Vuol
dire essere il meglio, il massimo possibile, anche limitatamente a un
settore specifico. L' espressione è una volgarizzazione del latino
“ nec plus ultra “ che letteralmente vuol dire “ non più oltre
“. E' la frase che secondo la mitologia classica Ercole incise
sui monti Calpe ed Abila, dove pose le proverbiali colonne
considerate il confine del mondo, oltre il quale nessun uomo poteva
spingersi. Nell' epoca moderna quel confine è stato identificato
con lo stretto di Gibilterra, ( la porta verso il mare oceano ), ma
non pochi studiosi, data l' arcaicità del mito, ritengono si
trattasse dello stretto di Messina.
Si
dice : “ appioppare qualcosa a qualcuno “
Vuol
dire affibbiare un' incombenza gravosa, un compito sgradito. L'
espressione deriva dall' antica abitudine dei contadini di fare
arrampicare, “ maritare “, la vite sui rami dei pioppi. Già
gli etruschi svilupparono questa tecnica di coltivazione con due
varianti : l' alberata, se la vite è legata ad un singolo albero, e
la piantata se le viti sono legate, tramite funi, ad alberi disposti
in filari. Alberate e piantate sono tuttora presenti nel Cilento (
Salerno ) e nel casertano, ove il vitigno coltivato, l' Asprinio, si
lega a pioppi alti fino a 15 mt.
Si
dice : “ marinare la scuola “
Il
celebre detto “ marinare la scuola “, ossia saltarla per un
giorno per andarsene da un' altra parte, è una frase letteraria.
Nel linguaggio degli studenti infatti, indicando un comportamento
proibito, assume delle espressioni gergali che cambiano da una zona
all' altra : se in Lombardia la scuola si “ bigia “ a Roma si
dice “ fare sega “, in Toscana “ fare forca “, in Piemonte “
tagliare “, in Campania “ fare filone “, in Veneto “ fare
manca “, a Trieste “ fare lippa “ e così via. Tornando a “
marinare “, il termine è legato alla tecnica della marinatura
degli alimenti, ossia il trattarli con sale e aceto per conservarli.
Si intende dunque “ conservare “ la scuola per consumarla un
altro giorno.
Si
dice : “ deus ex machina “
L'
espressione, tradotta dal latino, significa letteralmente un Dio che
compare grazie a una macchina, intesa come meccanismo, a sua volta
ripresa dal greco antico che designa una figura che appare all'
improvviso dal nulla, a risolvere una situazione apparentemente senza
sbocchi. L' origine della locuzione è da ricercare nel teatro
classico, ( greco e poi antico-romano ), allorché quando si doveva
far intervenire una o più divinità per cambiare il corso della
narrazione, si ricorreva a una rudimentale macchina in legno mossa da
un sistema di funi e carrucole, che faceva calare il nume dall' alto,
ossia dal cielo.
Si
dice : “ . . . a babbo morto “
Si
riferisce a qualcosa che si rimanda a data indefinita, molto lontana
nel tempo e comunque troppo tardi. In origine questa frase era
riferita solo a prestiti con la caratteristica che chi li contraeva,
prometteva di pagare quando, morto il genitore, l' interessato fosse
entrato in possesso della eredità. Se la morte del padre non era
imminente o provocata, la scadenza era quindi indefinita e poteva
essere anche molto lontana nel tempo. Chi riceveva una tale
promessa di pagamento, sapeva che il prestito sarebbe stato
rimborsato chissà quando o forse mai, e di fatto l' espressione “
prestito a babbo morto “, assunse il significato più negativo di
prestito non rimborsabile.
Si
dice : “ passare la notte in bianco “
Vuol
dire trascorrere una notte insonne. L' origine probabile è un'
usanza degli antichi ordini cavallereschi. L' aspirante cavaliere
infatti, per presentarsi purificato alla solenne cerimonia di
investitura che prevedeva il giuramento nelle mani del suo Signore,
la vestizione e la consegna della spada, era prima condotto in un
luogo sacro per trascorrere la notte in solitudine, preghiera e
meditazione, con indosso una simbolica veste bianca adornata di
simboli religiosi. Condizione indispensabile per essere ammesso
alla cerimonia, era che il candidato non prendesse sonno tutta la
notte.
Si
dice : “ tornare a bomba “
Vuol
dire ricondurre un discorso, dopo aver divagato, al punto da cui era
partito. Tale frase originerebbe da un vecchio gioco di ragazzi in
uso a Firenze, detto “ gioco del Pome “ o “ Toccapomo “ in
cui una palla, definita bomba, indicava una zona franca e intoccabile
in cui rifugiarsi. Ma c'è chi sostiene che l' espressione derivi
dal passo di una discussione parlamentare del politico ottocentesco
Silvio Spaventa, originario di Bomba, cittadina abruzzese. Costui,
più volte interrotto dai colleghi mentre si riferiva al suo paese
natale, avrebbe finito per esclamare forte : “ Torniamo a Bomba ! “
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