. Da qui la
credenza.
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