Di
come si sia svolto il celebre incontro conviviale si hanno notizie
frammentarie e confuse. Le certezze sono poche: la data, il 24 giugno
1717, il luogo, The
Goose & Gridiron (alla
lettera, L’Oca
e la Graticola),
una taverna londinese piuttosto popolare nei pressi della chiesa di
St.
Paul,
e la provenienza del vino, rigorosamente italiano e imbarcato a
Livorno.
Di
solito, e ciò vale praticamente per quasi tutti i grandi eventi
della storia, esiste un
problema delle origini,
che sono spesso avvolte da una specie cortina fumogena che
contribuisce a creare un’aura mitica. Per la Massoneria,
a dispetto della sua fama di segretezza, no. Come si è visto, si sa
dove e come è nata. Se ne sanno anche i motivi, anche se non sono
facilissimi da spiegare. E si sa il nome del primo gran maestro:
Anthony Sayer,
un oscuro artigiano londinese.
C’è
da dire che i membri delle quattro logge massoniche che si fusero
durante il sontuoso banchetto per dar vita alla Gran
Loggia Unita,
non sapevano bene cosa facessero. Né potevano: volevano solo salvare
quel che restava di una tradizione plurisecolare, prossima ad essere
cancellata dall’incipiente rivoluzione industriale che stava per
trasformare l’organizzazione del lavoro. Finita la sostanza (quindi
la trasmissione orale dei segreti del mestiere dalle bocche degli
esperti alle orecchie degli apprendisti, che richiedeva strutture
chiuse i cui membri erano vincolati da giuramenti) restava la forma:
le logge, uniche superstiti della composita galassia delle
corporazioni, delle gilde e delle associazioni di arti e mestieri.
Queste
logge si erano fatte conoscere già nel medioevo perché autrici di
bellissime opere architettoniche, in generale chiese e strutture
militari. E, rispetto alle vecchie corporazioni muratorie, avevano
una marcia in più: una spiccata vocazione internazionale.
Sul
punto si è espresso con una certa efficacia Paul Naudon (1915-2001),
giurista francese, studioso della Massoneria
e
già pezzo grosso della Grand
Loge Nationale Française:
le logge massoniche si distinguevano dalle altre corporazioni di
muratori anche per via dei loro committenti. Che non erano i signori
o le autorità civili o religiose delle città in cui operavano, ma
gli ordini monastici cavallereschi, cioè i Cavalieri
Templari,
i Cavalieri
di San Giovanni in Gerusalemme,
che poi sarebbero diventati i Cavalieri
di Malta,
e i Cavalieri
Teutonici.
In altre parole, una
loggia massonica custodiva segreti militari non irrilevanti, che non
potevano essere divulgati a cuor leggero. E questo spiegherebbe, se
la tesi fosse confermata, il perché di tutti i giuramenti, delle
parole segrete e dell’estrema riservatezza. Le altre corporazioni,
infatti, erano sottoposte all’autorità del territorio, a cui
dovevano fedeltà. Le logge massoniche no: obbedivano solo ai gran
maestri degli ordini cavallereschi loro committenti, che a loro volta
obbedivano solo al Papa.
I
muratori normali
lavoravano
nel loro territorio. I massoni no: giravano l’Europa e andavano nei
cantieri in cui li chiamavano, a costruirvi chiese e fortezze
portando con sé i loro segreti. Per ribadire questa libertà nei
confronti di tutti (da cui deriva l’espressione Liberi
Muratori),
si scelsero inoltre come protettore San
Giovanni,
indifferentemente il Battista
e
l’Evangelista.
Queste
tracce storiche, ben ricostruite dallo studioso francese, aiutano a
capire tante cose: dai riferimenti alla tradizione templare, che
hanno motivato l’ideologia anticlericale della Massoneria
più
classica (sebbene il quadro di riferimento restasse cristiano),
l’attitudine scientista e la fascinazione per la cultura esoterica.
Con
questo po’ di tradizioni alle spalle era ovvio che i Liberi
Muratori del
1717 avessero le idee confuse. Tra l’altro, nei loro ranghi c’era
finito di tutto: medici, architetti e sacerdoti, presenze fisse in
tutti i cantieri edili dalla fine dell’Impero Romano all’età
moderna. Solo i muratori, assorbiti dal nuovo capitalismo, erano
calati.
Un
altro dato storico della celebre riunione del San
Giovanni 1717
chiarisce questa confusione: i massoni inaugurarono la riunione con i
canti della tradizione muratoria, ma tra i coristi c’era gente del
calibro di Isaac
Newton.
Insomma, gente che contava nella borghesia che iniziava ad ascendere,
e che nelle logge si mescolava con gli aristocratici da pari a pari.
Di
questo problema si accorse due anni dopo Jean Désaguilier,
ugonotto francese sfuggito per un soffio al massacro dei protestanti
e riparato a Londra, dove era diventato uno scienziato influentissimo
grazie alla protezione di re Giorgio.
Désaguillier
iniziò
a elaborare i concetti che qualche anno più tardi il reverendo James Anderson avrebbe
trasformato in norme, contenute nelle Costituzioni
e
nel Libro
degli Antichi Doveri.
A quel punto la Massoneria,
gestita da persone che nella stragrande maggioranza non avevano mai
respirato cemento o visto un calcinaccio, aveva preso la sua forma:
internazionalista, umanitaria, interclassista e, ciò che più
contava nell’Europa ancora traumatizzata dalle guerre civili a
sfondo religioso, interconfessionali. Per distinguersi dalla
tradizione passata, adottò l’aggettivo speculativo: i templi da
costruire, da allora in avanti, sarebbero stati solo spirituali.
La cosa era nata.
Tre secoli sono una
bella tappa per un’organizzazione esaltata e demonizzata senza
soluzione di continuità. Il compleanno italiano, ad esempio, è
stato celebrato in maniera frammentaria.
I
tempi dei grandi scandali sono lontani, ma la Massoneria
è
di nuovo impegnata a difendersi dalle polemiche politiche scaturite
da alcune recenti inchieste giudiziarie. In prima fila nelle
celebrazioni, ovviamente il Grande
Oriente d’Italia,
che ha organizzato convegni un po’ dappertutto, culminati nella
festa romana svoltasi nei giardini del Vascello
(la
sede del Goi)
la sera del 24 giugno. Purtroppo, però, il piatto forte di questo
trecentesimo compleanno non è stato l’opera umanitaria e
progressista della Libera
Muratoria,
ribadita dagli ospiti illustri che hanno animato i dibattiti, ma il
braccio di ferro con la Commissione
parlamentare antimafia nella
versione sciapita della presidenza di Rosy
Bindi
e
il disegno di legge sulle associazioni segrete, che si traduce
nell’ennesimo giro di vite contro i grembiulini italiani. Stefano Bisi,
il gran maestro del Goi,
ha reagito a muso duro. Ma la sua è una lotta contro il tempo: da un
lato, Bisi
si
è impegnato a portare avanti la politica di trasparenza e di templi
aperti inaugurata
dal suo predecessore Gustavo
Raffi,
dall’altro, c’è in effetti la necessità di una nuova normativa
sul diritto d’associazione, che regoli in maniera diversa i gruppi
culturali che a vario titolo operano in Italia. La Massoneria,
con molta fatica, si appresta a diventare 2.0. Riusciranno i
grembiulini a costruirsi un tempio su misura nella società liquida?
Saverio
Paletta
Fonte Indygesto.it
Nessun commento:
Posta un commento