Si
dice . . . “essere una tigra di carta”
L'espressione
“essere una tigre di carta”, usata specie in campo politico,
definisce qualcuno che si presenta minaccioso o pericoloso, ma che in
realtà si rivela un bluff, una figura inoffensiva. Si tratta della
traduzione letterale di un modo di dire cinese, ed è giunto in
occidente nel 1946 allorché Mao Tse-tung, allora capo dell'esercito
di liberazione popolare cinese, in un intervista alla giornalista
Anna Louise Strong dichiarò: “Tutti i reazionari sono tigri di
carta”. Ossia apparentemente terribili, in realtà non così
potenti. La metafora fu molto usata nella lotta politica in Cina
negli anni del maoismo, specie con riferimento agli Stati Uniti.
Entrò in uso nel mondo occidentale anche grazie alla diffusione, nel
1967, del Libretto Rosso, antologia di citazioni di Mao Tse-tung che
si dilunga sulle “tigri di carta”.
Si
dice . . . “aver mangiato la foglia”
L'espressione
significa capire al volo, intuire una situazione, il senso di un
discorso, le intenzioni altrui. Vi sono due versioni sull'origine
dell'immagine: la prima è l'episodio dell'Odissea in cui Ulisse,
prigioniero di Circe, si rende conto del trucco della maga per
trasformare gli uomini in bestie e per essere immune dalla magia
mangia una foglia donatagli da Ermes. La seconda si rifà alla
cultura contadina: la foglia in questione è quella che possono
divorare gli erbivori, da quando smettono di succhiare il latte
materno e vengono svezzati. L'aver “mangiato la foglia”,
sarebbe una rappresentazione simbolica dell'essere divenuti adulti e
dunque più saggi e consapevoli di quanto accade intorno a se.
Si
dice . . . “bagnare il naso a qualcuno”
La
locuzione “bagnare il naso” vuol dire battere qualcuno, superarlo
in bravura, nella carriera oppure in qualche altro aspetto della vita
facendogli fare una pessima figura. L'origine dell'espressione,
usata specie in Lombardia e Piemonte, (bagnè
el nasa un,
in dialetto torinese), deriva da un'antica abitudine “pedagogica”
in uso nelle scuole di quelle regioni, secondo cui il maestro
sollecitava l'alunno più bravo perché sfregasse, col dito umido di
saliva, il naso del compagno che aveva avuto scarso profitto. Si
rintraccia l'usanza nella letteratura: “... Tutti i giorni
interrogazione generale. Chi rispondeva esatto e con più sicurezza
era premiato con l'incarico di bagnare il naso a chi aveva sbagliato.
Quel dito umido di saliva era schifoso ...” (Mario Lodi Il corvo
1971).
Si
dice . . . “essere una carampana”
Il
termine “carampana” viene usato in senso spregiativo per indicare
una donna sciatta e volgare o vecchia e brutta. L'origine
dell'epiteto risale alla Venezia medioevale. Cà Rampani era il
nome dato ad alcuni stabili ereditati dal governo della Serenissima,
dalla facoltosa famiglia dei Rampani e adibiti nel 1421 a ospitare
l'attività delle mondane. Da allora le donne ospiti di quelle
case, furono chiamate “carampane” e il termine divenne sinonimo
di prostituta. Poi, nel libertino '700, le mondane giovani e belle
poterono tornare ad esercitare il mestiere in centro città, mentre a
Cà Rampani rimasero solo le più anziane, lì relegate come in un
ospizio, e fu questo sviluppo a dare al termine il significato
attuale.
Si
dice . . . “ambasciator non porta pena”
Questo
detto ricorda che chi reca notizie non buone non deve essere
considerato colpevole di quanto comunicato e si riferisce all'antico
e delicato compito dell'ambasciatore, (dal latino ambactus
“servo stipendiato”). Infatti nel corso dei secoli, sono
avvenute molte violazioni a quella legge non scritta che oggi si
chiama immunità diplomatica, ossia considerare sacra la vita degli
emissari di altri popoli che portavano messaggi, anche se spiacevoli.
Tra i molti esempi ricordiamo che nel 610 d.C., lo Scià di Persia
fece trucidare gli emissari bizantini venuti a proporre un trattato
di pace non gradito. Solo a partire dal Congresso di Vienna, nel
1815, la diplomazia divenne professione autonoma e acquisì valore e
norme giuridiche internazionali.
Si
dice . . . “il lupo perde il pelo ma non il vizio”
L'antico
proverbio “il lupo perde il pelo, ma non il vizio” si riferisce
al fatto che per ciascuno di noi è molto difficile eliminare
definitivamente le cattive abitudini e sottolinea le difficoltà che
si incontrano per riuscire a superare i vizi incalliti di cui siamo
dipendenti. Il detto è una derivazione del motto latino lupus
mutat
pilum,
non mentem,
(il lupo cambia il pelo, non la mente), che ritroviamo, attribuito
però alla volpe, già in un testo dello scrittore di età imperiale
Svetonio. Il letterato attribuiva questa frase a un allevatore di
bestiame, il quale rimproverava all'imperatore Tito Flavio
Vespasiano, (9-79 d.C.), di non riuscire a dominare nel tempo la
propria avidità.
Si
dice . . . “al di là del bene e del male”
Il
modo di dire indica una persona, un fatto o un'opera, che non sono
paragonabili a nulla e in un giudizio vanno collocati in una
categoria a parte, in positivo o, ironicamente, in negativo. La
frase fatta si riferisce ad “Al di là del bene e del male:
Preludio di una filosofia dell'avvenire”, (Jenseits
von Gut und Bose),
saggio del 1886 del pensatore tedesco Friedrich Nietzsche,
(1844-1900), considerato testo fondamentale nel passaggio del
pensiero filosofico dal XIX al XX secolo. E' un violento attacco
contro la morale ipocritamente accettata dai pensatori del presente e
del passato che destò scalpore. La popolarità della frase fatta è
stata rilanciata dall'omonimo film di Liliana Cavani del 1977,
ispirato proprio alla biografia del filosofo di Rocken.
Si
dice . . . “fare i conti senza l'oste”
Si
riferisce a chi prende delle iniziative affrettate senza tener conto
della volontà altrui e quindi di rifiuti eventuali od ostacoli posti
in seguito da terzi. L'origine del modo di dire trova riscontro
nelle antiche osterie, luoghi che erano assai frequentati da
viaggiatori e avventori di passaggio. La gran parte degli osti era
allora rinomata per l'astuzia nell'organizzare imbrogli sul conto del
pasto consumato, essendo abilissimi nel sostenerli durante la
presentazione della nota alla clientela. Ecco perché era ritenuto
esercizio inutile per i clienti fare calcoli preventivi sul conto
finale, poiché poi ci si trovava puntualmente contraddetti
dall'oste, il quale sottoponeva altre voci di spesa e mandava
all'aria tutte le loro previsioni.
Si
dice . . . “avere i nervi a fior di pelle”
Significa
essere assai sensibili emotivamente, nervosi, agitati o suscettibili.
L'immagine è molto simile a quella di “a nervo scoperto”,
poiché suggerisce che i terminali nervosi vengano a trovarsi assai
vicino alla superficie della pelle. “Fiore” infatti –
probabilmente in questo caso inteso come la parte più alta della
pianta – indica la superficie di qualcosa o comunque la sua parte
più prossima alla superficie stessa, come nella locuzione “a fior
d'acqua”. Non a caso il termine “affiorare” vuol dire
emergere, spuntar fuori. Un altro esempio del genere è la
definizione “fior di latte” che indica prodotti gastronomici,
(latticini, gelati), a base della parte più ricca e pannosa del
latte: quella che resta in superficie grazie alla sua minore densità.
Si
dice . . . “da che pulpito viene la predica”
L'esclamazione
“ da che pulpito viene la predica!”, è un'espressione ironica
che viene usata per screditare l'autore di affermazioni perentorie,
di precetti, di indicazioni da seguire, (per esempio: “Bisogna
combattere la corruzione diffusa!”, “Abbiate il coraggio delle
vostre azioni!”, eccetera). Questo se chi parla è in realtà, il
primo a non dare seguito a ciò che predica al prossimo. Il
pulpito, (dal latino pulpitum,
piattaforma), è la postazione sopraelevata da cui parlavano al
pubblico gli oratori dell'antica Roma e, nell'ambito del
cristianesimo medioevale a partire dal X-XI secolo, le balconate da
cui sacerdoti e predicatori si rivolgevano ai fedeli con le loro
omelie. Alcuni pulpiti sono autentici capolavori di architettura e
scrittura.
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